Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
CONTRATTUALISTICO.
- CIMP: contributo che viene richiesto ai contribuenti da parte dei comuni quando
devono occupare aree per l’istallazione di mezzi pubblicitari (ad esempio
manifesti). La corte costituzionale ha deciso che questo tributo ha natura
tributaria.
- TASSO SULLO SCARICO PER LA DEPURAZIONE PER LE ACQUE
REFLUE: viene definita tassa, però la corte costituzionale si è pronunciata non
rilevandone la natura tributaria.
La tutela dell’affidamento, la buona fede e l’imparzialità della P.A.
Con il termine affidamento si fa riferimento allo stato patologico di aspettativa, di
fiducia, nei confronti di un prevedibile comportamento altrui.
Parlando, invece, di buona fede:
- Buona fede SOGGETTIVA: la condizione soggettiva di colui che ritiene di aver
agito in conformità alle prescrizioni normative
- Buona fede OGGETTIVA: la regola di correttezza che impone di tenere
condotte leali e rispondenti a uno spirito di collaborazione e cooperazione
Chiaramente tra le due nozioni sussiste un rilevante collegamento: ognuno deve agire
in buona fede. Le parti devono potersi fidare le une delle altre, poiché sanno che
ognuna agisce secondo lealtà.
Questi due concetti sono la chiave dell’evoluzione dei rapporti tra fisco e
contribuente da una visione conflittuale ad una visione improntata ad un clima di
collaborazione, lealtà e correttezza.
L’obiettivo è quello di portare tutti i contribuenti ad adempiere alle obbligazioni
fiscali spontaneamente.
È l’art. 10 dello Statuto del Contribuente a sancire che i rapporti tra amministrazione
e contribuente devono essere improntati al principio di collaborazione e buona fede e
che quindi non possono essere irrogate sanzioni o chiesti interessi moratori ai
contribuenti che abbiano fatto legittimo affidamento sulle dichiarazioni o sulle
decisioni del fisco.
La disciplina dell’art. 1 della legge 212/200 tutela il legittimo affidamento del
contribuente e la circostanza che fa scaturire tale tutela è la sussistenza dei c.d. atti di
prassi dell’amministrazione finanziaria, i quali sono degli orientamenti interpretativi.
Quindi se l’ordinamento cambia, il contribuente non subirà sanzione poiché affidatosi
a quell’atto di prassi.
La tutela dell’affidamento svolge anche in materia tributaria un’importante funzione
limitativa, essendo in grado di arginare ogni tentativo da parte del legislatore e
dell’A.F. di arbitrarietà ed è volta a garantire, in un sistema complesso come quello
fiscale, la coerenza e la certezza del diritto.
La violazione dell’affidamento è consentita solo nei casi in cui l’irretroattività della
legge tributaria e le esigenze di certezza del diritto, siano in contrasto con altri
interessi costituzionalmente protetti.
L’armonizzazione e il coordinamento dei sistemi fiscali
L’ARMONIZZAZIONE LEGISLATIVA in ambito comunitario è una procedura
attraverso la quale è possibile rendere affini gli ordinamenti giuridici nazionali, per la
realizzazione di un fine comune. L’armonizzazione consente l’identificazione di punti
di partenza e la determinazione del rapporto in cui devono trovarsi i vari gruppi di
norme che appartengono ad ordinamenti diversi. Ciò presuppone sistemi fiscali
compatibili ed interventi che hanno la medesima finalità di eliminare diversità o
asimmetrie delle normative tributarie che producono effetti restrittivi delle libertà
fondamentali di circolazione e distorsivi della concorrenza tra Stati.
Questo procedimento restringe la sovranità fiscale degli stati membri e la condiziona
per il futuro.
Secondo i sostenitori della teoria dell’ARMONIZZAZIONE COATTIVA, in ambito
comunitario, questo procedimento si verifica quando i vari paesi, di comune accordo,
tramite l’Autorità Sovranazionale, prevedono la modifica di una determinata norma
tributaria o l’adeguamento ad essa in conformità ad un modello unico. I sostenitori
dell’ARMONIZZAZIONE SPONTANEA o COORDINAMENTO, invece, ritengono
che le imposte dirette determinano effetti distorsivi marginali, poiché, le forze libere
del mercato conducono ad un equilibrio tra gli ordinamenti, senza un intervento
comunitario vincolante. Tale procedimento avviene: attraverso il rispetto dei divieti
imposti dal TFUE, oppure tramite atti di soft law della Commissione.
L’armonizzazione del settore delle imposte DIRETTE, avviata negli anni 60’
sembrava stesse per realizzarsi con l’emanazione di tre DIRETTIVE che istituivano
regole fiscali neutre, utili alle imprese per adeguarsi alle esigenze del mercato
comune di rafforzare la competizione tra loro in ambito internazionale. Tuttavia, la
sfera di applicazione di queste direttive era abbastanza limitata e l’interpretazione
non univoca delle disposizioni in esse contenute ha determinato problemi di
applicazione negli Stati membri. Tutto ciò ha provocato un lungo periodo di stallo,
terminato nel 2003 con l’emanazione delle direttive sulla tassazione dei redditi da
risparmio n° 48/2003 e 49/2003, in attuazione della libera circolazione dei capitali
che si fondano sullo scambio di informazioni tra autorità e istituti di credito.
Tramite questi interventi, si è previsto un regime comune di tassazione del risparmio
in ambito UE, che prevede a sua volta la rinuncia al potere impositivo sugli interessi
da parte dell’ente erogante, in modo tale da permettere l’effettiva imposizione a tutti
gli ordinamenti nazionali.
Diversa è la situazione che riguarda l’armonizzazione delle imposte INDIRETTE (in
particolare: l’iva), che si fonda sull’art. 113 TFUE. Questo procedimento è stato
avviato con l’emanazione della SESTA DIRETTIVA del 1997, alla quale hanno fatto
seguito una serie di altre direttive. Le precedenti e numerose direttive in materia sono
state poi raccolte nella direttiva n. 112/2006 e rappresenta una sorta di testo unico che
ha razionalizzato e coordinato le varie modifiche intervenute in vista di un sufficiente
livello di armonizzazione dell’Iva in ambito comunitario. Nonostante questi
interventi migliorativi, risulta ancora determinante l’attività interpretativa della Corte
di Giustizia che ha consentito di configurare un autonomo sistema Iva, garantendone
l’applicazione uniforme nei vari sistemi fiscali nazionali.
Il principio di non discriminazione fiscale
Il principio di non discriminazione in materia tributaria è regolato prevalentemente da
norme di diritto internazionale ed in particolare da quelle di tipo convenzionale
attraverso le quali gli Stati contraenti rinunciano in parte all’esercizio della propria
sovranità fiscale, anche se trovano egualmente fondamento giuridico in disposizioni
nazionali. Questo principio impone di trattare in modo uguale situazioni uguali e in
modo diverso situazioni diverse. Sulla base di questo principio sono stati elaborati
una serie di divieti che rappresentano regole fondamentali del commercio e
dell’economia internazionale, che condizionano e vincolano gli ordinamenti tributari
nazionali. Il principio di non discriminazione fiscale condiziona e influenza l’intero
settore della sovranità nazionale che riguarda il trattamento più sfavorevole dei non
residenti in un paese UE. La clausola della nazione più favorita e i divieti di
discriminazione hanno assunto un valore particolare in merito al commercio
internazionale. Successivamente, il divieto di discriminazione ha iniziato a
disciplinare in modo più dettagliato il settore dell’imposizione indiretta tramite
norme contenute in trattati internazionali. L’operatività della clausola di non
discriminazione nel settore delle imposte dirette, prima di trovare applicazione nel
diritto comunitario è stata prevista dal “modello di convenzione contro la doppia
imposizione OCSE” al quale si ispirano le convenzioni fiscali bilaterali tra gli Stati
aderenti. Il principio di eguaglianza in ambito comunitario è rappresentato dal divieto
generale di discriminazione, ex art. 18 TFUE. Questo principio, pur proibendo
trattamenti discriminatori in base alla nazionalità, pone un divieto di ogni altra
distinzione anche di tipo fiscale. Esistono una serie di deroghe o giustificazioni al
divieto di discriminazione comunitario, sancite dallo stesso trattato, fatte valere dagli
Stati membri ed esaminate dalla corte di giustizia, che rendono le norme tributarie
nazionali compatibili con il diritto UE.
In relazione al divieto di discriminazione, assumono particolare rilevanza le finalità
di tipo economico e economico-giuridiche, come la prevenzione di comportamenti di
elusione fiscale o di abuso del diritto che possono realizzarsi trasferendo la ricchezza
in altri paesi, al solo scopo di beneficiare di un vantaggio fiscale indebito,
continuando, allo stesso tempo, a beneficiare di analoghe disposizioni favorevoli
previste nel paese di residenza. Tale ultima giustificazione non è condivisa nel caso
in cui la norma antielusione sia a carattere generale e non ostacoli una particolare
operazione artificiosa tra imprese di diversi paesi. Il trattato UE contiene una serie di
disposizioni che proibiscono trattamenti discriminatori, come l’art. 110 TFUE che
prevede un divieto di discriminazione fiscale al fine di garantire la libera circolazione
delle merci. Tale norma è una delle poche disposizioni fiscali contenute nel trattato e
garantisce l’eliminazione di ogni imposizione indiretta sui prodotti degli altri stati
membri che sia superiore rispetto a quella che colpisce i prodotti nazionali e che
comprometta il commercio intracomunitario. Anche la corte costituzionale italiana si
è pronunciata sull’efficacia diretta dell’art. 110 TFUE, evidenziando l’obbligo di
applicazione del regime fiscale interno, a patto che sia coerente con le norme
comunitarie in tema di discriminazione delle merci importate.
Con riguardo al divieto di discriminazione alla libera circolazione dei lavoratori
dipendenti, sancito dall’art. 45 TFUE, la corte di giustizia, con il “caso Schumacker”,
ha posto per la prima volta l’attenzione sulla situazione reddituale e complessiva dei
residenti e non residenti fiscalmente in uno stato e in particolare sul relativo carico
fiscale dell’imprenditore non residente. È stato considerato criterio effettivo di
collegamento della persona fisica con il territorio, ai fini del riconoscimento delle
agevolazioni personali previste dal paese di occupazione, il luogo in cui è localizzata
la fonte principale del reddito, piuttosto che la residenza. Tale criterio presuppone
una comparazione complessiva tra situazione reddituale del residente e del non
residente. Se venisse applicato da tutti i paesi membri, oltre a realizzare
<