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I tentativi di venire a capo di queste segrete restrizioni possono non
soltanto rafforzarle: possono anche essere usati dagli operai per
imporre il loro proprio codice di produzione. In una grande azienda
dolciaria del Centro-Ovest, per esempio, i confezionatori sono
pagati in base ad una tariffa fortemente crescente, per ogni giorno
di produzione al disopra della media. Ogni squadra di confe-
zionatori in questo stabilimento cerca di consegnare un numero
veramente fenomenale di scatole di canditi, un solo giorno la
settimana, guadagnando così il massimo del soprapremio. Gli altri
giorni si consegnano le scatole strettamente sufficienti per non
essere multati. Ogni operaio riesce così a guadagnare molto di più
di quanto guadagnerebbe se ogni giorno riuscisse a superare di
poco la sua quota. Pure in questo modo egli impedisce anche ogni
aumento nella quota di produzione! Infatti, durante il giorno fissato
per la produzione record di una squadra - sempre lo stesso giorno
ogni settimana - tutte le altre squadre destinate all'imballaggio
devono aiutare gli «stakanovisti» di turno.
Certo un accorgimento complicato ed evidente come questo - e ve
ne sono molti altri simili - non potrebbe funzionare ad insaputa del
caposquadra o del sorvegliante dello stabilimento. Ma i dirigenti
hanno imparato che ogni tentativo di contrastare il codice di
produzione del loro reparto non farebbe altro che provocare seri
guai. Inoltre, di norma, essi simpatizzano con l'atteggiamento degli
uomini - condividendo forse la paura dell'operaio che un aumento di
produzione possa costare loro il posto.
Anche i tecnici di produzione, che per lungo tempo furono portati a
giudicare come «reazionaria» o come semplice infingardaggine la
resistenza dell'operaio, sembra abbiano ultimamente imparato la
loro lezione. Ciò spiega, credo, la nuova popolarità dei piani di
pagamento a scala crescente. Ma l'esperienza ha dimostrato che
piani del genere recano più spesso danno che vantaggio. Essi
aumentano la produzione solo là dove si è sicuri che un aumento di
produzione non incida sul numero del personale occupato.
Il problema non sta nel fatto che l'operaio sia contrario a nuovi e
migliori metodi per eseguire il suo lavoro. Tutta la nostra esperienza
- col «sistema dei suggerimenti», per esempio, - mostra anzi che
l'operaio americano si interessa profondamente al progresso tecnico
e che è in grado di trovare da solo metodi migliori per accudire al
proprio lavoro. Ma egli non può permettersi di indulgere a questo
interesse o di applicare questa capacità.
Il problema non è, dunque, di ignoranza dei benefici del progresso
tecnico e dell'aumento di produttività. L'operaio può conoscere gli
argomenti dell'economista ed esserne convinto. Ma non può
applicare al suo lavoro la logica di questi argomenti. Essi sono esatti
«nella grande massa» e «a lungo andare» piuttosto che per un
operaio singolo e immediatamente. E la promessa di maggior
abbondanza e di maggior impiego di qui a venti anni non è un
surrogato sufficiente alla disoccupazione o a un arretramento
odierni. Inoltre gli argomenti tradizionali ammettono sia la
trasferibilità della capacità sia la mobilità geografica del lavoro. In
realtà l'una cosa e l'altra sono estremamente limitate, anche per un
lavoro «non qualificato» ed anche in un paese mobile - direi, quasi,
semi-nomade - come gli Stati Uniti.
Non è soltanto il timore dell'operaio per il suo posto a spingerlo alla
resistenza contro un aumento di produttività. È anche la paura
dell'operaio per il posto dell'uomo che gli sta accanto, l'inquietudine
per il futuro della sua comunità e per il sistema economico, sociale
e di prestigio di tutta quanta la sua società. Le abitudini ed i valori
più costruttivi della vita di gruppo e dell'ordine di gruppo, le
abitudini ed i valori da cui dipende la coesione stessa di ogni
società, vengono così mobilitati contro un aumento di produttività.”
4. Una valutazione dei risultati dell’ampliamento delle
mansioni
Charles R. Walker, direttore del progetto di ricerca di Tecnologia e
'Institute of Human
Relazioni industriali istituito nel 1946 presso l
Relations dell'università di Yale, dà relazione, in una pubblicazione
job enlargement,
del 1950, di un esperimento di ossia di
ampliamento delle mansioni lavorative, condotto nel 1944 in uno
stabilimento della IBM allo scopo di superare la disaffezione al
lavoro la cui causa era individuata nella rigida separazione delle
mansioni di concetto da quelle manuali del sistema taylorista.
L'esperimento consisteva nell'arricchire il lavoro dell'operaio,
precedentemente impegnato in una sola operazione, e nel affidargli
la responsabilità della produzione a lui assegnata. Ad esempio, gli
addetti alle macchine riacquistavano il compito di mettere a punto i
propri utensili, di preparare completamente la macchina e di
controllare il pezzo finito. Quest'ultima operazione richiedeva
conoscenze tecnico-pratiche sulle tolleranze, sull'uso degli
strumenti di controllo sulle esigenze di chi aveva commissionato il
pezzo.
Nonostante le spese per salari più alti e per investimenti di
ristrutturazione, l'IBM rilevava al termine dell'esperimento i
seguenti risultati positivi.
“Il lavoro nei reparti di produzione prima del cambiamento
consisteva esattamente nell'azionare delle macchine. L'operaio
prendeva un pezzo e lo poneva nella macchina. La macchina si
metteva in moto e un utensile da taglio o trapano eseguiva il lavoro
sul pezzo. L'operatore arrestava la macchina e rimuoveva il pezzo.
Tutto il lavoro preparatorio era compiuto da altri; la macchina era
messa a punto da un uomo addestrato appositamente a questo
scopo e gli utensili erano preparati da altri specialisti. Inoltre,
quando il lavoro era finito, il pezzo era controllato da collaudatori
che non facevano altro. Molti operatori erano rimasti per anni al
proprio posto di lavoro ed avevano acquisito l'abilità e l'ambizione
di compiere essi stessi messa a punto e controllo, ma non era loro
permesso perché ciò era considerato un metodo inefficiente di
gestione dell'officina. Altri erano operai, sia giovani che vecchi, che
avevano acquisito una «psicologia da operatore» e o non si
sentivano capaci di prendersi la responsabilità della preparazione e
controllo o preferivano non farlo.
Il reparto in cui per primo fu attuato il programma di allargamento
del lavoro fu attrezzato con le seguenti macchine: trapanatrici,
fresatrici verticali e orizzontali, macchine spinatrici, torni automatici
da viteria, torni, rettificatrici. Il lavoro dell'operatore a queste
macchine, naturalmente, richiede un minimo di abilità. Tali lavori
non sono equivalenti ai lavori elementari della produzione in serie
come quelli a una linea di montaggio d'auto. Si richiede una pratica
nel maneggio delle macchine di alcune settimane.
La fase iniziale del programma di allargamento del lavoro che
riguardava diverse centinaia di operatori consisté nell'aggiungere
abilità e responsabilità a quella minima abilità dell'operaio addetto
à una sola operazione. Come risultato, il lavoro ora richiede che sia
l'operatore a mettere a punto in parte i propri utensili e sia capace
di preparare completamente la propria macchina secondo ogni
nuova disposizione proveniente dal piano aziendale. È necessario
conoscere quali effetti le deviazioni dalle tolleranze producono sul
pezzo nelle successive operazioni della macchina. È necessaria pure
la capacità di compiere una completa verifica e controllo del pezzo
finito. Ciò comporta la conoscenza di come usare la piastra di prova,
l'indicatore di quota, il comparatore, e altri strumenti di controllo.
Spostamento del personale.
La messa in opera del programma significò la rimozione di una gran
quantità di uomini addetti alla preparazione delle macchine e al
collaudo le cui mansioni e capacità lavorative erano state assorbite
dagli operatori. Il problema del ricollocamento di questi specialisti fu
esaminato in tempo. Da quando l'azienda cominciò a sviluppare le
prime operazioni nel periodo d'attuazione del programma, nessun
uomo perse il proprio lavoro, né subì una riduzione salariale. Nelle
operazioni di fresatura, per esempio, su 35 uomini addetti alla
messa a punto che furono rimossi, 21 divennero operatori senza
perdita di salario, 2 lasciarono spontaneamente l'azienda e 12
furono promossi ad altri lavori all'interno dell'azienda, quasi tutti
con aumenti di salario. Non tutti gli addetti alla messa a punto o al
controllo furono rimossi subito dal reparto di produzione dello
stabilimento quando si iniziò il programma nel 1943. Per un certo
tempo un certo numero di loro fu mantenuto in qualità di istruttori e
anche per dirigere il lavoro degli operatori non ancora pienamente
addestrati. Fu impressionante, tuttavia, l'immediata riduzione di
lavoro indiretto complessivo. [...]
Vantaggi.
Il progetto comportò naturalmente inevitabili spese: i salari degli
operatori furono aumentati per compensarli della pratica di nuove
abilità e furono acquistate ulteriori apparecchiature di controllo. Ma
queste spese sono state più che compensate da costi più bassi e da
altri vantaggi.
1) Ne è derivato un prodotto di migliore qualità. Come già
indicato, nei sei anni successivi all'inizio del programma i
registri dell'azienda mostrano una sostanziale riduzione di
perdite dovute a difetti o a scarti. Ciò è stato attribuito a
diversi fattori, ma è sostanzialmente imputabile secondo la
direzione alla « maggiore responsabilità assunta dal singolo
operatore per la qualità del proprio lavoro ».
2) Ne è derivata una riduzione dei tempi morti; sia per le
macchine che per gli operatori. Si è scoperto che gli operatori
possono compiere messa a punto e collaudo con maggiore
economia di tempo se eseguono queste mansioni da sé
piuttosto che chiamando appositi addetti a fare il lavoro per
loro. Il costo per messa a punto e collaudo è stato ridotto del
95%.
3) L'allargamento del lavoro, insiste la direzione, ha «arricchito il
lavoro per l'operaio». Ha introdotto interesse, varietà e
responsabilità, tutte cose che non erano presenti prima. Con
ciò ha introdotto un altro elemento indispensabile a un sano<