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LEGITTIMAZIONE ATTIVA E PASSIVA

Può agire in via di ottemperanza “la parte che vi ha interesse”. 39

Nella fattispecie, l’“interesse ad agire”, da intendersi nel significato di cui all’art. 100

c.p.c., è il pregiudizio che una parte ha, a fronte della mancata attuazione delle

statuizioni del giudice da parte dell’amministrazione rimasta inerte.

La norma va però letta in modo estensivo, ovvero non limitando la legittimazione al

solo soggetto che sia stato parte, in senso formale e sostanziale, del giudizio

conclusosi con la sentenza da ottemperare, bensì considerando ammessi ad agire in

sede di ottemperanza anche tutti quei soggetti che vantino un interesse, anche

derivato, a conseguire gli effetti di tale sentenza.

Quanto al legittimato passivo, esso normalmente si identifica con l’amministrazione

finanziaria o con l’ente locale che hanno partecipato al giudizio conclusosi col

provvedimento di cui è chiesta l’ottemperanza o con qualsiasi altro ente dotato di

potestà impositiva che abbia partecipato al giudizio, tra cui, ad esempio e camere di

commercio.

IL RICORSO INTRODUTTIVO ED IL PROCEDIMENTO

L’art. 70, co. 1, del D.Lgs. n. 546/1992, prevede che il ricorso per l’ottemperanza

debba essere diretto alla Corte di giustizia tributaria di primo grado unicamente

nell’ipotesi in cui la sentenza da ottemperare sia stata pronunciata da quest’ultima e

sia passata in giudicato, vuoi per mancata impugnazione, vuoi perché l’appello

eventualmente proposto si sia concluso con una sentenza di rito (inammissibilità,

improcedibilità o estinzione del gravame).

In ogni altro caso, invece (inclusa la pendenza del gravame in appello), l’istanza va

diretta alla Commissione tributaria regionale, giacché, anche in caso di conferma della

sentenza di prime cure, la decisione di secondo grado sostituisce sempre quella

precedente.

Il ricorso per l’ottemperanza non è indirizzato alla Commissione tributaria, ma al suo

Presidente, e deve contenere la sommaria esposizione dei fatti che ne giustificano la

proposizione con la precisa indicazione, a pena di inammissibilità, della sentenza di cui

si chiede l’ottemperanza, che deve essere prodotta unitamente all’originale od a copia

autentica dell’atto di messa in mora eventualmente notificato e/o dei documenti

comprovanti la notifica della sentenza.

Il ricorrente non deve notificare il ricorso alla controparte ma depositarlo in telematico

presso la segreteria della Corte di giustizia tributaria adita; sarà poi quest’ultima a

comunicarlo alla controparte, che potrà - entro 20 giorni - trasmettere le proprie

osservazioni alla Commissione tributaria adita, allegando la documentazione

attestante l’eventuale adempimento.

Decorso il termine di 20 giorni, il Presidente della Corte di giustizia tributaria adita

assegna il procedimento ad una sezione: la stessa che ha emesso la sentenza da

eseguire e che - evidentemente - avendo già conosciuto la controversia, si trova nelle

migliori condizioni per interpretare il contenuto del provvedimento e darvi pronta

attuazione.

Il Presidente di sezione nomina il relatore e fissa il giorno per la trattazione del ricorso

in camera di consiglio non oltre i 90 giorni dal deposito del ricorso (termine

ordinatorio).

Le parti, che hanno la facoltà di intervenire all’udienza camerale e di esporre le proprie

ragioni, devono essere avvisate almeno 10 giorni liberi prima dell’udienza stessa.

Il collegio, al termine del contraddittorio, pronuncia sentenza, con la quale adotta le

disposizioni intese a realizzare l’ottemperanza oppure dichiara l’inammissibilità del

ricorso. 40

IL COMMISSARIO AD ACTA

I PROVVEDIMENTI DEL GIUDICE DELL’OTTEMPERANZA:

Appartiene alla discrezionalità del giudice dell'ottemperanza individuare i mezzi idonei

ad assicurare l'esecuzione della sentenza tributaria. La Commissione se lo ritiene

opportuno, può delegare all’attuazione della sentenza un proprio componente, ovvero

nominare un commissario ad acta al quale fissa un congruo termine per i necessari

provvedimenti attuativi, determinandone anche il compenso.

La nomina del commissario ad acta rientra tra le misure sostitutorie, in quanto il

giudice esercita i propri poteri tramite una figura da esso nominata. Il commissario ad

acta, quale ausiliario del giudice di ottemperanza, deve eseguire i propri compiti sotto

il controllo di quest’ultimo al fine di assicurare l’esatta rispondenza della propria

attività al comando contenuto nella sentenza di cui deve essere data esecuzione,

assicurando al cittadino il conseguimento di quanto riconosciutogli in giudizio. Tutti i

provvedimenti del giudice dell’ottemperanza sono, per espressa previsione di legge,

immediatamente esecutivi e non suscettibili di sospensiva.

L’IMPUGNAZIONE DELLA SENTENZA E DELL’ORDINANZA

Il giudizio di ottemperanza termina con la pronuncia dell'ordinanza prevista dall'art. 70

comma 8, del D.Lgs. n. 546/1992, cit., la quale ha carattere meramente ordinatorio, in

quanto si limita a dichiarare chiuso il procedimento ed a prendere atto dell'avvenuta

esecuzione dei provvedimenti previsti dalla sentenza che ha pronunciato sull’istanza di

ottemperanza e di quelli eventualmente adottati dal commissario ad acta.

In sostanza, quindi, il procedimento rimane aperto sino a quando non sia stato

realizzato l’obiettivo di dare completa attuazione alla sentenza rimasta inottemperata,

in tal modo consentendosi al giudice di controllare lo svolgimento dell’attività

esecutiva e di emanare gli opportuni provvedimenti.

Può infatti accadere che in pendenza del giudizio di ottemperanza l’amministrazione

adotti atti di adempimento spontaneo, di fronte ai quali l’attività del commissario si

deve arrestare, oppure che si debba procedere alla sua sostituzione, o ancora che si

abbiano ritardi nell’attuazione della sentenza, di modo che occorra provvedere.

I mezzi di impugnazione previsti per sindacare i provvedimenti del giudice

dell’ottemperanza sono circoscritti al solo ricorso in sede di legittimità.

Infatti, l’art. 70, comma 10, del D.Lgs. n. 546/1992 prevede che contro la sentenza

“con cui vengono adottati i provvedimenti indispensabili per l’ottemperanza” sia

ammesso solo il ricorso per Cassazione per “inosservanza delle norme sul

procedimento”

L’ESECUZIONE FORZATA TRIBUTARIA NEI CONFRONTI DEL CONTRIBUENTE

ESPROPRIAZIONE FORZATA – DISPOSIZIONI GENERALI

La disciplina di riferimento in materia di esecuzione tributaria è contenuta nel DPR

602/1973 agli artt. 45 e seguenti.

L’Ente creditore, in caso di mancato pagamento, ha diritto di avviare la riscossione

autoritativa delle somme non versate dal contribuente, avvalendosi anche di misure

cautelari e conservative previste dalla legge a tutela del proprio credito (quali: ipoteca,

sequestro conservativo, fermo amministrativo dei rimborsi e fermo dei beni mobili

registrati).

Le attribuzioni relative all’attività di riscossione sono devolute ex lege all’Agenzia delle

Entrate, che - a partire dal 1° luglio 2017 - le esercita per il tramite dell’Agenzia delle

Entrate Riscossione, ente pubblico economico subentrato dal 2016, alle varie società

del gruppo Equitalia S.p.A. 41

Il titolare del credito è l’ente creditore che si avvale del concessionario per l’attività di

riscossione

Nell’esecuzione forzata tributaria l’intervento del giudice è solo eventuale, in quanto il

legislatore ha preferito affidare agli agenti della riscossione la possibilità di gestire in

autonomia la fase di vendita dei beni. Pertanto, prima della fase distributiva,

l’intervento giudiziale potrà aversi solo qualora il contribuente decida di opporsi

all’esecuzione forzata promossa a suo carico.

TITOLI ESECUTIVI. LA CARTELLA DI PAGAMENTO

Nell’esecuzione forzata tributaria, i titoli esecutivi sono quelli indicati nell’art. 49 del

D.P.R. n. 602/1973 e nell’art. 29 del D.L. 78/2010, convertito in Legge n. 122/2010, e

cioè:

- il ruolo e la relativa cartella di pagamento, che contiene un estratto del ruolo e

va notificata al contribuente per portarlo a conoscenza dell’avvenuta iscrizione

a ruolo

- l’avviso di accertamento c.d. “impo-esecutivo” che, in materia di imposte sui

redditi, IRAP e IVA, costituisce titolo immediatamente esecutivo fin dalla sua

notifica.

L’art. 50, comma 1, del D.P.R. n. 602/1973 prescrive che l’esecuzione forzata tributaria

possa essere avviata dall’agente della riscossione solo dopo che sia infruttuosamente

decorso il termine dilatorio di 60 giorni dalla notificazione al contribuente della cartella

di pagamento, la quale contiene oltre all’indicazione della data in cui il ruolo è stato

“l’intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal ruolo entro il

reso esecutivo, pure

termine di sessanta giorni della notificazione, con l’avvertimento che, in mancanza, si

procederà ad esecuzione forzata”.

Nella riscossione mediante ruolo, la notificazione della cartella di pagamento

costituisce adempimento preliminare inderogabile rispetto al pignoramento da parte

dell’agente della riscossione.

Nel caso di avviso di accertamento esecutivo, che costituisce, per un verso statuizione

autoritativa del dovuto (atto di accertamento), e per altro verso, titolo esecutivo e

precetto, il termine per avviare l’esecuzione è di 90 giorni in quanto, decorso il termine

utile per adempiere o per la presentazione del ricorso (60 giorni dalla notifica), l’atto

acquista ex lege esecutività, ma il carico tributario non può essere affidato all’agente

della riscossione prima che siano trascorsi ulteriori 30 giorni.

A sua volta l’agente della riscossione, ricevuto il carico tributario, deve però lasciar

decorrere ulteriori 180 giorni prima di poter avviare l’esecuzione forzata, salvo il caso

in cui si dimostri l’esistenza di un fondato pericolo per la riscossione stessa.

Se la procedura esecutiva non è avviata entro un anno dalla notifica della cartella di

pagamento o dell’avviso di accertamento immediatamente esecutivo, questa deve

essere preceduta dalla notifica di un ulteriore avviso contenente l’intimazione a

adempiere l’obbligo derivante dal ruolo entro 5 giorni; tale avviso perde efficacia una

volta trascorso un anno dalla data della notifica.

Al fine di individuare i beni da pignorare per la riscossione sulla base del ruolo, agli

agenti della riscossione sono stati attribuiti incisivi poteri finalizzati ad individuare i

beni e rapporti giuridici del debitore su cui sodd

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Scienze giuridiche IUS/12 Diritto tributario

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Brigi8 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto del contenzioso tributario e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Pavia o del prof Denicolai Stefano.
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