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I RAGGRUPPAMENTI DI CHIESE PARTICOLARI:
il nuovo Codice disciplina le particolari strutture di comunione tra le Chiese particolari che
evidenziano la collaborazione dei Vescovi al di là delle loro Diocesi per il bene comune della
Chiesa stessa: la Provincia e la Regione ecclesiastica, i Concili particolari e, sul piano nazionale, le
Conferenze Episcopali…
Provincie e regioni ecclesiastiche:
dall’esigenza di promuovere un’azione pastorale comune da parte di diverse Diocesi vicine
secondo le circostanze di persone e di luogo scaturiscono le Province e le Regioni ecclesiastiche,
organismi creati anche per favorire in modo più adeguato i mutui rapporti dei Vescovi diocesani.
Per Provincia ecclesiastica si intende il raggruppamento di più Chiese particolari contigue sotto la
guida del Concilio provinciale e del Metropolita. Tale organismo, di cui devono far parte tutte le
Chiese particolari esistenti nel territorio, viene costituito dalla suprema autorità della Chiesa e gode
della personalità giuridica canonica.
Metropoliti= a capo della provincia ecclesiastica vi è il Metropolita cioè l’Arcivescovo della Diocesi
più importante della Provincia stessa e che assume in nome di Diocesi metropolitana; le altre
vengono denominate “suffraganee”.
La potestà di governo spettante al Metropolita sulle Diocesi suffraganee è abbastanza ristretta
come si desume dal CAN 436.
Il Metropolita, in segno di riconoscimento della sua potestà, ha il dovere di chiedere, entro 3 mesi
dalla consacrazione episcopale il “pallio” al Romano Pontefice (consistente in una stola di lana
bianca con 6 croci nere che rappresenta una sorta di sottomissione del Metropolita e di tutta la
Provincia alla potestà che viene riconosciuta alla Chiesa di Roma e al Romano Pontefice) e ha il
diritto di portarlo con sè a tutte le attività liturgiche che vengono svolte all’interno della Provincia da
lui presieduta.
Conferenze episcopali:
anche se la Chiesa è del tutto svincolata dai limiti territoriali, pur tuttavia, operando essa nel mondo
terreno, tiene talvolta conto delle divisioni nazionali e assume come ambito limitato d’azione il
territorio dei singoli Stati.
Così nell’organizzazione della Chiesa si è finito con l’imporre accettata dallo stesso Concilio
Vaticano II l’esistenza di organismi della Chiesa limitati nell’ambito di una singola nazione. Di qui la
nascita delle Conferenze nazionali dei Vescovi i cui compiti sono destinati a crescere sempre più
nel tempo e che il Codice ha denominato “Conferenze episcopali”.
L’erezione di una Conferenza episcopale è di esclusiva competenza della Santa Sede e comporta
automaticamente l’acquisto della personalità giuridica canonica.
Secondo il CAN 447, la Conferenza episcopale è un organismo di per sé permanente ed è
l’assemblea dei Vescovi di una nazione o di un territorio determinato, i quali esercitano
congiuntamente alcune funzioni pastorali per i fedeli di quel territorio per promuovere
maggiormente il bene che la Chiesa offre agli uomini soprattutto mediante forme e modalità di
apostolato opportunamente adeguate alle circostanze di tempo e di luogo, a norma del diritto.
Sono di diritto membri della Conferenza tutti i Vescovi diocesani del territorio nonché i Vescovi
coauditori, ausiliari e quelli titolari aventi un incarico nel territorio stesso.
Sono organi della Conferenza (eletti dalla Conferenza stessa):
- presidente
- consiglio permanente dei Vescovi= ha il compito di preparare le questioni da trattare nella
riunione plenaria della Conferenza e di curare che vengano debitamente eseguite le decisioni
prese in essa. Nelle riunioni plenarie della Conferenza il voto deliberativo compete ai Vescovi
diocesani e a quelli che nel diritto sono loro equiparati, nonché ai Vescovi coauditori.
- segretario generale
Compiti:
sono vastissimi; si può dire che ogni questione che abbia carattere nazionale e riguardi la vita e
l’azione della Chiesa, entra per sua natura nell’ambito di azione della Conferenza.
NB: ogni Conferenza episcopale deve elaborare i propri statuti che devono essere approvati dalla
Sede Apostolica. 25
Potestà legislativa—> la conferenza episcopale può emanare decreti generali solamente nelle
materie in cui lo abbia disposto il diritto universale (bisogna raggiungere i 2/3 dei voti dei Presuli
che appartengono alla Conferenza, dopo essere stati autorizzati dalla Sede Apostolica.
LEZIONE 15 - 31/03
PARROCCHIA= il nuovo Codice prescrive che ogni Diocesi o altra Chiesa particolare sia divisa in
parti distinte o parrocchie. La parrocchia è una determinata comunità di fedeli che viene costituita
stabilmente nell’ambito di una Chiesa particolare e la cui cura pastorale è affidata, sotto l’autorità
del Vescovo diocesano, a un parroco quale suo proprio pastore.
A costituire la parrocchia concorrono:
- un territorio, facente parte della circoscrizione diocesana
- il popolo dei fedeli in essa dimorante
- il pastore per la cura delle anime, chiamato normalmente parroco
NB: se la parrocchia è, come detto, organizzazione prettamente territoriale, possono tuttavia
essere istituite parrocchie personali e cioè basate su una certa unità sociale dei loro membri.
Parroco (CAN 519)= è il pastore proprio della parrocchia affidatagli ad esercitare la cura pastorale
di quella comunità sotto l’autorità del vescovo diocesano, con il quale è chiamato a partecipare al
ministero di Cristo per compiere, al servizio della comunità, le funzioni di insegnare, santificare e
governare anche con la collaborazione di altri presbiteri o diaconi e con l’apporto dei fedeli laici.
Accanto al parroco operano alcuni organismi…
1) Consiglio per gli affari economici (organo obbligatorio)= composto preferibilmente di fedeli laici
i quali aiutano il parroco nell’amministrazione dei beni della parrocchia
2) Consiglio pastorale (organo eventuale)= da costituirsi se il Vescovo lo ritiene opportuno; è
presieduto dal parroco e vi partecipano per prestare il loro aiuto nel promuovere l’attività
parrocchiale tutti coloro che partecipano alla cura pastorale nonché un gruppo di fedeli laici.
Unità pastorali:
di regola ogni parrocchia è affidata a un parroco singolo; il Codice prevede però alcune eccezioni a
questo principio:
- per la scarsità di sacerdoti o per altre circostanze, al parroco può essere affidata la cura di più
parrocchie vicine
- per particolari circostanze la cura pastorale di una parrocchia o di più parrocchie
contemporaneamente può essere affidata in solido a più sacerdoti, uno solo dei quali però ne
dirige l’attività comune e ne risponde davanti al Vescovo (“moderatore”)
- a motivo della scarsità di sacerdoti il Vescovo può affidare ad un diacono o ad una persona non
insignita del carattere sacerdotale (quindi a un laico uomo o donna) o ad una comunità di
persone, una partecipazione nell’esercizio della cura pastorale della parrocchia (in questo caso
però deve essere nominato un sacerdote il quale con la potestà e le facoltà di parroco sia il
moderatore della cura pastorale). 26
LEZIONE 16 - 14/04
DIRITTO PATRIMONIALE CANONICO:
Si discuteva sulla legittimità della proprietà privata. La Chiesa ha necessità di avere un patrimonio?
È una scelta complessa perché nel pensiero della Chiesa l’attenzione per i poveri fa sì che si
sviluppi non solo una “Chiesa per i poveri” ma anche una “Chiesa povera per i poveri”—> l’idea
che viene proposta è che solo a partire dalla povertà si possa comprendere la vita del povero.
In Giuda emergono due questioni importanti:
- la dimensione del rischio
- necessità di un servizio amministrativo= la necessità è messa in luce dall’esistenza di una cassa
del gruppo apostolico e dall’indicazione di due delle finalità a cui essa serviva: comprare
l’occorrente per la festa di Pasqua e dire qualcosa ai poveri
Ai quali si aggiungono altri due fini:
- sostentamento di Gesù e dei suoi discepoli (“sostentamento del clero”)
- necessità della missione evangelica—> senza l’attività rituale e di diffusione di pensiero non c’è
la missione della Chiesa
Culto, pastorale e evangelizzazione, carità, personale ecclesiastico—> sono i 4 fini costitutivi
del possesso e dell’uso dei beni in quanto ecclesiali.
LEZIONE 17 - 15/04
Elaborazione di un pensiero che vuole che l’attività caritativa non debba essere considerata alla
mera assistenza e beneficienza ma abbia un fondamento teologico e strutturi il fondamento stesso
della Chiesa cattolica.
La comunità apostolica era povera ma non pauperista, cioè animata da grande tensione
escatologica (proiettata verso l’aldilà cioè in una situazione che non è “ricerca sulla terra”) ma non
disincantata dalla storia concreta e dalle esigenze pratiche del vivere insieme per perseguire una
missione comune—> le comunità cristiane pensavano già da allora di vivere l’esperienza cristiana
nella vita comune e proiettare anche per il futuro la loro esperienza (esperienza che non si
esauriva nella speranza dell’aldilà).
La speranza dell’aldilà era qualcosa che doveva essere sviluppata attraverso un’azione e
un’attività comunitaria nel secolo.
Questa idea ha un suo risvolto anche sulla necessità di confrontarsi sul tema del patrimonio—>
avere una cassa significa avere anche un “rischio”.
L’evangelista Giovanni mette in capo a Giuda (amministratore dell’epoca) due imputazioni:
- a Giuda non importava nulla dei poveri
- Giuda era un ladro e quindi prendeva quello che mettevano dentro alla cassa
NB: nel Vangelo troviamo la ricostruzione non solo degli scopi ma la consapevolezza dei rischi
nella gestione dei grandi patrimoni. Un rischio ad esempio è quello di slacciarsi dalle finalità (a
discapito dei poveri).
Serve un’amministrazione “virtuosa” (corretta):
- assicurare che i beni della Chiesa servano a queste finalità
- conservare e migliorare le risorse sotto il profilo della qualità e anche della quantità
- la promozione dell’ordine, della chiarezza, dei doveri di giustizia connessi alla gestione dei beni
- far sì che una buona gestione die beni permetta di incrementare
- instaurazione di un corretto rapporto con le istituzioni della società civile
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PRINCIPI GENERALI (del diritto patr