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Nella filosofia kelseniana, la rappresentazione nomodinamica
dell’ordinamento è quella che più mostra il momento decisionistico,
come sopra inteso, del fenomeno giuridico perché vuole fornire un
modello in cui le norme fungono come schema per la legittima
fondazione di atti decisionistici.
LA NORMA
La norma giuridica appartiene a quella più vasta famiglia della norma
sociale.
Un'analisi dettagliata degli ordinamenti giuridici contemporanei,
complessi e articolati, deve preferire un modello di sistema giuridico non
riduzionistico ossia non come quello kelseniano che si riduce ad
individuare uno specifico elemento (quello sanzionatorio) per tutte le
norme. Hart quando parla delle norme conferenti poteri privati, come
quelle che danno la possibilità di stipulare contratti, redigere testamenti,
sembra non essere consapevole del fatto che anche queste norme
fungono da strumento per il controllo del comportamento sociale.
“il concetto della legge”
Hart con il suo libro fornisce un approccio
sociologico che ha il diritto non solo tramite le norme di riconoscimento
ma anche con l'attenzione volta al comportamento dei consociati al fine
di postulare soluzioni ai ricorrenti problemi giuridici.
Viceversa, non è da ritenere sociologica la teoria istituzionalista di Santi
Romano, la quale si concentra molto sul rapporto tra le norme e le
istituzioni e poco sul rapporto tra le norme e il comportamento sociale;
dunque, è da ritenere sociologica soltanto la teoria che riesce a
esprimere il ruolo che il comportamento umano gioca nell'ambito del
fenomeno giuridico senza che questo venga visto staticamente sussunto
in norme o istituzioni.
L'esistenza di una norma avviene tramite l'operazione di riconoscimento
ossia un procedimento logico tendente a dare un possibile significato
razionale all'atto decisionale;
dunque, una norma è operante quando permette di reperire un modello
che possa fungere da schema di qualificazione del proprio
comportamento.
Che tipo di rapporto intercorre tra la norma così concepita e la decisione?
Nonostante si parta dall'ipotesi che la norma è un prodotto dell'attività
scientifico conoscitiva ovvero è uno schema per la comprensione e per la
realizzazione di certi comportamenti sociali, anche i consociati possono
affermare l'esistenza di certe norme, assumendo un punto di vista
interno per quanto questo sia solitamente assunto dai giuristi; a
prescindere da chi ne affermi l'esistenza, considerando che in passato
quando il giuridico si intrecciava con il mitico-religioso tale ruolo era
svolto da stregoni o capi tribù, l'esigenza è quella di rendere obbligatori
taluni comportamenti, decisioni e quindi trasformarli in modelli.
Insomma, la norma è il mezzo per la permanenza e durata del diritto, che
dalla decisione diviene norma e dalla norma ordinamento.
In che modo la norma funge da strumento conoscitivo?
La norma esprime la tensione tra ciò che è e ciò che deve accadere
tramite prescrizioni ed autorizzazioni che si pongono come strutture,
costruite sul già dato e che vogliono incidere su ciò che deve accadere.
Il carattere della continuità e della costanza è conferito alle norme
giuridiche, come avviene per quelle sociali, tramite il riconoscimento
della obbligatorietà ossia che al verificarsi di taluni eventi debbano
ripetersi taluni comportamenti.
IL RICONOSCIMENTO
Partiamo dall'assunto che il riconoscimento di una norma ovvero
l'utilizzazione delle norme di riconoscimento possa essere esteso anche
ai consociati, che hanno un punto di vista esterno, e non solo svolto dai
tribunali, che hanno un punto di vista interno.
Tuttavia, non possiamo considerare tale fenomeno come il risultato di
una completa interiorizzazione da parte dei consociati di tutte le norme
dell’ordinamento perché riferendoci soprattutto agli ordinamenti
contemporanei vi è una mole così grande di gruppi di norme che è
impossibile la conoscenza a chi ne agisce dall’esterno.
Inoltre, per quanto il riconoscimento permetta ai consociati di capire
quali sono le decisioni dominanti all'interno della società, non implica
l'adesione o il rifiuto al mondo dei valori racchiusi nelle stesse decisioni
che si vogliono comprendere.
Come possono i consociati utilizzare le norme di riconoscimento non
avendo un punto di vista interno nei confronti dell'ordinamento? Seppur
volessimo spiegare l'uso di tali norme perché riconoscono il diritto dei
funzionari, come sarebbe comprensibile il riferimento a quelle decisioni?
Bisognerebbe ipotizzare un quid come la norma fondamentale che
permette di usare le decisioni giudiziarie come fondamento delle azioni
dei consociati.
Hart ritiene che l'aspetto interno del diritto possa essere eseguito solo
dai funzionari. Infatti, se si ritenesse che assumere il punto di vista
interno significherebbe accettare, approvare, esprimere una qualche
forma di consenso nei confronti delle norme che vengono utilizzate, non
si potrebbe porre come condizione per l'esistenza dell'ordinamento
giuridico l'assunzione del punto di vista interno perché vorrebbe dire
richiedere un'approvazione etico-politica da parte di tutti i consociati.
Inoltre, ritiene che i consociati, in quanto osservatori esterni che rifiutano
tipicamente le norme, possono occuparsi solo di quelle primarie ossia di
quelle che forniscono nella concezione hartiana una condotta
obbligatoria. Tuttavia, se andassimo oltre Hart e quindi ritenessimo il
punto di vista interno soltanto il punto di vista di coloro i quali vogliono
conoscere qual è il diritto vigente in una determinata società, utilizzando
i criteri di riconoscimento comuni, allora sarebbe possibile indicare come
condizione per l'esistenza di un ordinamento giuridico l'utilizzazione di
tali criteri. In ogni caso, che siano solo i funzionari o anche i consociati ad
utilizzare i criteri di riconoscimento è sempre necessaria la norma
fondamentale come strumento conoscitivo, la quale non solo ci permette
di abbinare una fattispecie ad una norma giuridica ma anche di afferrare
la relazione che intercorre tra quella fattispecie e la decisione che ha
portato al suo accadimento. Dunque, norme e decisioni sono inscindibili
tra loro perché così come la decisione è inseribile in un contesto sociale
in quanto corredata da un elemento normativo che gli conferisce una
struttura comunicativa; dall'altra parte, la norma, non può concepirsi
come staccata dall'elemento decisionistico perché è un “dover essere”
ossia vuole affermare il significato di un comportamento, il significato di
un “essere”.
Le decisioni dei giudici vanno interpretate attraverso il costante
riferimento a un possibile sistema normativo che in qualche modo possa
costituire il fondamento logico di quelle decisioni. Si tratta di
un'operazione che può svolgersi solo attraverso lo studio del fenomeno
giuridico visto in una prospettiva storica, sempre che i documenti che lo
permettano. L'obiettivo non è la ricostruzione storica di un sistema che
ha già espletato tutti i suoi effetti bensì ricercare e riuscire a prevedere il
possibile sistema normativo operante oggi.
LA DECISIONE
Ross costruisce un modello di scienza del diritto capace di svelare e
puntualizzare il momento decisionistico del fenomeno giuridico, seppur
introspettivo e psicologico.
Le decisioni vengono identificate con il comportamento esterno
dell'uomo in quanto si ritiene che il comportamento abbia un qualche
retroterra decisionale; ciò significa ipotizzare che dietro il comportamento
umano vi sia un momento volitivo che può essere indicato come
momento decisionale. A parte il carattere psicologico della sua teoria,
risulta insoddisfacente anche il restringimento di campo dei processi
decisionistici soltanto a livello dei giudici che Ross porta avanti con la sua
criticata teoria “il diritto è organizzazione della forza”, per la quale le
regole giuridiche non sono regole sostenute dall'esercizio della coazione,
ma sono regole circa questo esercizio; sono regole non fatte osservare
con la forza ma seguite volontariamente in virtù del sentimento di
validità che attribuisce alle regole una forza vincolante. Le regole
giuridiche sono dirette alle autorità, agli organi dello Stato e la fonte della
loro effettività è la fedeltà dei funzionari verso la Costituzione e le
istituzioni da essa derivate. Criticata sia perché concepisce solo un tipo di
norme, ossia quelle che prescrivono le condizioni per le quali deve essere
esercitata la coazione violenta, cosa che non si addice ad una formula del
tipo “il diritto è organizzazione della forza”, sia perché contrasta,
ritenendo che tali norme vengono seguite in virtù di un sentimento di
validità e di fedeltà, la teoria kelseniana per la quale la sanzione e la
forza fisica sono un elemento infrasistemico, avvicinandosi, invece, alla
teoria tradizionale che ugualmente lascia la forza e la sanzione fuori dal
sistema ma con la capacità di condizionarlo.
Affermare che la norma ha carattere impersonale non deve portare
all'errata conclusione che tutto il mondo del diritto viva come un ente
indipendente, sganciato dai processi decisionisti e volontaristici degli
uomini perché proprio da questi si alimenta il cosiddetto ius
involontarium che altro non è che quelle consuetudini che si basano su
comportamenti umani che si ripetono nello spazio e nel tempo sotto una
struttura normativa che possa comprenderli.
Il nostro obiettivo però resta desumere il comportamento e la decisione
da quella serie di norme in cui ci imbattiamo ossia capire gli elementi
decisionistici all'interno del mondo normativo per chiarire l'ideologia alla
base del fondamento volontaristico.
Qui il normativismo è una metodologia del pensiero che non può
conoscere le decisioni se non normativizzandole, ecco perché si è parlato
prima della norma come schema di conoscenza. Il conoscere normativo
non può annullare la decisione perché in questo caso annullerebbe se
stesso; il pensiero normativo e da presupporre come operante anche in
chi decide come il sovrano che vuole incidere su di una struttura sociale
e quindi presuppone che questa struttura possa recepire come regola la
sua stessa decisione.
Il nesso tra decisione e norma risiede nel fatto che quando il sovrano
decide e quindi attua un comportamento, tale comportamento si
trasforma in contenuto di un modello di comportamento e quindi di una
norma. L'ordine