Anteprima
Vedrai una selezione di 11 pagine su 47
Diritto canonico Pag. 1 Diritto canonico Pag. 2
Anteprima di 11 pagg. su 47.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Diritto canonico Pag. 6
Anteprima di 11 pagg. su 47.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Diritto canonico Pag. 11
Anteprima di 11 pagg. su 47.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Diritto canonico Pag. 16
Anteprima di 11 pagg. su 47.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Diritto canonico Pag. 21
Anteprima di 11 pagg. su 47.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Diritto canonico Pag. 26
Anteprima di 11 pagg. su 47.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Diritto canonico Pag. 31
Anteprima di 11 pagg. su 47.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Diritto canonico Pag. 36
Anteprima di 11 pagg. su 47.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Diritto canonico Pag. 41
Anteprima di 11 pagg. su 47.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Diritto canonico Pag. 46
1 su 47
D/illustrazione/soddisfatti o rimborsati
Disdici quando
vuoi
Acquista con carta
o PayPal
Scarica i documenti
tutte le volte che vuoi
Estratto del documento

IL PURGATORIO

Per la Chiesa al momento della morte non si dà necessariamente l’alternativa tra perdizione e salvezza, esiste

un secondo regno dove lo spirito umano si purga e diventa degno di salire al cielo, il Purgatorio. Nella fede

nel Purgatorio si esprime la pietà per i defunti e la tendenza del cattolicesimo a porsi come una dottrina

consolatoria, che non recide il legame tra vivi e morti. La Chiesa possiede un tesoro infinito, che è un tesoro

tutto spirituale ed interiore perché si compone di tutti i meriti del Cristo e dei suoi Santi. Questi meriti

possono poi essere applicati ad un altro e diverso fedele. La Chiesa con questo tesoro può accelerare il

processo di purificazione delle anime dei defunti e anticipare la loro liberazione dal Purgatorio. È su questa

base teologica che la Chiesa ha costituito la sua dottrina delle Indulgenze. Tutte le Indulgenze sono

applicabili alle anime del Purgatorio e possono essere parziali o plenarie (rimettere cioè tutte le pene dovute

ai reati commessi.

IL REGNO CELESTE

Nel Cielo, in un tripudio di luce, c’è la vera città di Dio e da qui Angeli e Santi irrompono nella nostra

storia ed entrano nella nostra vita. La Fede nei Santi ha fatto sì che la Chiesa proponesse ad indicare alcuni

fedeli defunti, distinti per le loro virtù e i loro meriti, alla venerazione dei fedeli. In un primo tempo

l’acclamazione dei santi Seguì spontaneamente ad opera dell’assemblea dei fedeli; ma ben presto i Vescovi

avocarono a sé il controllo dei meriti e delle virtù degli eletti, fino a che, per la sua delicatezza, tale

competenza venne avocata al solo Pontefice. Successivamente venne istituito per procedere alle

beatificazioni e alle canonizzazioni un vero tribunale. Il codex juris canonici regola minuziosamente questo

processo.

GLI ATTI DEL CONCILIO

Un rilevante problema è quello sul valore giuridico degli atti del Concilio; c’è chi nega questo valore e

c’è chi lo attribuisce alla totalità degli atti. Il canonista può stabilire solo in astratto se gli atti del Concilio

hanno valore giuridico, se non c’è alcun elemento ostativo che si opponga a questa virtualità; se poi una

singola disposizione del Concilio abbia o meno carattere giuridico, questo è un giudizio da dare in concreto,

con un’indagine di carattere analitico che tenga conto della varietà dei dati e delle situazioni. L’unico modo

per dire se un atto del Concilio ha valore giuridico, è analizzare ogni singola proposizione e definirne di volta

in volta la natura giuridica o meno. Un primo accertamento è quello di verificare se gli atti del Concilio

presentino le note distintive formali che, nell’ordinamento canonico, possano fungere da indici sintomatici

del loro carattere normativo. È concepibile che un atto conciliare che presenti le caratteristiche formali

proprie dell’atto legislativo, si riveli poi, sotto il profilo sostanziale, dotato di diversa natura. È necessaria

quindi una successiva indagine sostanziale. Il primo indice formale è dato dall’intitolazione dell’atto

conciliare: il primo in ordine di tempo, ma anche il più labile fra tutti perché gli intitolati legislativi non

vincolano l’interprete. Inoltre, perché vi sia un atto legislativo, in qualsiasi ordinamento, occorre:

- che sia emanato da un soggetto competente;

- che sia promulgato dall’organo che ha il potere di promulgazione;

- che sia pubblicato a cura di quest’ultimo.

Non vi è dubbio che questi indici formali siano presenti negli atti conciliari: infatti provengono dal

Concilio, che ha giurisdizione suprema, cioè potestà legislativa suprema sulla Chiesa universale; inoltre sono

approvati e promulgati dal Papa con una formula che non ammette equivoci; infine sono pubblicati, come

tutti gli atti legislativi della Chiesa aventi portata universale, negli “Acta Apostolicae Sedis”.

L’analisi successiva è quella sostanziale. La Chiesa ha diverse potestà (giurisdizione, ordine…) e quindi

diversi possono essere, nella sostanza, gli atti che promanano dalla suprema potestà del Concilio. Inoltre un

Concilio non sempre e non solo disciplina sul piano giuridico i rapporti tra i fedeli, ma più spesso detta delle

direttive di carattere pastorale, si limita a fare delle esortazioni di carattere morale.

La dottrina post-conciliare si è poi posta il problema della ricezione degli atti conciliari. È indubbio che

un gruppo di atti siano immediatamente applicabili: si tratta delle norme di diritto divino, positivo o naturale,

proclamate dal Concilio, che sono irrefragabili. Per le proposizioni normative del Concilio che derivano

dallo jus humanae constitutionis, si è aperto un dibattito sulla loro qualificazione e sul grado di precettività.

Il primo orientamento è stato quello di distinguere tra norme precettive e norme programmatiche: sarebbero

precettive le norme d’immediata applicazione rivolte a tutti i consociati; sarebbero programmatiche le norme

contenenti un programma la cui applicazione sarebbe a carico del legislatore futuro. La conclusione cui si è

giunti è stata l’affermare che le norme di diritto umano del Concilio sarebbero norme programmatiche, la cui

attuazione sarebbe rimessa al legislatore futuro. Il legislatore ordinario, il Papa, potrebbe discostarsi da una

norma programmatica del Concilio, senza che ciò comporti l’invalidità della norma d’attuazione. Più

congruo sarebbe stato il ricorso alle norme direttive, quelle norme che il Papa è tenuto a rispettare e a tenere

in considerazione senza discostarsene. La nostra dottrina costituzionalistica, la teoria del diritto in generale,

distingue solo tra norme-principio, qualificatrici dell’intero ordinamento, e norme di struttura, che dettano

regole di organizzazione o disciplinano attività e rapporti concreti. Queste norme principio saranno desunte

non solo dalle singole proposizioni prescrittive contenute nei documenti conciliari, ma anche dallo “spirito

del Concilio” che si coglie attraverso la lettura del Magistero conciliare. Anche il Papa deve osservare una

serie di regole e non è soggetto solo a Dio.

LA CHIESA COME SOCIETA’

Basta leggere la costituzione Gaudium et Spes per ritrovare l’affermazione relativa alla Chiesa di

ordinamento indipendente ed autonomo. Il Concilio ha arricchito questa nozione giuridica con altre

rappresentazioni: quella della Chiesa raffigurata come nuovo popolo di Dio, quella della Chiesa corpo

mistico di Cristo. Nel codice giovanneo-paolino del 1983 è ribadito che la Chiesa è ordinata nel mondo come

società, governata dal successore di Pietro e dai Vescovi; è anche sottolineato che i fedeli incorporati a Cristo

mediante il battesimo, sono costituiti popolo di Dio. La differenza, nel nuovo codice, sta nel sottolineare che

l’elemento che unisce i fedeli, il segno della loro incorporazione con Cristo, non è solo quello della loro

sottoposizione al governo ecclesiastico, ma anche quello della loro professione di fede nonché della loro

partecipazione ai Sacramenti. La Chiesa è spesso paragonata a due modelli di democrazia: democrazia

borghese e popolare. Il primo è quello della democrazia borghese dove rileva il cittadino,

indipendentemente dal ceto sociale, e lo Stato che è la sommatoria delle volontà dei singoli. Questo modello

presuppone una concezione secondo la quale l’uomo è artefice del proprio destino e, attraverso la formazione

della volontà generale, detta le regole per la convivenza. Opposta è la concezione della Chiesa che non

conosce cittadini, ma fedeli che diventano suoi membri tramite un rito sacramentale e non con un rapporto

giuridico come la cittadinanza; che non conosce governanti democraticamente eletti, ma pastori dotati di

carisma particolare; che non dà importanza alla volontà generale, ma attende dall’ispirazione divina.

Rimosso deve essere anche il modello di democrazia popolare in cui rileva la figura del lavoratore e della

fabbrica.

GLI UFFICI

Una prima innovazione del Concilio è di carattere linguistico: il termine potestà è un residuo della

concezione giuridica di derivazione romanistica, e sta ad indicare una posizione di supremazia di un

soggetto, alla quale corrisponde una posizione di soggezione di altri soggetti. Nei decreti conciliari non si

parla solo di potestà della Chiesa ma anche di munera o uffici, che sono tre: l’ufficio sacerdotale, l’ufficio

regale, e l’ufficio profetico. Alla bipartizione delle potestà subentra la tripartizione degli uffici: l’ ufficio

sacerdotale corrisponde alla potestà d’ordine, l’ufficio regale alla potestà di giurisdizione e all’ufficio

profetico corrisponde a quanto pare il Magistero ecclesiastico.

IL COLLEGIO DEI VESCOVI

Il termine collegio, usato nella costituzione Lamen Gentium, significa gruppo stabile la cui struttura ed

autorità deve esser desunta dalla Rivelazione, e si precisa che per la stessa ragione per il Collegio dei

Vescovi si usano parole come Ordine o Corpo. Il collegio non solo non può operare, ma non esiste senza il

Papa. La costituzione Lamen Gentium menziona un primo modo d’esercizio della collegialità: ed è quello

che si ha quando si convoca un Concilio ecumenico. Poi ne menziona un secondo che consiste

nell’espressione extraconciliare della comune volontà di tutti i Vescovi. La collegialità extraconciliare può

esser esercitata dai Vescovi sparsi in tutto il mondo, sia quando il Papa li chiami ad un’azione collegiale, sia

che egli approvi o liberamente accetti l’azione congiunta dei Vescovi dispersi. Come l’atto conciliare deve

esser approvato dal Papa, l’atto extraconciliare deve esser almeno accettato dal Papa; e come nell’atto

conciliare concorrono tutti i Vescovi, tutti i Vescovi devono poter concorrere alla formazione dell’atto

extraconciliare. Se il primo dei titoli attribuiti al Papa, dopo quello di Vescovo della Chiesa di Roma, perciò

successore di Pietro, è quello di Capo del Collegio, ciò vale a mettere in evidenza il fatto che egli, prima

ancora che membro del collegio come gli altri Vescovi, ne è la guida suprema.

IL SINODO DEI VESCOVI

Nell’esercizio del suo ufficio il Papa è aiutato dai Vescovi e dai padri cardinali. Una collaborazione al

Supremo Pastore, la possono dare i Vescovi scelti da diverse regioni del mondo, riuniti nel consiglio

chiamato Sinodo dei Vescovi. Il Pontefice può convocare l’assemblea generale o ordinaria, l’assemblea

straordinaria e le assemblee speciali. L’assemblea generale del Sinodo è convocata quando si debbano

trattare questioni che comportino, per la loro natura, l&rsq

Dettagli
Publisher
A.A. 2010-2011
47 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/11 Diritto canonico e diritto ecclesiastico

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Bona86 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto canonico e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università Cattolica del "Sacro Cuore" o del prof Chizzoniti Antonio Giuseppe Maria.