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PROCEDURA DI RECESSO
Altri aspetti fondamentali del recesso sono la procedura che interessa questo stesso, a partire
dalla manifestazione di volontà del socio che è di 15 giorni dalla delibera che autorizza la
causa di recesso o da 30 giorni dalla conoscenza del fatto diverso
Secondo il tribunale di Milano il recesso assume validità dalla fine della liquidazione della
quota del socio recedente; secondo altri, si parte dal momento in cui si è avuta la delibera, per
dare la possibilità alla società di tornare indietro.
CRITERI DI LIQUIDAZIONE
Il criterio non è più contabile ma valorizza anzi il patrimonio sociale per dare liquidazione ai
valori reali e non contabili.
La procedura di liquidazione è stata prevista per giustificare l’espansione delle cause di
recesso.
In primo luogo la quota o l’azione del socio recedente deve essere offerta in opzione agli altri
soci, se non sono interessati nella s.p.a gli amministratori la collocheranno sul mercato, nella
Srl saranno i soci a cercare nuovi soci. Questo spiega l’apertura della s.p.a dove agiscono gli
amministratori, e la maggiore rilevanza dei soci nella Srl.
Se neppure il mercato risulta ricettivo all’offerta la società dovrà agire su riserve distribuibili
o utili disponibili per coprire la perdita; per la s.p.a si acquisteranno le quote.
Se poi la società non dispone nemmeno di fondi propri, si procederà a ridurre il capitale
sociale, per questo il legislatore ha previsto la disciplina sulla riduzione del capitale sociale e
facendo così i creditori possono presentare opposizione che se viene accolta porta allo
scioglimento le società.
Se si giunge a questo esito è perchè i soci non sono interessati alle quote, la società non ha
riserve e il tribunale accoglie l’opposizione quindi lo scioglimento è motivato dalla crisi della
impresa, quindi è meglio scioglierla che continuare a farla operare nel mercato.
SENTENZA
La sentenza sostiene che il recesso sia diventato neutro, volto ciò a consentire ad un socio che
non sia interessato di rimanere in società a sottrarsi senza prevedere ipotesi.
Da un certo punto di vista è indiscusso che una certa forma di investimento è incentivata dal
recesso, ma, è contestabile il fatto che il recesso sia stato lo strumento con cui il legislatore ha
perseguito questa finalità, che è stata perseguita più dal principio maggioritario e il recesso
deve essere solo l’effetto della scelta ma non lo strumento per sviluppare la competitività.
Alcuni aspetti che mettono in crisi la possibilità di un recesso ad nutum anche nelle società a
tempo indeterminato sono almeno due;
1. La possibilità da un lato per la società di impedire l’esercizio di recesso revocando la
decisione che lo ha determinato.
2. Lo statuto può prevedere ulteriori cause di recesso e questo parrebbe un limite al recesso
ad nutum che presuppone invece l’assenza di cause di recesso.
Uno dei rischi di questo tipo di recesso è una riduzione del capitale sociale o il possibile
scioglimento della società nonché la eccessiva de-patrimonializzazione della società.
La sentenza limita la contrapposizione di interessi tra la società e il socio recedente.
Uno dei punti è la conoscibilità dei creditori delle cause di recesso dalla stessa.
Il recesso ad nutum statutario è demandato ad una espressa clausola dello statuto e questo è
l’unico modo con cui i creditori possono saperlo e accettarlo quando contrattano con la
società stessa.
Potrebbe essere utile confrontare il recesso con altre forme tipiche previste dal legislatore che
disincentivino gli investimenti; cioè, l’acquisto di azioni proprie o le azioni riscattabili.
In chiave interpretativa oggi si accettano anche le azioni riscattando o redimibili cioè azioni
che danno al socio il potere di imporre l’acquisto a caricato della società trattandosi di forme
di disinvestimento.
Negli istituti previsti dal legislatore si possono prevedere da un lato forme di disinvestimento
generale solo tramite risorse disponibili, quindi istituti che non possono strutturalmente
intaccare il capitale sociale mentre il recesso ad nutum invece intacca il capitale sociale.
Il recesso, dunque, andrebbe mantenuto nelle funzioni che il legislatore gli ha attribuito
perché se lo ha fatto lo ha fatto per un motivo ben preciso.
La sentenza vede il recesso come uno strumento di tutela all’interno della società, ma è
invece uno strumento che assicura la fuga dalla società dunque vederlo come salvaguardia di
interesse del socio è una deviazione eccessiva perchè la tutela del socio dovrebbe avvenire
all’interno della società, mentre qui la si ha con la rinuncia al suo ruolo di socio il che per
alcuni è una opportunità perchè consente di uscire da una società difficilmente ricollocabile,
ma occorre anche pensare che se una persona è entrata in una società chiusa lo ha fatto perchè
pensava di avere un ruolo nella società, dunque non solo per lucrare tra l’acquisto e la
cessione delle azioni.
Per questo la sentenza scricchiola molto.
Importante è il fatto che la società però possa ritirare la delibera se ci sono valutazioni
sopraggiunte; ci fu un caso di una società di Berlusconi che doveva fondersi in modo trans
frontaliero e siccome ci furono tanti recessi, si ritirò la delibera.
Un altro aspetto relativo alla de-pratimonializzazione che la sentenza non cita è che il recesso
è un diritto di un socio di minoranza, se noi mettiamo il recesso ad nutum dobbiamo farlo
anche per il socio di maggioranza quindi la de-patrimonializzazione diventa ancora più
pericolosa perchè il recesso così come pensato dal legislatore per la s.p.a è una tutela solo per
il socio di minoranza ( è così anche nella Srl per quanto riguarda il 2473, anche se abbiamo il
2469 che parla di intrasferibilità della quota che legittima il recesso indipendentemente dalla
delibera e lo consente anche il socio di maggioranza ma siamo al di fuori della regola
generale ).
La tutela dei terzi prevista dal legislatore può anche andare a scapito dei soci, quindi l’aspetto
ostativo alla possibilità di tale tipo di recesso è proprio questo.
Un passaggio esplicativo è anche quando si affianca il termine EXIT al recesso, affermando
la visione dello strumento di rapido disinvestimento sterile.
Tale previsione di clausole statutarie può almeno astrattamente portare a ritenere che ci sia
stata oramai una sottrazione del recesso dalla sua funzione propria.
Il recesso ad nutum è in contrasto con la norma imperativa del 2347 quando elenca le cause
di recesso; le norme parlano sempre di “ cause “ dunque non di recesso snaturato da ogni
ancora.
Ancora, rilevante è che quando parliamo del recesso dobbiamo pensare a quella duplicità di
concetti che si riscontra quando trattiamo della società; c’è il momento generico che ha una
struttura contrattuale e il momento organizzativo. Il recesso impatta su entrambi questi profili
modificando l’aspetto squisitamente contrattuale in quanto il recesso è una ipotesi di
scioglimento ma ha anche un profilo organizzativo perchè sarà liquidata la quota. La
moltiplicazione delle cause di recesso deroga dunque al 1473 quando dice che il contratto ha
efficacia di legge tra le parti e dare al socio una libertà incontrollabile di recedere è una
manovra pericolosa proprio perchè si può recedere dal contratto come si vuole.
Questa sentenza ha una portata dirompente che pare costruita per dare una determinata
soluzione preconcetta ed il rischio è questo perchè il giudice dovrebbe partire dalla legge e
andare sul caso concreto, invece, molto spesso, si usano principi di carattere generale. Questa
sentenza dà l’impressione proprio di ciò.
In questo caso di specie i soci compravano prodotti da questa società ed era una società di
fatto consortile, e questo rileva ancora di più per il recesso perchè se cambiano i presupposti
di fatto e il socio non fruisce più di quelle prestazioni che la società offre deve uscire
difettando il presupposto che ha giustificato il suo ingresso in società e allora doveva essere
costruita meglio la clausola di recesso e non è che la cassazione può creare un principio di
diritto per chiarire una posizione in una singola sentenza.
Non è che se i soci hanno sbagliati devono essere aiutati, cambiano la clausola e la riformano
coerentemente, invece la Cassazione ha consentito al socio che voleva uscire di uscire ma al
un prezzo di aver creato un principio generale di diritto.
Il ricorso alle clausole generali è pericolosissimo perchè si presta a interpretazioni soggettive.
Il professor Irti parlò di diritto incalcolabile nel senso che se ricorriamo a queste clausole
generali della buona fede si rischia di rendere imprevedibile la soluzione nel caso concreto e
l’incertezza disincentiva l’investimento.
RECESSO UNANIME CONCORDATO
Tirando le somme, ci si chiede se il recesso unanime concordato, perchè in questo caso si
risolve la crisi tra soci risolta a spese della società perchè è questa che compra le azioni. Un
possibile correttivo per ammettere questa fattispecie è di non intaccare il capitale ma di
fermarsi all’erosione delle riserve e utili disponibili.
Sulla s.r.l si parla poi di liquidazione della quota con risorse e utili disponibili ma siamo al di
fuori dell’acquisto di quote proprie quindi se la quota viene liquidata con queste risorse poi la
quota in sé non viene annullata sennò si ridurrebbe il capitale quindi viene questa quota
ridistribuita tra gli altri soci; nella s.r.l non si ha un acquisto vero e proprio come nella s.p.a
Lezione del 22.04.2024
INVALIDITÀ DELLE DELIBERE ASSEMBLEARI
Se la delibera è assunta con tutti i crismi, essa ha efficacia vincolante per tutti i soci,
anche assenti o dissenzienti, la decisione diventa una decisione della società, un
provvedimento vincolante per tutti i soci, indipendentemente dal voto espresso.
Possono essere affette da vizi che la rendono impugnabile, impugnare delibera significa
contestare giudizialmente la validità o l’efficacia della delibera stessa, al fine di
ottenerne la dichiarazione di annullamento o declaratoria di nullità.
Procedimento di impugnazione diretto a eliminare questa delibera, a renderla non vincolante
per società e per i soci.
Il profilo della invalidità delibere è stato modificato nel 2003, p