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DECISIONE
mercoledì 21 novembre 2018 17:43
Cosa intendiamo con decisione? Una decisione è una scelta tra le possibilità, che mira a
soddisfare ogni qual bisogno insoddisfatto. Tale richiede la valutazione delle azioni
disponibili per determinare quale intraprendere.
Una "buona" decisione è colei che ci permette di scegliere il minor corso di azioni
disponibili, per il miglior esito, a dispetto dell'incertezza sulle possibili conseguenze.
Storia
• Teorie Normative: le teorie normative (o prescrittive) nascono attorno alla metà del
'900 sulla base di modelli matematico-algebrico ed economici con l'obiettivo di descrivere
come dovremmo decidere.
Si tratta di teorie volte a fornire un quadro di riferimento per prendere la miglior
decisione possibile in una determinata circostanza. Il tutto ha un effettivo fondamento
evoluzionistico: il successo evolutivo dei nostri antenati è dipeso dal loro saper decidere
meglio di altri. Ciò nel tempo avrebbe influenzato i nostri cervelli, mettendoli in grado di
computare buone decisioni;
Un esempio è quello dell'Expected Utility Theory, la quale è riassumibile in quattro punti
principali:
a. tra opzioni multiple optiamo sempre per la scelta migliore e tutti i livelli;
b. se due condizioni presentano uguali rischi, allora tali rischi sono ignorati nel
momento in cui decidiamo;
c. s'avvale della proprietà transitiva (se A > B, e B > C, allora A > C);
d. Preferiamo puntare su un'alternativa più incerta ma con probabilità di vincite
maggiori.
• Teorie Descrittive: insieme di teorie sorte a partire dagl'anni 70 che mirano a descrivere
come effettivamente prendiamo le decisioni (e non come dovremmo prenderle).
Tali, integrate a quanto già conosciuto grazie alle teorie normative, hanno permesso la
costruzione di modelli psicologici descrittivi utili per predire e spiegare il comportamento
decisionale umano.
S'avvalgono di effettivi contesti sperimentali, come per esempio domande su scommesse
monetarie, il che da un lato li rende ottimi in quanto ben definiti e manipolabili
sperimentalmente. Tuttavia non sono esenti da limitazioni date dal fatto che sono solo
analoghe alle situazioni quotidiane, ma non esattamente assimilabili. La presa di
decisione ha comunque in ogni caso un elemento di irrazionalità che non si riesce a
contemplare in nessun modello.
Tra le più importanti:
Alberi decisionali: metodo di rappresentazione grafica che ci permette di
- schematizzare i principali componenti della decisione. Nello specifico, secondo
questo modello, una decisione si compone di:
1. alternative: diversi corsi d'azione, opzioni, scelte e strategie che il decisore
ha a disposizione. Esse sono rappresentate dai rami dell'albero;
2. credenze: stima delle probabilità che un certo evento si verificherà se
scegliamo una certa alternativa. Tali vengono aggiunte allo schema ad
albero sottoforma di probabilità numeriche associate al grado di verificarsi
di ciascun evento;
3. conseguenze: possibili guadagni o perdite in cui si può incorrere come
risultato della scelta di una certa alternativa, e dagli eventi che deriveranno
da quella scelta.
ha a disposizione. Esse sono rappresentate dai rami dell'albero;
2. credenze: stima delle probabilità che un certo evento si verificherà se
scegliamo una certa alternativa. Tali vengono aggiunte allo schema ad
albero sottoforma di probabilità numeriche associate al grado di verificarsi
di ciascun evento;
3. conseguenze: possibili guadagni o perdite in cui si può incorrere come
risultato della scelta di una certa alternativa, e dagli eventi che deriveranno
da quella scelta.
Una conseguenza è a sua volta scomponibile in altri tre fattori:
(a) essa ha un esito, ossia un risultato potenziale e/o effettivo;
(b) ha un valore, ossia la misura della sua "quantità", di quanto pesi, di
quanto significhi per il decisore;
(c) ha, infine, un'utilità, ossia la misura di quanto sia desiderabile per il
decisore un certo esito con un certo valore.
NB la valutazione di una conseguenza (quindi delle sue componenti di
esito, valore ed utilità) ha un altissimo fondamento soggettivo, poiché
dipende dal sistema di obiettivi e valori del decisore.
Modello dell'Utilità Attesa: con utilità attesa s'intende l'utilità di un certo esito,
- ponderata (pesata) per la sua probabilità di verificarsi. Tale assume che il decisore
si comporti in maniera razionale, valutando le probabilità delle alternative,
assegnandovici le rispettive utilità e alla fine sceglie considerando le conseguenze.
È un modello di un comportamento decisionale del tutto soggettivo.
Nel decidere si combinano le informazioni in un processo a tre fasi:
1. Valutare ciascuna alternativa, moltiplicando l'utilità di ciascuna delle sue
conseguenze per la sua probabilità di verificarsi.
UTILITA' DELLA CONSEGUENZA x PROBABILITA' DI VERIFICARSI
2. Sommare i valori ottenuti per ciascuna alternativa (al fine di ottenere una
valutazione sintetica di ciascuna alternativa);
3. Scegliere l'opzione con maggiore utilità attesa, cioè quello con la somma
più elevata delle utilità ponderate per l'utilità.
Questa teoria, attualmente alla base delle moderne teorie economiche del
comportamento razionale, è dunque riassumibile nella seguente equazione:
Utilità attesa = (sommatoria)p(X )u(X )
i 2
dove quindi l'utilità attesa (soggettiva) di un'azione è uguale alla sommatoria delle
probabilità (p) di ciascun possibile esito (X ) per l'utilità di quell'esito (u).
n
Il modello dell'utilità attesa viene anch'esso studiato in contesto sperimentale: ai
soggetti vengono proposte scommesse di stampo classico cui premio è
meramente monetario.
Un correlato dell'analisi del comportamento decisionale è l'analisi della variabilità
di una scommessa e di come viene affrontata dal decisore. Nello specifico, quando
decidiamo non ci basiamo solo sull'utilità attesa ma anche sulla varianza della
scommessa: nell'affrontare una decisione dipendiamo moltissimo dal nostro
modus operandi, ossia dal nostro atteggiamento verso il rischio. Alcune persone
preferiscono scommesse con distanza ridotta tra i possibili esiti (avversione al
rischio - risk-averse), altre invece prediligono scommesse con alta varianza, cioè
con elevate vincite -ma anche perdite- potenziali (propensione al rischio - risk-
seeking).
Esistono, inoltre, soggetti che evitano una scommessa con qualsiasi potenziale
esito di perdita, non importa quale sia il suo valore o l'utilità attesa. Tale
atteggiamento prende il nome di avversione alla perdita (loss aversion).
Nelle teorie economiche tradizionali queste caratteristiche del comportamento
individuale in situazioni rischiose sono riassunte dalle curve di utilità.
Nelle teorie economiche tradizionali queste caratteristiche del comportamento
individuale in situazioni rischiose sono riassunte dalle curve di utilità.
Queste rappresentazioni grafiche collegano la valutazione soggettiva dell'utilità
(asse delle Y) e la misura oggettiva del valore, come per esempio la quantità di
euro di una vincita (asse delle X).
Le curve di utilità permettono di illustrare l'utilità marginale, ossia il cambiamento
di utilità, a prescindere che sia positivo o negativo, come funzione del
cambiamento dell'esito.
Il grado di curvatura delle funzioni di guadagno e perdita corrisponde agli
atteggiamenti verso il rischio: la forma concava nell'ambito dei guadagni descrive
avversione al rischio, mentre la forma convessa nell'ambito delle perdite descrive
propensione al rischio.
Un comportamento interessante è quello descritto dallo psicologo premio Nobel
Kahneman, ossia l'effetto endowment (letteralmente "dotazione"): dove le scelte
sono senza rischio, la perdita nel lasciare qualcosa in nostro possesso è maggiore
del guadagno associato a ottenere quello stesso bene (in qualche modo, l'oggetto
acquisisce un valore aggiunto semplicemente per il fatto che ci appartiene).
Kahneman et al. (1991): osserva l'effetto endowment per la prima volta
eseguendo un esperimento sulla sua classe. A un gruppo di studenti da un bene
materiale non precedentemente in loro possesso (una biro, una tazza, etc.) e li
chiede di stabilire il prezzo a cui sarebbero stati disposti a vendere quell'oggetto.
All'altro gruppo chiede invece di stabilire quanto sarebbero stati disposti a
spendere per quello stesso oggetto in possesso degl'altri.
Quanto venne fuori dal mercato che si svolse poi fu che i due gruppi avevano
prospettive diverse riguardo al problema: i venditori valutavano la perdita (quanto
denaro è sufficiente per compensarmi dalla perdita?) mentre i compratori
valutavano il guadagno (quanti soldi sono disposto a spendere per acquistare
l'oggetto?). I comportamenti effettivi furono in linea col principio di avversione
alle perdite, ossia le perdite hanno maggiore impatto dei guadagni di maggiore
entità: pertanto, i venditori hanno valutato il prezzo dell'oggetto maggiormente
(circa il doppio) degli acquirenti.
Limiti dell'utilità attesa
→ I vari modelli del comportamento decisionale, e in fattispecie quello
dell'utilità attesa, non sono del tutto normative: esiste una componente di
errore, una "decisione sbagliata", anche quando disponiamo esattamente
di tutti gli elementi per una decisione razionale.
Alcuni risultati sperimentali mostrano come certi soggetti tendono sì a
Limiti dell'utilità attesa
→ I vari modelli del comportamento decisionale, e in fattispecie quello
dell'utilità attesa, non sono del tutto normative: esiste una componente di
errore, una "decisione sbagliata", anche quando disponiamo esattamente
di tutti gli elementi per una decisione razionale.
Alcuni risultati sperimentali mostrano come certi soggetti tendono sì a
valutare il valore secondo il modello dell'utilità attesa, ma non valutano
altrettanto correttamente le probabilità delle conseguenze.
Nell'assegnazione dei pesi decisionali abbiamo una tendenza a
sovrastimare le piccole probabilità e a essere insensibili alle probabilità
medie e alte.
Lichtenstein et al. (1978): propone ad un campione una lista di cause di
morte (da malattie cardiache sino a grandi eventi catastrofici come
terremoti e tornado) e chiede ai partecipanti di indicare quale sia la più
probabile.
Dai dati ottenuti si ottiene un grafico che dimostra che c'&egr