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LE FONTI GIURIDICHE DELL'UE

L'Unione può esercitare le competenze ad essa attribuite sino a dove si estende la sovranità degli Stati

membri, questo principio è sancito dall'art. 52 TUE e presenta, però, alcune limitazioni elencate nell'art. 355

TFUE il quale esclude l'applicazione integrale dei Trattati a talune isole o zone di sovranità del Regno Unito e

della Danimarca contigue alle coste europee, mentre prevede un regime speciale per altri territori accomunati

dall'essere situati fuori del continente europeo pur essendo parte integrante di alcuni Stati membri o

mantenendo con le stesse relazioni particolari. Non è certo raro che le diverse versioni linguistiche ufficiali di

uno stesso testo possano portare a diverse interpretazioni. La giurisprudenza della Corte di giustizia ha

stabilito che nessuna versione linguistica può considerarsi prevalente sulle altre, e che bisogna ispirarsi alla

reale volontà sottesa alle norme ed allo scopo da queste perseguito. Non c'è gerarchia tra le lingue.

Nell'ordine giuridico dell'Unione esiste una gerarchia di fonti. All'apice si colloca il diritto primario, costituito. dal

Trattato di Lisbona composto da Trattato sull'Unione Europea (TUE), Trattato sul funzionamento dell'Unione

Europea (TFUE), protocolli, allegati, dichiarazioni, Carta dei diritti fondamentali. Quindi, vi è il diritto secondario

costituito da regolamenti, decisioni e direttive. Ogni atto dell'Unione deve rispettare i Trattati e la norma

giuridica di rango superiore. L'assenza di rispetto, da parte di un atto, della norma giuridica superiore

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comporta la possibilità che la Corte di giustizia dichiari la nullità di quell'atto. In base all'art. 267 TFUE quando

insorge una questione di interpretazione del diritto comunitario davanti ad un giudice di ultimo grado, questi è

tenuto a fare rinvio alla Corte di giustizia. La Corte di giustizia ha escluso un tale obbligo quando la questione

"sia materialmente identica ad altra questione che sia già stata decisa in via pregiudiziale", oppure quando vi è

giurisprudenza costante sul tema o quando il diritto dell'Unione non lascia adito ad alcun dubbio.

il Trattato di Lisbona non indica espressamente tra le fonti i principi generali di diritto. Solo l'art. 340 TFUE,

relativo alla responsabilità extracontrattuale dell'Unione, stabilisce che l'Unione deve risarcire, conformemente

ai principi generali comuni ai diritti degli Stati membri, i danni cagionati dalle sue istituzioni o dai suoi agenti

nell'esercizio delle loro funzioni. Tuttavia, la giurisprudenza comunitaria ha dato ai principi generali ampio

risalto sulla base della funzione ad essa conferita dall'art. 19 TUE che attribuisce alla Corte di giustizia il

compito di assicurare il rispetto del diritto. Tale compito è rafforzato dall'art. 6 TUE, il quale stabilisce che

l'Unione è fondata sul principio dello Stato di diritto. I principi generali di diritto occupano nella gerarchia delle

fonti comunitarie un rango superiore al diritto comunitario derivato o secondario. La necessità che i principi

generali desunti dagli ordinamenti degli Stati membri per essere considerati integrati nel diritto UE siano in

armonia con la struttura e gli obiettivi dell'Unione, risulta concretamente chiara dalla sentenza pregiudiziale

che la Corte di giustizia ha reso nel caso Hauer (1979) su richiesta di giudici tedeschi. In quel caso la signora

Hauer, proprietaria di un fondo agricolo, voleva opporsi al diniego di un'autorizzazione ad impiantare nuovi

vigneti basata su un regolamento comunitario. La signora Hauer sosteneva che non le potesse essere

applicato quel regolamento in quanto la limitazione che esso le imponeva risultava incompatibile con il suo

diritto di proprietà tutelato dalla Costituzione tedesca e dalla Convenzione europea di salvaguardia dei diritti

dell'uomo. La Corte, ritenuto che sia gli ordinamenti nazionali sia la Convenzione europea di salvaguardia dei

diritti dell'uomo ammettono limitazioni al diritto di proprietà ai fini della tutela degli interessi generali, ha ritenuto

legittimo il divieto di istituire nuovi impianti in quanto compatibile con gli obiettivi di interesse generale della

Politica Agricola Comune.

Ciò, però, non è accaduto nel caso Mangold (2005). In tal caso la Corte doveva stabilire la compatibilità col

diritto comunitario di una legge tedesca che prevedeva la possibilità di assunzione a tempo determinato di

persone ultracinquantenni. In una procedura davanti ai giudici del lavoro tedeschi si era sostenuto che ciò

fosse contrario ad una direttiva del Consiglio che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in

materia di occupazione e di condizioni di lavoro tuttavia, la direttiva in questione non era ancora entrata in

vigore. Ciononostante la Corte ha considerato quella legge incompatibile col diritto comunitario perché

contraria ad un principio di diritto generale del diritto comunitario che trova la sua fonte in vari strumenti

internazionali e nelle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, senza in alcun modo individuarli.

La Corte è ritornata sulla questione con la sentenza Meda (2010) in riferimento ad un rapporto di lavoro

presentante lo stesso problema che si era posto nel caso Mangold. La signora Seda lavorava dall'età di 18

anni alle dipendenze della Swedex ed era stata licenziata dopo 10 anni. La signora Seda aveva impugnato il

licenziamento sostenendo che il datore di lavoro avesse calcolato il termine di preavviso come se la

dipendente avesse avuto un'anzianità di 3 anni, nonostante essa fosse alle sue dipendenze da 10 anni in

quanto in base alla legge tedesca nel calcolo della durata dell'impiego non si devono considerare i periodi di

lavoro svolti prima del compimento del 25esimo anno di età del lavoratore. Pronunciandosi al riguardo la Corte

ha confermato quanto. aveva affermato in precedenza ed ha quindi ribadito l'operare in materia di un principio

di non discriminazione sula base dell'età perché ni materia di rapporti di lavoro opera un principio di non

discriminazione in base all'età che deve essere considerato come un principio generale del diritto dell'Unione.

Da dove nasce la possibilità per i privati di invocare davanti alla Corte di giustizia i principi generali del

diritto? La possibilità per i singoli di invocare davanti ai giudici l'integrazione nel diritto dell'Unione dei diritti

fondamentali delle persone è nata dalla sentenza Van Gend & Loos (1963) in cui la Corte di giustizia afferma

che la comunità europea ha dato luogo ad un ordinamento che riconosce come soggetti, non soltanto gli Stati

membri ma anche i loro cittadini e in cui riconosce a disposizioni di tale ordinamento l'idoneità ad attribuire ai

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singoli dei diritti soggettivi e a prevalere su norme degli Stati membri anche successive. Su tale precisazione di

ordine strutturale si sono innestati nel tempo tutti i passaggi che hanno dato corpo a detta integrazione. La

prima invocazione di diritti fondamentali delle persone davanti alla Corte di giustizia si ha nella causa Stork•

(1959) in cui l'impresa Stork esercitava il commercio all'ingrosso di carbone ma a causa di una delibera della

Germania, a partire dal 1953, la Stork venne esclusa dall'acquisto diretto di carbone poiché non aveva un

volume annuo abbastanza cospicuo. La Stork sosteneva che tale direttiva contrastasse con i diritti a tutela

della personalità degli individui e del libero esercizio da parte loro di attività professionali stabiliti dalla

Costituzione tedesca. In quella occasiona la Corte respinse il ricorso osservando che il suo compito era

semplicemente quello. di garantire il rispetto del diritto nell'interpretazione e nell'applicazione del Trattato ed

affermando di non poter prendere in considerazione la violazione da parte di atti comunitari di principi

fondamentali delle costituzioni degli Stati membri. Rispetto alla tutela di tali diritti ha dato rilievo assolutamente

prevalente all'esigenza di assicurare l'autonomia ed il rispetto del diritto comunitario. Il carattere tanto radicale

della posizione della Corte di giustizia ha contribuito in maniera rilevante alla non accettazione da parte dei

giudici degli Stati membri di quanto affermato dalla Corte di giustizia ed all'affermazione da parte degli stessi

giudici nazionali che non è possibile riconoscere il primato di un ordinamento che non garantisce i diritti

fondamentali tutelati dagli ordinamenti nazionali.

lI primo caso in cui, sulla base di detta integrazione del diritto comunitario, si è arrivati ad un riconoscimento

concreto di un diritto è stato quello che ha condotto alla sententenza Wachauf (1989). L'affittuario di

un'azienda agricola contestava una legge che attuava in Germania un regolamento comunitario e che

prevedeva la possibilità, per un qualsiasi produttore agricolo di latte, di richiedere un'indennità a condizione di

impegnarsi a cessare definitivamente la produzione lattiera entro un termine determinato. Secondo detta

normativa quell'affittuario, per ottenere l'indennità prevista, avrebbe dovuto produrre il consenso scritto del

locatore. Dato che questo consenso non gli era stato prestato, l'indennità in questione non gli era stata

concessa. La Corte, pronunciandosi al riguardo, ha affermato che una disciplina comunitaria che avesse per

effetto spogliare l'affittuario, alla scadenza del contratto di affitto, del frutto del proprio lavoro o degli

investimenti effettuati dell'azienda affittata, senza indennizzo, sarebbe in contrasto con le esigenze inerenti alla

tutela dei diritti fondamentali nell'ordinamento giuridico comunitario, di conseguenza ha concretamente

riconosciuto il diritto di quel l'affittuario ad ottenere l'indennizzo in questione indipendentemente dal consenso

scritto del locatore.

Dopo l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona e la conseguente attribuzione alla Carta dello stesso valore

giuridico dei trattati, la Corte di giustizia ha prestato attenzione a questa forte attenzione.

Con al sentenza Schecke (2009) al Corte di giustizia ha stabilito che per determinare quali sono e che

contenuti hanno i diritti fondamentali rispetto ai quali si devono valutare pretese di legittimità o di invalidità di

atti dell'Unione o di atti statali imposti dal diritto dell'Unione ci si deve riferire in primo luogo alla Carta e solo

subordinatamente alle tradizioni costituzionali degli Stati membri e alla Convenzione europea dei diritti

dell'uomo. Lo ha, poi, fortemente ribadito con la sentenza resa nel caso Melloni (2013). In questo caso si era

in presenza di una decisione spagnola del 2008 concernente l'esecuzione di un mandato di arresto europeo

adottato in Italia ai sensi della Decisione quadro del Cons

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A.A. 2024-2025
39 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/14 Diritto dell'unione europea

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher nicolemont di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto dell'Unione Europea e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bologna o del prof Mengozzi Pieralberto.