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Storia da Aristotele alla cultura convergente
IERI: L'uomo sin dalla nascita ha cercato di imitare.
OGGI: Convergente. È che la collisione tra diversi media, vecchi e nuovi, sia più un bisogno culturale che una scelta tecnologica. Computer e cellulari hanno accorpato molteplici funzioni e si sono trasformati in telefono, televisione, stereo, fotocamera, tutto-in-uno. Eppure nessuno di questi agglomerati ha sterminato i singoli avversari. Piuttosto sono i contenuti della comunicazione che vengono declinati in ogni formato, per potersi spostare da un mezzo all'altro e ricevere così una distribuzione sempre più capillare e pervasiva. La stessa canzone trasmessa in radio diventa jingle pubblicitario in televisione, le da condividere sul computer, colonna sonora al cinema, videoclip su YouTube, suoneria del cellulare, slogan su una maglietta. Non c'è un singolo attrattore, computer o cellulare che sia, capace di.
trasformare ogni idea in un unico prodotto, fatto di immagine, suono, testo, relazione. Al contrario ogni idea è capace di molte facce, per attirare su di sé strumenti diversi e attraversarli tutti. Da noi si parla molto più di convergenza tecnologica, di mostruosi cellulari multifunzione, che di cultura transmediale. Quando poi lo si fa, l'attenzione è sulla strategia delle multinazionali dell'intrattenimento, interessate a "spostare" i loro contenuti, come caramelle da un distributore all'altro. Nessuno ragiona sul fatto che lo stesso interesse è spesso condiviso, sovvertito e praticato in maniera "illegale" anche dai consumatori, che muovono storie, suoni e immagini da un territorio all'altro. Nessuno accetta l'idea che questo andirivieni risponda anche a un modello estetico, un nuovo modo di raccontare, informare, sabotare, divertire. E' solo marketing. Quotidiano Anche in questo caso, dire che i media e lenuove tecnologie fanno parte della vita quotidiana è discorso da autobus, a mezza via tra paura ed eccitazione, schiavitù egiziana e terra promessa. Questa quotidianità ha come sottoprodotto il famigerato multitasking, lo stato di "attenzione parziale continuata" che in Italia è la bestia nera di insegnanti, genitori e intellettuali gentiliani. Pochi ammettono che si tratta di un'abilità necessaria per affrontare il nuovo ambiente: mantenere un'attenzione diffusa e "a bassa intensità" su una molteplicità di stimoli, per poi focalizzarla ad alta intensità quando uno di questi stimoli si modifica in maniera significativa, ovvero ci avverte di prestare "più attenzione". Il multitasking andrebbe insegnato a chi non ce l'ha nel sangue, non bruciato sul rogo. Purtroppo da noi la caccia alle streghe è sempre aperta e ben retribuita.
Interattivo. Grazie ai nuovi media, possiamo interagire.
più in profondità con suoni, immagini, informazioni. Possiamo determinarne il flusso, scegliere in ogni momento cosa vedere o ascoltare; possiamo archiviare contenuti, usarli in contesti nuovi, modi carli. Spesso il dibattito su queste opportunità scivola nello stallo tra chi sostiene che "tutto ormai si riduce a un mero taglia e incolla" e quanti ritengono che la rielaborazione è alla base della creatività. Oltre questo dilemma stantio, Jenkins mostra come l'abitudine a (ri)appropriarsi di contenuti abbia riportato alla luce un magma di produzioni amatoriali e creatività diffusa, forme di vita tipiche della "vecchia" cultura popolare, che erano andate in esilio sotto terra con l'avvento dei mezzi di comunicazione di massa.
Partecipativo Fino a vent'anni fa la grande maggioranza del pubblico era soltanto audience e l'unico messaggio che poteva emettere si riduceva a una scelta binaria: ascolto/non ascolto,
consumo/non consumo. Oggi abbiamo a disposizione diversi canali per far conoscere le nostre idee a una platea molto ampia. Certo non basta aprire un blog o una pagina su myspace: si tratta di una competenza che va appresa e a nata. Senza dubbio è un'abilità che fa la di erenza in molti ambiti lavorativi, e la farà sempre di più. Purtroppo, invece di interrogarsi su come formare individui che sappiano maneggiare certi strumenti, si preferisce evocare spettri. Ultimo esempio: la "nuova" ondata di teppismo giovanile - subito de nito cyberbullismo - sarebbe partita da Internet, perché la possibilità di lmare le proprie bravate, caricarle su You Tube e "diventare famosi", funzionerebbe da incentivo. Stessa cosa per la pedopornogra a e altre mostruosità: tra le righe di inchieste in stile freak show, che accostano fatti e leggende, esperti e ciarlatani, si insinua sempre il dubbio cheaprire un sito e attivare una rete di.contatti sia troppo facile. Come dire che i circoli neonazisti esistono perché purtroppo, in Italia, incontrarsi e costituire un'associazione è un gioco da ragazzi. Così la diffusione libera e trasversale di contenuti diventa di per sé un fenomeno da contenere, ridurre, gestire. Salvo poi lamentarsi, alla prima occasione, del consumismo passivo di certi adolescenti. Globale Le nuove tecnologie ci permettono di interagire in qualsiasi momento con persone e situazioni, a prescindere dalla collocazione geografica. In Italia, il più delle volte, questa constatazione serve a brandire la minaccia di un'omologazione culturale sempre più forte. Il rischio esiste, senza dubbio, ma perché non puntare lo sguardo anche su altri scenari, ad esempio l'eventualità, nient'affatto remota, che questa situazione faccia aumentare la diversità culturale, come risposta al crescente bisogno di uscire dal provincialismo e di costruirsiun'identità sempre più ricca e sempre nuova? Generazionale Tra "nativi" e "immigrati" dell'era digitale e partecipativa ci sono attitudini molto diverse, approcci diversi agli stessi media. Questo non significa che le comunità non possano confrontarsi ed educarsi a vicenda. Troppo spesso si preferisce erigere steccati, insistere su stereotipi come "i giovani sono tutti smanettoni" oppure "i giovani chattano e basta" e via discorrendo. Si prende atto che per molti aspetti il passaggio di conoscenze ed esperienze da una generazione all'altra è saltato, dunque andrà tutto in malora, e comunque "non c'è più niente da fare". Ineguale Quando in Italia si parla di "digital divide" lo si fa sempre in termini tecnologici. Bisogna mettere i computer (e l'informatica) nelle scuole, bisogna portare la banda larga ovunque, bisognaaccendere hot spot per la connessione wireless, e via dicendo. Fatto questo, il baratro digitale sarà colmato. Come dire che l'analfabetismo è una questione di diottrie. Alcune persone non sanno leggere perché gli occhi non gli funzionano bene. Attivando un programma di "occhiali per tutti", il problema sarà debellato. Purtroppo, l'analfabetismo non si sconfigge nemmeno insegnando l'ABC, così come il "digital divide" non si elimina con i computer o la banda larga e nemmeno insegnando a usare linguaggi di programmazione e HTML. Certo, se uno ha due gradi di vista, prima di insegnargli a leggere dovrò dargli gli occhiali. Certo, se uno non riconosce le lettere, deve imparare l'ABC. Ma poi leggere e scrivere implicano una serie di competenze più innate, così come far parte di una cultura partecipativa non è solo poter navigare a 10 mega al secondo. Il punto non sono le abilità cognitive.
Un quindicenne apre un programma qualsiasi, inizia a esplorarlo senza istruzioni e dopo qualche giorno lo padroneggia. Suo nonno non è in grado di maneggiare uno stereo diverso da quello che ha in casa e per usare la posta elettronica impiega una settimana di titanici sforzi.
Il vero problema è che a parità di mezzi e di capacità tecniche, adolescenti diversi si rapportano alla Rete secondo modalità molto diverse, tali da collocarli su versanti opposti di un crinale sociale molto discriminante.
La proverbiale facilità con la quale i ragazzini utilizzano i nuovi media fa credere a molti adulti che sia sufficiente fornire loro la tecnologia giusta per trasformarli in cittadini della nuova società digitale. In un recente intervento per la MacArthur Foundation, Jenkins ha criticato proprio questo approccio "liberista", dove la fede nel laissez-faire non fa che moltiplicare le disuguaglianze.
Il mito dell'adolescente in simbiosi con le nuove tecnologie è quindi da sfatare, poiché non tutti gli adolescenti hanno le stesse opportunità di accesso e di apprendimento.
dove passano gran parte del loro tempo, ma non tutti sono attivamente coinvolti nella creazione di contenuti o nella partecipazione a discussioni online. Molti si limitano a consumare passivamente ciò che viene loro offerto, senza sviluppare le competenze necessarie per navigare in modo critico e consapevole. - Il secondo problema è quello della selezione: con l'enorme quantità di informazioni disponibili online, è fondamentale saper selezionare e valutare le fonti in modo accurato. Troppo spesso, gli adolescenti si accontentano delle prime risposte che trovano, senza approfondire ulteriormente o verificare la veridicità delle informazioni. - Il terzo problema è quello della comprensione: anche se gli adolescenti riescono a trovare le informazioni di cui hanno bisogno, spesso non sono in grado di comprenderle appieno o di metterle in contesto. Copiare e incollare un articolo da Wikipedia non significa necessariamente aver compreso il suo significato o le implicazioni di ciò che si sta citando. In conclusione, Internet offre un'enorme quantità di risorse e opportunità, ma è fondamentale sviluppare le competenze necessarie per utilizzarle in modo efficace. Gli adolescenti hanno bisogno di essere guidati e supportati nella loro navigazione online, altrimenti rischiano di rimanere intrappolati in una realtà superficiale e priva di approfondimento.Il secondo è un problema di trasparenza, che si pone già per i media tradizionali. Una qualsiasi notizia di solito è opaca rispetto a una serie di caratteristiche cruciali: chi la di onde, per quale pubblico, per quale committente, con quali interessi, su quale sfondo ideologico. Allo stesso modo, un articolo di Wikipedia non ci dice nulla sul sapere di uso e l'intelligenza collettiva, così come una canzone scaricata in maniera illegale non ci interroga sui temi del diritto d'autore, il ruolo dell'artista, la di usione della cultura.
Il terzo è un problema etico, come evidenzia il cyberbullismo di cui si parlava prima. Pochi osservano che il problema non è YouTube o le potenzialità della Rete, ma il fatto che ancora non abbiamo
ue importante riflettere sull'etica delle azioni che compiamo, anche quando si tratta di fare uno scherzo. Fare uno scherzo a un compagno di classe può essere divertente e innocuo, ma è importante considerare i limiti e il rispetto per gli altri. D'altra parte, fare uno scherzo e danneggiare qualcuno o renderlo pubblico può essere molto più problematico. Questo tipo di comportamento può causare danni emotivi o addirittura danneggiare la reputazione di una persona. La cultura convergente, sebbene non si occupi specificamente di tematiche educative, ci invita a riflettere sulle conseguenze delle nostre azioni e a considerare l'etica dietro di esse. È importante essere consapevoli del potenziale impatto delle nostre azioni sugli altri e agire in modo responsabile e rispettoso.