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IMPEDIMENTI
diritto si chiamano .
Gli impedimenti si dividono in 2 categorie:
1- Impedimenti dirimenti: sono quelli che rendono nullo il matrimonio (impediscono
la valida celebrazione del matrimonio).
2- Impedimenti impedienti: sono quelle circostanze di fatto che impediscono la
lecita celebrazione del matrimonio. Questo vuol dire che il matrimonio è valido
ma illecito. L’illiceità del matrimonio comporterà un certo tipo di sanzione magari
a carico di chi ha assistito le nozze. 52
Il codice attuale di diritto canonico disciplina solo gli impedimenti dirimenti. Fa un
elenco tassativo di questi impedimenti (a partire dal canone 1083).
Gli impedimenti impedienti non sono più regolati dal codice. Il matrimonio viene
celebrato validamente, a dispetto di una norma. Il matrimonio quindi risulterà valido ma
illecito.
Esempio di impedimento impediente Il canone 1077 dispone che: “l’ordinario del luogo
può vietare il matrimonio a tutti coloro che attualmente vivono nella sua diocesi in casi
peculiari, ma solo per un determinato periodo di tempo”. L’ordinario del luogo può
rinviare per un determinato periodo di tempo il matrimonio fra due soggetti. Qualora
invece i soggetti se ne fregassero e il matrimonio fosse assistito da un sacerdote,
questo sarebbe valido ma illecito in quanto contrario all’ordine del vescovo.
Ci sono poi figure ostative al matrimonio diverse dagli impedimenti:
- Divieto di celebrare matrimoni nel periodo che va dall’avvento al Natale o nel
periodo che va dalle ceneri a Pasqua (cd. quaresima): si tratta di situazioni in
cui i celebranti sconsigliano di celebrare il matrimonio. Qualora ci fosse
necessità, lo ius connubi (il diritto di contrarre matrimonio) supera questi divieti.
Impedimenti dirimenti: libro 4°, in particolare capitolo III del titolo VII prende il nome
di “impedimenti dirimenti in specie”. A partire dal canone 1083 troveremo la disciplina
specifica degli impedimenti dirimenti. impedimento dell’età
Il primo impedimento contemplato nel canone 1083 è l’ :
“l’uomo prima dei 16 anni compiuti e la donna prima dei 14 pure compiuti non possono
celebrare un valido matrimonio”. Il primo impedimento consiste nella celebrazione del
matrimonio prima del compimento degli anni 16 per l’uomo e degli anni 14 per la donna.
L’età scelta dal diritto canonico indica presumibilmente il raggiungimento psico-fisico
dell’uomo e della donna (maturità che consente di essere capaci di comprendere il
matrimonio contratto e il matrimonio rapporto ed essere capaci di poter procreare).
L’impedimento dell’età è di diritto umano perché è un’età che il legislatore ha scelto e
quindi è possibile darne dispensa nel senso che sarà possibile autorizzare un infra-
quattordicenne/infra-sedicenne purché sia accertata la maturità psico-fisica.
La capacità di unirsi in matrimonio si raggiunge con la maggiore età, ad eccezione
dell’emancipazione per cui il giudice può accertare la maturità psico-fisica dei due
ragazzi ed autorizzarli a contrarre matrimonio ad anni 16.
La CEI (che raggruppa i fedeli della nazione italiana) nel 1983, con la delibera n. 10, ha
stabilito una regola di diritto particolare che stabilisce che: “per la lecita celebrazione
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del matrimonio l’età dei nubendi è di anni 18”. Nel 1984 vi è il nuovo concordato. Nel
caso di mancato rispetto di questa norma siamo in presenza di una sanzione. Il
matrimonio sarebbe valido ma avviene non nel rispetto di una norma di diritto
particolare.
Quindi, nell’ottica dell’ordinamento canonico, due persone che non hanno compiuto la
maturità ma che hanno compiuto 16 anni e non hanno avuto nessun procedimento di
emancipazione. Questo matrimonio è valido ma illecito (in quanto va contro la circolare
della CEI). Per l’ordinamento italiano invece non ha nessun tipo di valore.
La seconda ipotesi può essere quella di due persone in cui il ragazzo ha 16 anni e la
ragazza 14 anni. Questo matrimonio risulta valido per l’ordinamento canonico e non per
quello italiano.
Se contraggo matrimonio canonico nel rispetto dell’età prevista dal codice ma a dispetto
dell’età prevista dalla circolare della CEI, io contraggo un matrimonio valido ma illecito.
Ci troviamo di fronte ad un caso di impedimento impediente.
Il canone 1083, par. 2: “la CEI è libera di fissare un’età maggiore per la lecita
celebrazione del matrimonio”.
impedimento da impotenza
Il canone 1084 prevede l’ : “l’impotenza copulativa
antecedente e perpetua, sia da parte dell’uomo e sia da parte della donna, assoluta o
relativa, per sua stessa natura rende nullo il matrimonio”.
Impotenza copulativa (impotenza coeundi) vuol dire incapacità ad avere un rapporto
sessuale e quindi affianchiamo ad essa l’impotenza procreativa (impotenza generandi).
Il codice prende in considerazione solo l’impotenza copulativa, antecedente e perpetua:
Antecedente al matrimonio
Perpetua, cioè non può essere derivante da un episodio al matrimonio e
opportunamente curato per cui l’impotenza viene meno.
Come mai l’ordinamento canonico non prende in considerazione l’impotenza procreativa
ma solo quella copulativa? L’ordinamento canonico distingue un’actio umana (possibilità
dell’uomo e della donna di unirsi) e un’actio naturae (actio della natura e quindi ascrivibile
al diritto naturale: è quella che fa sì che dall’unione possa scaturire la procreazione).
L’ordinamento canonico ha sempre ritenuto che l’uomo e la donna possono essere padroni
solo dell’actio umana. L’actio naturae non deve essere oggetto di intervento umano. Noi
siamo padroni di governare solo ed esclusivamente l’actio umana.
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Nel caso di una persona sterile che può porre in essere l’actio umana, l’ordinamento
canonico consente il matrimonio perchè i due soggetti non possono intervenire sull’actio
naturae.
Il concetto che sottostà all’impedimento di impotenza è che l’ordinamento canonico si
accontenta del fatto che sia posta in essere un’azione umana.
Il 1° paragrafo parla del canone di impotenza assoluta o relativa:
- Assoluta: nei confronti di chiunque;
- Relativa: solo nei confronti di un determinato soggetto.
Il 2° paragrafo afferma che: “se l’impedimento di impotenza è dubbio, sia per dubbio di
diritto sia per dubbio di fatto, il matrimonio non deve essere impedito né, stante il
dubbio, dichiarato nullo”. Vuol dire che se c’è del dubbio sull’impotenza maschile o
femminile, l’impedimento non può essere rilevato e il matrimonio non può essere
dichiarato nullo. Questo risponde al principio del favor matrimonii.
Sisto V nel 1587 con un breve, una tipologia di atto pontificio, chiamato “cum
frequenter” (le prime due parole del decreto) dichiara nulli con effetto retroattivo in
Spagna, e poi estendendoli a tutto il mondo cattolico, tutti i matrimoni contratti da
eunuchi e spadoni.
Eunuchi: deriva dal greco e vuol dire “custode del letto”. Nasce dalla tradizione
araba di custodire l’arem. Si tratta di un soggetto che nasce con caratteri
maschili, atrofizzati o talmente ridotti, per cui è incapace di procreare.
Spadoni: persone che vengono castrate prima dell’inizio della maturità, quindi alla
fine dell’età adolescenziale. Questa pratica rispondeva all’esigenza di mantenere
la voce acuta tipica dei bambini.
Nella Spagna vigeva un particolare istituto che prevedeva che il patrimonio andasse solo
al figlio primogenito o, in assenza, andasse alle persone più prossime al defunto. Certe
nobili donne spagnole decidevano di sposarsi con eunuchi o spadoni affinché fossero
certe di non poter generare prole. Questo anche perché, in molti casi, sia l’eunuco che
lo spadone non perdevano la capacità erettile.
Con queste unioni avveniva una copula saziativa ma non una copula fecondativa.
Sisto V ritiene queste unioni contro natura perché si tratta di unioni da cui non poteva
nascere alcun frutto. Quindi, per Sisto V, la copula saziativa che non poteva essere
fecondativa era semplicemente un vizio perché portava solo piacere e non procreazione.
Con il decreto “Cum Frequenter” dichiara nulli tutti i matrimoni celebrati e impedisce
per il futuro che venissero celebrati matrimoni tra eunuchi/spadoni e donne.
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Il decreto è importante perché Sisto V basa la nullità di questi matrimoni sul fatto che
manca non la copula ma l’emissione di verum semen (seme vero: che veniva elaborato
dalle ghiandole testicolari). Però ci poteva essere una copula, quindi l’unione dell’uomo
della donna con emissione di altro tipo di liquido.
Questo decreto venne applicato costantemente nel corso dei secoli.
L’interpretazione costante della giurisprudenza fu quella del tribunale della Rota
Romana, cioè il tribunale di ultima istanza per le cause di nullità matrimoniale.
La sacra Rota Romana interpretò costantemente che ci fosse impotenza anche solo
qualora mancasse la copula procreativa.
Dopo la seconda guerra mondiale, e soprattutto dopo il regime nazista, si pose un grosso
problema: fu pratica del nazismo quello di operare la vasectomia nei soggetti maschi di
razza non pura (non ariana). La vasectomia impedisce la formazione di vero seme. Si
creò un problema di ammettere al matrimonio o meno quelle persone che erano state
sottoposte a vasectomia e che quindi potevano porre in essere una copula satisfattiva
che però certamente non poteva generare prole.
La Sacra Rota Romana continuò però a sostenere che per non rientrare nel caso di
impotenza occorreva l’emissione di verum semen.
Si arriva al Decreto del 1977 ad opera della Sacra Congregazione per la Dottrina e la
Fede per cui, sottoposta ad un quesito, la Sacra Congregazione sancisce che l’impotenza
rende nullo il matrimonio e consiste in un’incapacità antecedente perpetua, assoluta e
relativa, di compiere la copula coniugale ma ritiene che non sia necessaria, nel caso di
copula fra uomo e donna, l’emissione di verum semen. In questo modo, dopo secoli, si
risolve definitivamente una questione nata alla fine del 16° secolo.
Nell’impedimento di impotenza si ritiene sia sufficiente l’unione tra uomo e donna e non
sia necessaria la capacità procreativa.
Prima di questo Decreto vi fu il Concilio Vaticano II in cui si decise di non dare
preminenza al bonum prolis ma di porre tutti i bona sul