Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
IL PURGATORIO
Per la Chiesa al momento della morte non si dà necessariamente l’alternativa tra perdizione e salvezza, esiste
un secondo regno dove lo spirito umano si purga e diventa degno di salire al cielo, il Purgatorio. Nella fede
nel Purgatorio si esprime la pietà per i defunti e la tendenza del cattolicesimo a porsi come una dottrina
consolatoria, che non recide il legame tra vivi e morti. La Chiesa possiede un tesoro infinito, che è un tesoro
tutto spirituale ed interiore perché si compone di tutti i meriti del Cristo e dei suoi Santi. Questi meriti
possono poi essere applicati ad un altro e diverso fedele. La Chiesa con questo tesoro può accelerare il
processo di purificazione delle anime dei defunti e anticipare la loro liberazione dal Purgatorio. È su questa
base teologica che la Chiesa ha costituito la sua dottrina delle Indulgenze. Tutte le Indulgenze sono
applicabili alle anime del Purgatorio e possono essere parziali o plenarie (rimettere cioè tutte le pene dovute
ai reati commessi.
IL REGNO CELESTE
Nel Cielo, in un tripudio di luce, c’è la vera città di Dio e da qui Angeli e Santi irrompono nella nostra
storia ed entrano nella nostra vita. La Fede nei Santi ha fatto sì che la Chiesa proponesse ad indicare alcuni
fedeli defunti, distinti per le loro virtù e i loro meriti, alla venerazione dei fedeli. In un primo tempo
l’acclamazione dei santi Seguì spontaneamente ad opera dell’assemblea dei fedeli; ma ben presto i Vescovi
avocarono a sé il controllo dei meriti e delle virtù degli eletti, fino a che, per la sua delicatezza, tale
competenza venne avocata al solo Pontefice. Successivamente venne istituito per procedere alle
beatificazioni e alle canonizzazioni un vero tribunale. Il codex juris canonici regola minuziosamente questo
processo.
GLI ATTI DEL CONCILIO
Un rilevante problema è quello sul valore giuridico degli atti del Concilio; c’è chi nega questo valore e
c’è chi lo attribuisce alla totalità degli atti. Il canonista può stabilire solo in astratto se gli atti del Concilio
hanno valore giuridico, se non c’è alcun elemento ostativo che si opponga a questa virtualità; se poi una
singola disposizione del Concilio abbia o meno carattere giuridico, questo è un giudizio da dare in concreto,
con un’indagine di carattere analitico che tenga conto della varietà dei dati e delle situazioni. L’unico modo
per dire se un atto del Concilio ha valore giuridico, è analizzare ogni singola proposizione e definirne di volta
in volta la natura giuridica o meno. Un primo accertamento è quello di verificare se gli atti del Concilio
presentino le note distintive formali che, nell’ordinamento canonico, possano fungere da indici sintomatici
del loro carattere normativo. È concepibile che un atto conciliare che presenti le caratteristiche formali
proprie dell’atto legislativo, si riveli poi, sotto il profilo sostanziale, dotato di diversa natura. È necessaria
quindi una successiva indagine sostanziale. Il primo indice formale è dato dall’intitolazione dell’atto
conciliare: il primo in ordine di tempo, ma anche il più labile fra tutti perché gli intitolati legislativi non
vincolano l’interprete. Inoltre, perché vi sia un atto legislativo, in qualsiasi ordinamento, occorre:
- che sia emanato da un soggetto competente;
- che sia promulgato dall’organo che ha il potere di promulgazione;
- che sia pubblicato a cura di quest’ultimo.
Non vi è dubbio che questi indici formali siano presenti negli atti conciliari: infatti provengono dal
Concilio, che ha giurisdizione suprema, cioè potestà legislativa suprema sulla Chiesa universale; inoltre sono
approvati e promulgati dal Papa con una formula che non ammette equivoci; infine sono pubblicati, come
tutti gli atti legislativi della Chiesa aventi portata universale, negli “Acta Apostolicae Sedis”.
L’analisi successiva è quella sostanziale. La Chiesa ha diverse potestà (giurisdizione, ordine…) e quindi
diversi possono essere, nella sostanza, gli atti che promanano dalla suprema potestà del Concilio. Inoltre un
Concilio non sempre e non solo disciplina sul piano giuridico i rapporti tra i fedeli, ma più spesso detta delle
direttive di carattere pastorale, si limita a fare delle esortazioni di carattere morale.
La dottrina post-conciliare si è poi posta il problema della ricezione degli atti conciliari. È indubbio che
un gruppo di atti siano immediatamente applicabili: si tratta delle norme di diritto divino, positivo o naturale,
proclamate dal Concilio, che sono irrefragabili. Per le proposizioni normative del Concilio che derivano
dallo jus humanae constitutionis, si è aperto un dibattito sulla loro qualificazione e sul grado di precettività.
Il primo orientamento è stato quello di distinguere tra norme precettive e norme programmatiche: sarebbero
precettive le norme d’immediata applicazione rivolte a tutti i consociati; sarebbero programmatiche le norme
contenenti un programma la cui applicazione sarebbe a carico del legislatore futuro. La conclusione cui si è
giunti è stata l’affermare che le norme di diritto umano del Concilio sarebbero norme programmatiche, la cui
attuazione sarebbe rimessa al legislatore futuro. Il legislatore ordinario, il Papa, potrebbe discostarsi da una
norma programmatica del Concilio, senza che ciò comporti l’invalidità della norma d’attuazione. Più
congruo sarebbe stato il ricorso alle norme direttive, quelle norme che il Papa è tenuto a rispettare e a tenere
in considerazione senza discostarsene. La nostra dottrina costituzionalistica, la teoria del diritto in generale,
distingue solo tra norme-principio, qualificatrici dell’intero ordinamento, e norme di struttura, che dettano
regole di organizzazione o disciplinano attività e rapporti concreti. Queste norme principio saranno desunte
non solo dalle singole proposizioni prescrittive contenute nei documenti conciliari, ma anche dallo “spirito
del Concilio” che si coglie attraverso la lettura del Magistero conciliare. Anche il Papa deve osservare una
serie di regole e non è soggetto solo a Dio.
LA CHIESA COME SOCIETA’
Basta leggere la costituzione Gaudium et Spes per ritrovare l’affermazione relativa alla Chiesa di
ordinamento indipendente ed autonomo. Il Concilio ha arricchito questa nozione giuridica con altre
rappresentazioni: quella della Chiesa raffigurata come nuovo popolo di Dio, quella della Chiesa corpo
mistico di Cristo. Nel codice giovanneo-paolino del 1983 è ribadito che la Chiesa è ordinata nel mondo come
società, governata dal successore di Pietro e dai Vescovi; è anche sottolineato che i fedeli incorporati a Cristo
mediante il battesimo, sono costituiti popolo di Dio. La differenza, nel nuovo codice, sta nel sottolineare che
l’elemento che unisce i fedeli, il segno della loro incorporazione con Cristo, non è solo quello della loro
sottoposizione al governo ecclesiastico, ma anche quello della loro professione di fede nonché della loro
partecipazione ai Sacramenti. La Chiesa è spesso paragonata a due modelli di democrazia: democrazia
borghese e popolare. Il primo è quello della democrazia borghese dove rileva il cittadino,
indipendentemente dal ceto sociale, e lo Stato che è la sommatoria delle volontà dei singoli. Questo modello
presuppone una concezione secondo la quale l’uomo è artefice del proprio destino e, attraverso la formazione
della volontà generale, detta le regole per la convivenza. Opposta è la concezione della Chiesa che non
conosce cittadini, ma fedeli che diventano suoi membri tramite un rito sacramentale e non con un rapporto
giuridico come la cittadinanza; che non conosce governanti democraticamente eletti, ma pastori dotati di
carisma particolare; che non dà importanza alla volontà generale, ma attende dall’ispirazione divina.
Rimosso deve essere anche il modello di democrazia popolare in cui rileva la figura del lavoratore e della
fabbrica.
GLI UFFICI
Una prima innovazione del Concilio è di carattere linguistico: il termine potestà è un residuo della
concezione giuridica di derivazione romanistica, e sta ad indicare una posizione di supremazia di un
soggetto, alla quale corrisponde una posizione di soggezione di altri soggetti. Nei decreti conciliari non si
parla solo di potestà della Chiesa ma anche di munera o uffici, che sono tre: l’ufficio sacerdotale, l’ufficio
regale, e l’ufficio profetico. Alla bipartizione delle potestà subentra la tripartizione degli uffici: l’ ufficio
sacerdotale corrisponde alla potestà d’ordine, l’ufficio regale alla potestà di giurisdizione e all’ufficio
profetico corrisponde a quanto pare il Magistero ecclesiastico.
IL COLLEGIO DEI VESCOVI
Il termine collegio, usato nella costituzione Lamen Gentium, significa gruppo stabile la cui struttura ed
autorità deve esser desunta dalla Rivelazione, e si precisa che per la stessa ragione per il Collegio dei
Vescovi si usano parole come Ordine o Corpo. Il collegio non solo non può operare, ma non esiste senza il
Papa. La costituzione Lamen Gentium menziona un primo modo d’esercizio della collegialità: ed è quello
che si ha quando si convoca un Concilio ecumenico. Poi ne menziona un secondo che consiste
nell’espressione extraconciliare della comune volontà di tutti i Vescovi. La collegialità extraconciliare può
esser esercitata dai Vescovi sparsi in tutto il mondo, sia quando il Papa li chiami ad un’azione collegiale, sia
che egli approvi o liberamente accetti l’azione congiunta dei Vescovi dispersi. Come l’atto conciliare deve
esser approvato dal Papa, l’atto extraconciliare deve esser almeno accettato dal Papa; e come nell’atto
conciliare concorrono tutti i Vescovi, tutti i Vescovi devono poter concorrere alla formazione dell’atto
extraconciliare. Se il primo dei titoli attribuiti al Papa, dopo quello di Vescovo della Chiesa di Roma, perciò
successore di Pietro, è quello di Capo del Collegio, ciò vale a mettere in evidenza il fatto che egli, prima
ancora che membro del collegio come gli altri Vescovi, ne è la guida suprema.
IL SINODO DEI VESCOVI
Nell’esercizio del suo ufficio il Papa è aiutato dai Vescovi e dai padri cardinali. Una collaborazione al
Supremo Pastore, la possono dare i Vescovi scelti da diverse regioni del mondo, riuniti nel consiglio
chiamato Sinodo dei Vescovi. Il Pontefice può convocare l’assemblea generale o ordinaria, l’assemblea
straordinaria e le assemblee speciali. L’assemblea generale del Sinodo è convocata quando si debbano
trattare questioni che comportino, per la loro natura, l&rsq