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SEZ. I: DILIGENZA, OBBEDIENZA, FEDELTA
1.La diligenza come misura della prestazione.
L'obbligazione principale del lavoratore consiste nello svolgimento dell'attività dedotta in
contratto in base alle direttive ricevute nell'ambito dell'orario di lavoro concordato, che misura il
quantum della prestazione dovuta. Ai sensi dell'articolo 2104 comma 1 c.c., il prestatore di lavoro
deve usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, dall'interesse dell'impresa e
da quello superiore della produzione nazionale. Diligenza rappresenta il criterio di misurazione
della prestazione dovuta dal lavoratore, in quanto oggetto dell'obbligazione lavorativa è la
prestazione diligente; d'altro lato, è indice dell'esattezza dell'adempimento della stessa. Il
parametro alla cui stregua va valutata la diligenza e la natura della prestazione dovuta. L'articolo
2104 c.c. quale parametro della prestazione dovuta dell'esatto adempimento, fa riferimento anche
all'interesse dell'impresa e a quello della produzione nazionale: quanto al primo, è abrogato con il
venir meno del regime corporativo fascista, quanto al secondo, non è stato ritenuto ultroneo
perché servirebbe rendere specifico il parametro della diligenza correlandolo ad una concreta
organizzazione e al concreto interesse del creditore.
2.Il cd dovere di obbedienza.
L'articolo 2104 c.c. sancisce, al comma 2, E il prestatore di lavoro deve osservare le disposizioni
per l'esecuzione per la disciplina del lavoro impartite dall'imprenditore e dai collaboratori di
questo dai quali gerarchicamente dipende. Il dovere di obbedienza non costituisce un obbligo a te
ma è conseguenza della posizione di soggezione giuridica del lavoratore.
3.L’obbligo di fedeltà.
Ai sensi dell'articolo 2105 c.c. il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio di
terzi, in concorrenza con l'imprenditore, né divulgare notizie attinenti all'organizzazione e ai metodi
di produzione dell'impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio. La dottrina
prevalente identifica l'oggetto dell'obbligo di fedeltà nelle condotte contemplate dall'articolo,
escludendo, che condotte diverse possono essere ricondotte alla norma. Per contro, per la
giurisprudenza, il richiamo sarebbe meramente esemplificativo di tutti quei comportamenti che
per loro natura contrastano con i doveri connessi all'inserimento del lavoratore o che creino
situazioni di conflitto con le finalità e gli interessi dell’impresa. L'obbligo di non concorrenza è più
ampio del divieto di concorrenza sleale: sono ricomprese anche condotte concorrenziali
perfettamente le ali ma vietate perché produttive di danni anche solo potenziali. L'obbligo di non
concorrenza sussiste nel corso del rapporto, venendo a cessare al termine dello stesso. Ai sensi
dell'articolo 2125 c.c. è tutta via valido il patto di non concorrenza relativa un periodo successivo
alla cessazione qualora esso risulti da atto scritto, sia pattuito un corrispettivo a favore del
prestatore e il vincolo sia contenuto entro determinati limiti di oggetto, tempo e luogo. Durata del
vincolo non può essere superiore a cinque anni se si tratta di dirigenti a tre anni negli altri casi.
L'obbligo sancito dall'articolo 2105 c.c. E di non divulgare notizie: si tratta dell'obbligo di
riservatezza. Si ritiene che le informazioni siano quelle di carattere tecnico-produttivo apprese dal
lavoratore in ragione del suo inserimento dell’azienda, e non a fronte della particolare mansione
svolta. Il divieto opera anche per le notizie attinenti ai rapporti commerciali dell'impresa.
SEZ. II: IL TEMPO DEL LAVORO
1.La durata della prestazione di lavoro.
L'oggetto del contratto dal punto di vista quantitativo individuato dall'orario di lavoro, che
parimenti il lavoratore si obbliga ad osservare. In mancanza di diversa indicazione nel contratto
individuale si deve intendere quale orario normale 40 ore settimanali, ovvero il minor orario fissato
dai contratti collettivi. Nel caso in cui il lavoratore non osservi l'orario è da considerare
inadempiente.
Per le prestazioni di lavoro rese oltre l'orario convenuto si usa il termine lavoro straordinario, per lo
svolgimento del quale è necessario l'accordo tra le parti. Talora i contratti collettivi prevedono il
lavoro straordinario obbligatorio; in questo caso trova comunque applicazione l'articolo quattro
del decreto legislativo 66 del 2003 in tema di durata massima dell'orario di lavoro, ai sensi del
quale la durata media dell'orario di lavoro non può superare, per ogni periodo di sette giorni, le 48
ore, comprese le ore di lavoro straordinario. In difetto di disciplina collettiva applicabile, il lavoro
straordinario è ammesso soltanto previo accordo per un periodo che non superi le 250 ore
annuali, in relazione a casi di eccezionali esigenze tecnico produttive di forza maggiore o per
eventuali particolari collegati alle attività produttive (non occorre il consenso del lavoratore, né
trova applicazione il limite delle 250 ore).
Nel caso di lavoro straordinario è dovuta al lavoratore una maggiorazione retributiva, determinata
dai contratti collettivi che possono anche prevedere, in alternativa o in aggiunta, una
compensazione in natura (riposi compensativi o simili).
Al fine di garantire una maggiore flessibilità della prestazione di lavoro, il decreto legislativo 66 del
2003 prevede anche forme di orario multi periodale.
2.La disciplina legislativa dell’orario di lavoro e le sue finalità.
L'articolo 36 Cost prevede che la durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge e
che il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite e non può rinunziarvi. La
vigente normativa è contenuta nel decreto legislativo 66 del 2003 intitolato “Attuazione delle
direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di
lavoro”.
3.I riposi.
La normativa attuale disciplina la durata massima della giornata lavorativa solo indirettamente,
attraverso la previsione della durata minima del riposo: almeno 11 ore ogni 24 ore, da fruire in
modo continuativo. Qualora l'orario di lavoro giornaliero ecceda il limite di sei ore, il lavoratore
deve beneficiare di un intervallo di 10 minuti.
In base al terzo comma dell'articolo 36 Cost il lavoratore ha diritto al riposo settimanale di 24 ore
consecutive ogni sette giorni di lavoro, di regola in coincidenza con la domenica (sono numerose
le deroghe legali e da contratto collettivo).
Il lavoratore ha diritto ad un periodo di ferie annuali determinato in misura non inferiore a quattro
settimane. La fissazione è prerogativa del datore di lavoro, tenuto conto dell'interesse del
prestatore, il quale ha comunque diritto di esigere la fruizione continuativa di due settimane. Il
principio di irrinunciabilità delle ferie può essere sostituito dalla relativa indennità per ferie non
godute; il mancato godimento da luogo ad un'obbligazione risarcitoria del lavoratore.
CAPITOLO SETTIMO: LE OBBLIGAZIONI DEL DATORE DI LAVORO
SEZ I: L’OBBLIGAZIONE RETRIBUTIVA
1.La retribuzione: corrispettività e onerosità del rapporto di lavoro.
La retribuzione costituisce l'oggetto della principale obbligazione del datore di lavoro, costituisce
la prestazione corrispettiva rispetto a quella lavorativa. Tuttavia, nel contratto di lavoro, la
corrispettività si presenta in modo del tutto peculiare, coerentemente al carattere personale della
prestazione lavorativa e al coinvolgimento durevole del lavoratore nell'organizzazione produttiva. Il
nesso di corrispettività tra le prestazioni subisce alterazioni significative, tassativamente previste,
in una serie di casi di sospensione del rapporto di lavoro.
L'obbligazione retributiva connota il contratto di lavoro subordinato come rapporto giuridico a
titolo oneroso e perciò lo differenzia da altri a titolo gratuito.
1.1.Fonti: art.36 Cost.
In base al mero principio consensualistica per la qualificazione del compenso sarebbe sufficiente
l'accordo delle parti; tuttavia in un rapporto potere asimmetrici sarebbe agevole per la parte forte
del rapporto ottenere la stipulazione di patti per sé vantaggiosi. Di qui la fissazione di criteri legali
di commisurazione della retribuzione che garantiscano una retribuzione minima adeguata. Manca
in Italia una legge che imponga un salario minimo legale; l'articolo 1 della legge delega numero
183 del 2014 delegava il governo all'introduzione anche in via sperimentale del compenso orario
minimo. Tuttavia, la delega non è stata esercitata. È stata recentemente formulata dalla
Commissione europea una proposta di direttiva relativa salari minimi adeguati nell'Unione
Europea. La difficoltà dell'introduzione di un salario minimo legale è di carattere essenzialmente
politico, legata al timore che essa comprima ruolo dell'autonomia collettiva; si aggiunge l'idea, da
parte dei critici, che vi sarebbe una via italiana al salario minimo legale, rappresentata
dall'applicazione giurisprudenziale dell'articolo 36 Cost.
Ad oggi, dunque, la disposizione centrale in materia retributiva resta l'articolo 36 Cost, per il quale
il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità E alla qualità del suo lavoro e
in ogni caso sufficiente ad assicurare asse e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa. La norma
è precettiva dei due principi della proporzionalità e della sufficienza.
1.2.L’applicazione giurisprudenziale dell’art. 36 Cost.
Nell'applicazione giurisprudenziale il criterio della sufficienza è stato assorbito da quello della
proporzionalità.
Per la determinazione del livello retributivo conforme al precetto, i giudici prendono a riferimento
le retribuzioni previste dal contratto collettivo della categoria o del settore produttivo. Ciò implica
che i principi assumono carattere variabile in base al settore e alla qualifica rivestita dal singolo
lavoratore e, si determina una prevalenza del requisito della proporzionalità, poiché i contratti
collettivi non tengono conto delle condizioni di vita e familiari dei lavoratori.
Si precisa che, secondo la giurisprudenza, non tutti gli elementi retributivi previsti dai contratti
collettivi integrano il minimo costituzionale, ma solo la cd paga base, nella quale è stata inglobata
la indennità di contingenza e la 13ª mensilità.
Per giurisprudenza costante le retribuzioni fissati dei contratti collettivi costituiscono un parametro
di riferimento da cui i giudici possono discostarsi, con idonea motivazione, ritenendo che la
retribuzione