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LA RESPONSABILITA’ DEL DATORE DI LAVORO E L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO
E LE MALATTIE PROFESSIONALI
Nonostante la buona base porta dalla normativa, accade spesso che si verifichino eventi lesivi della salute o della
sicurezza del lavoratore. Si è osservato che all'interno del contratto di lavoro viene inserito l'obbligo di sicurezza, la
cui omessa o incompleta adozione ingenera, in capo al datore di lavoro, una responsabilità di natura contrattuale.
Tuttavia, poiché il diritto alla salute ha una valenza assoluta che eccede la dimensione del contratto, la lesione di
esso dà luogo anche ad una responsabilità extracontrattuale ex art 2043.
Tra le due forme, quella più pertinente alla situazione è la responsabilità contrattuale, poiché esprime al meglio la
necessità di una tutela preventiva e comporta, per il lavoratore, Un più favorevole regime di onere della prova:
essendo un creditore di sicurezza, il lavoratore deve allegare e provare, ex art 1218, solo l'inadempimento posti in
essere dal datore di lavoro debitore, il quale può liberarsi dalle responsabilità solo provando che l'ha seguito
inadempimento è stato determinato da una causa non imputabile che ha reso impossibile la prestazione avente ad
oggetto la protezione della sicurezza.
Di solito, l'azione di responsabilità promossa dal lavoratore è diretta a rivendicare il risarcimento del danno
biologico patito in conseguenza dell'inadempimento posto in essere dal datore di lavoro. Quest'azione, però, non
ha avuto tempo totalmente libero, poiché si inserisce in un sistema che prevede che ciascun lavoratore a rischio sia
obbligatoriamente assicurato dal datore di lavoro, con premio a carico di questi, presso l'INAIL, che è l'ente gestore
dell'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali.
L'INAIL corrisponde al lavoratore infortunato o colpito da malattia professionale:
> intanto un’indennità per inabilità temporanea, tale da compensare una buona parte della retribuzione perduta
nel periodo in cui egli è impossibilitato a lavorare;
> Se poi l'infortunio o la malattia hanno provocato un'inabilità permanente, parziale o totale, del lavoratore, e gli ha
titolo ad una rendita, non sottoposta a limiti temporali e anch'essa commisurata al trattamento retributivo goduto.
> La prestazione economica erogata dall'INAIL comprende anche il ristoro del danno biologico permanente patito
dal lavoratore, purché l'invalidità che ne è derivata sia superiore all’8%.
Trattandosi di una forma assicurativa, l'erogazione della prestazione da parte dell'INAIL prescinde dall'accertamento
della responsabilità civile del datore di lavoro nella determinazione dell'evento assicurato. Peraltro, qualora sia
accertata la responsabilità penale del datore di lavoro o dei suoi preposti o dipendenti, risorge pure, nonostante
l'assicurazione, la responsabilità civile del datore di lavoro, che può essere fatta valere su due piani:
1) Da parte del lavoratore, come azione di responsabilità prevalentemente contrattuale, rivolta a richiedere:
> Il risarcimento dei danni non coperti dal meccanismo assicurativo, chiamati danni complementari, come ad
esempio il danno morale e quello esistenziale, non risarciti in assoluto dall'INAIL
> e, relativamente al danno biologico, il c.d. danno differenziale, cioè di quello eccedente l'importo erogato o
erogabile dall'INAIL;
2) Da parte dell'INAIL, come azione di regresso finalizzata a richiedere al datore di lavoro il rimborso delle
somme corrispondenti alle prestazioni economiche erogate al lavoratore durante il periodo di inabilità lavorativa.
IL MOBBING
La norma di cui all'art 2087 impone al datore di lavoro di proteggere non solo l'integrità fisica, ma anche la
personalità morale del lavoratore. Questa espressione è stata attualizzata dagli interpreti e impiegata per affermare
principi di tutela della dignità del lavoratore di fronte a fenomeni come il mobbing e le molestie sessuali sul lavoro.
La parola mobbing deriva dal verbo to mob, un'espressione della scienza etologica che allude al comportamento di
quei branchi di animali che emarginano un componente, mettendolo in una situazione di disagio e sofferenza. 100
Il termine è stato esteso a designare quei gatti o quelle vere e proprie strategie di vessazione o persecuzione
psicologica che, o il datore di lavoro direttamente, o i colleghi di lavoro, pongano in essere nei confronti di un
lavoratore.
Grazie all'espressione “mobbing” è stata data a voce a situazioni di disagio, a comportamenti illeciti in quanto lesivi
della dignità del lavoratore, che però fino a poco tempo fa non era tutelata. Sorge però il pericolo che
l'indeterminatezza del concetto, unita alla difficoltà di distinguere fra le rappresentazioni soggettive delle proprie
soddisfazioni lavorative e i dati obiettivi, inducano molti a presentare come mobbing situazioni che non sono tali, col
conseguente rischio di svalutazione del concetto.
La nozione cui la giurisprudenza è pervenuta ha preso le mosse dal concetto generale di atti lesivi della personalità
morale ex art 2087, per poi specificarlo affermando che si ha mobbing quando sono commessi a danno di un
lavoratore, in modo sistematico o comunque reiterato per un certo periodo di tempo (almeno 6 mesi), atti o
comportamenti vessatori o persecutori, tali da dar corpo ad una strategia di emarginazione.
ERGO: Per mobbing si intende una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta
nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell'ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati
comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può
conseguire la mortificazione morale o l'emarginazione del dipendente, con l'effetto lesivo del suo equilibrio
psicofisico e del complesso della sua personalità.
Per configurare la condotta lesiva del datore di lavoro sono rilevanti:
- La molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente,
che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento
vessatorio
- L'evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente
- Il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e il pregiudizio dell'integrità
psicofisica del lavoratore
- La prova dell'elemento soggettivo, cioè dell'intento persecutorio.
In un secondo momento, la giurisprudenza ha configurato l'illiceità anche di una forma attenuata di mobbing,
chiamata straining, nella quale non si riscontra il carattere della continuità delle azioni vessatorie, che comunque
restano lesive dell'integrità psicofisica del lavoratore.
Gli atti o i comportamenti illeciti in esame possono essere posti in essere:
> da superiori gerarchici del lavoratore o dal datore di lavoro → MOBBING VERTICALE
> da colleghi → MOBBING ORIZZONTALE
Nel primo caso, il fenomeno realizza un abuso del potere imprenditoriale, e per tale ragione è considerato più grave.
Per quanto riguarda il mobbing verticale, il criterio di valutazione più utilizzato dai giudici è quello di partire dalla
ricognizione di atti già illegittimi alla luce delle regole di disciplina del contratto di lavoro, come un demansionamento,
un trasferimento, uno più provvedimenti disciplinari non aventi requisiti di legge o un licenziamento. Questi atti, oltre
a dare luogo ad un illiceità, possono concorrere a realizzare anche quelli lecito aggravato nel quale si sostanzia il
mobbing, qualora risultino unificati da una stessa finalizzazione vessatoria.
ERGO: Il demansionamento non è di per sé mobbing, ma potrebbe essere, date certe circostanze, uno degli
elementi che configura mobbing.
Una volta accertato l'illecito da parte del giudice, il lavoratore ha diritto al risarcimento dei danni per violazione
dell'art 2087, e quindi per responsabilità contrattuale:
> DIRETTA: nel caso di mobbing verticale
> INDIRETTA: nel caso di mobbing orizzontale
I danni possono essere di varia natura, già che il mobbing, come ogni illecito, può essere produttivo di una pluralità
di possibili danni, tendenzialmente non patrimoniali: biologici, morali, esistenziali, o comunque derivanti dalla lesione
di un bene di rango costituzionale, come la dignità del lavoratore come persona, che è il vero bene protetto contro il
mobbing.
LE MOLESTIE SESSUALI SUL LAVORO 101
Connesse al fenomeno del mobbing sono le molestie sessuali nel luogo di lavoro, che possono essere favorite dalle
relazioni gerarchiche che intercorrono nell'ambiente di lavoro, anche se si può verificare una molestia anche tra
colleghi.
Secondo la legge: sono altresì considerate come discriminazioni le molestie sessuali, ovvero quei comportamenti
indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l’effetto di
violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante
o offensivo.
Questa lozione si incentra sul carattere indesiderato dell'atto a sfondo sessuale. E’ dunque sovrana, fatta salva la
prudente valutazione del giudice alla luce delle circostanze del caso, la rappresentazione soggettiva della vittima.
La norma è l'esito finale della tendenza dell'ordinamento a considerare la molestia sessuale nell'orbita degli atti
discriminatori; questo ha suscitato molte perplessità, giacchè non c'è bisogno, per qualificare le molestie come
illecite, di considerare le discriminazioni, perché basta il fatto che se realizzano un'offesa a beni meritevoli di tutela.
Resta fermo che, se alla molestia si accompagnano ulteriori discriminazioni, si verifica un concorso di illeciti → es.
art 26, c.2-bis: sono considerate come discriminazioni trattamenti meno favorevoli subiti da una lavoratrice o da un
lavoratore per essersi sottratto o sottomesso a molestie sessuali.
La lavoratrice o il lavoratore vittime di molestie sessuali possono richiedere al giudice il risarcimento del danno,
anche non patrimoniale, collegato alla lesione della loro dignità e della loro libertà sessuale. Inoltre, se dalla
condotta molesta sono derivate ripercussioni sullo stato di salute, è anche risarcibile il danno biologico.
Inoltre, gli atti, i patti o i provvedimenti concernenti il rapporto di lavoro dei lavoratori o delle lavoratrici vittime dei
comportamenti di cui ai commi 1 e 2 sono nulli se