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VITAMINA D

Il rachitismo è una patologia nota da tempo (descritta per la prima volta intorno al 1600), che divenne importante quando è avvenuto lo spostamento della popolazione dalle compagne, quindi con

l’urbanizzazione, in seguito alla rivoluzione industriale. In questo periodo, quindi, esplose il fenomeno del rachitismo, diventando importante dal punto di vista dell’incidenza e cominciando ad

effettuare degli studi a riguardo, fino a quando si è arrivati a evidenziare, nei primi del ‘900, come il rachitismo sia una malattia nutrizionale e come determinati alimenti potessero contenere sostanze

utili per la prevenzione di questa patologia (è una malattia che deriva da una demineralizzazione delle ossa, rendendole più fragili e deformabili) . Ritroviamo nuovamente Kazmier Funk, ossia colui a

cui dobbiamo la terminologia di vitamina e la scoperta delle vitamine idrosolubili, in questo caso partecipò alla scoperta della vitamina D. Inizialmente si ritenne, erroneamente, che la vitamina A

potesse essere utile per la cura del rachitismo, ma successivamente venne isolata la vitamina D come causa specifica di questa patologia.

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Mellanby (1919) il rachitismo è una malattia nutrizionale. Funk e Dubin (1921) VIT D.

Perché questo fraintendimento chimico iniziale? Perché la collocazione nell’ambito delle matrici alimentari di queste 2 vitamine

liposolubili A e D è la stessa, quindi si sono dovute aspettare delle indagini chimiche più dettagliate per poter identificare

l’esistenza della vitamina D e non fraintenderla per il suo ruolo funzionale con la vitamina A.

Da un punto di vista della chimica, vediamo la struttura della vitamina D, ad oggi ne distinguiamo 2 specifiche, ossia la vitamina

D2, detta anche ergocalciferolo, e D3, detta anche colecalciferolo (la D1 è stata la prima ad essere stata identificata). Hanno,

quindi, una denominazione diversa, ma guardando la struttura, questa è simile: partendo dalla D2, e partendo dal basso, troviamo

un anello a 6 termini, la funzione ossidrilica, un doppio legame, poi, andando avanti, troviamo 2 insaturazioni coniugate di

geometria Z1 ed E, poi parte la struttura ciclica 6-5 e, infine, abbiamo la catena laterale.

Se confrontiamo la struttura della D2 con quella della D3, vediamo che sono esattamente identiche fino alla catena laterale;

quindi, sono esattamente identiche per struttura e per geometria, tranne che per l’unica differenza strutturale che riscontriamo a

livello della catena laterale. Le differenze sono che abbiamo un doppio legame nella D2, di geometria E (quindi trans), che invece

nella D3 non c’è, e l’ulteriore presenza di un sostituente metilico nella D2, che non c’è nella D3, e che va a definire un ulteriore

carbonio asimmetrico, in quanto lega 4 sostituenti diversi tra loro, con configurazione assoluta S Quindi, questi due elementi

strutturali sono quelli che identificano la differenza fra la vitamina D3 e D2 (doppio legame e presenza di un gruppo metilico).

La vitamina D ha un ruolo funzionale definito che deriva dall’interazione con specifici recettori. Nell’interazione con questi

recettori, la parte terminale della molecola, quindi le catene laterali della D2 e della D3, NON rientrano in queste interazioni, cioè non prendono

parte a questo riconoscimento recettoriale, non rilevano ai fini nel modo in cui la vitamina D si lega al proprio recettore per evocare la risposta

funzionale. Questo vuol dire che, anche se diverse strutturalmente, hanno la stessa attività, perché si legano agli stessi recettori, nello stesso modo,

visto che l’elemento di diversificazione strutturale non prende parte al riconoscimento con il proprio recettore . Quindi, che sia ergocalciferolo o colecalciferolo, parliamo sempre di vitamina D.

Riconosciamo quindi la diversità strutturale, ma non quella funzionale; quindi, non parliamo di vitameri (a differenza della vitamina E).

Fonti alimentari La possiamo trovare in alimenti di origine animale, specificatamente la ritroviamo nella quota lipidica di questi alimenti, in quanto stiamo parlando di vitamine liposolubili (le

troviamo sempre combinate con il materiale lipidico). In termini di fonti alimentari vale ciò che è stato detto per la vitamina A, ecco perché inizialmente è avvenuto un fraintendimento scientifico sul

ruolo della A e della D. La ritroviamo nei soliti pesci dei mari freddi, che sono quelli che, per l’appunto, ci apportano l’ammontare maggiore di materiale lipidico. Esempi di contenuto di vitamina D in

altri alimenti: latte (da 5 a 40 unità), burro e panna (trigliceridi del latte) e fegato. Quindi, da un punto di vista della dieta, questi sono gli alimenti in cui recuperiamo la vitamina D.

Pesci ad elevato contenuto di grassi: aringa (19 μg/100 g); tonno (16.3 μg/100 g); pesce spada (11 μg/100 g); trota (10 μg/100 g); salmone (8 μg/100 g).

Nonostante ciò, la vitamina D NON è una vitamina essenziale, in quanto ce la biosintetizziamo a livello epiteliale, il che ci dà l’autosufficienza di fronte al fabbisogno di

questa specifica vitamina. Quindi, ce la biosintetizziamo a livello degli epiteli, purché avvenga l’esposizione al sole, in quanto le radiazioni elettromagnetiche sono quelle che

scatenano la biosintesi della vitamina D (D2 e D3), a partire da 2 specifici precursori. I precursori sono di natura steroidea (il nucleo sterolico è una struttura a 4 anelli

ricondensati tra di loro, di cui 3 anelli a 6 termini e l’ultimo anello a 5 termini; abbiamo un ossidrile nella posizione 3 e una sostituzione particolare che è quella che definisce le

varie tipologie dei derivati steroidici). Quindi, questo è il nucleo fondamentale di questi derivati (3- idrossiciclopentanoperidrofenantrene). Quindi, i precursori sono:

Ergosterolo; 7-deidrocolesterolo (dove “deidro” è un intermedio della nostra via biochimica di produzione del colesterolo, perché è vero che questo lo assumiamo con le

matrici alimentari, ma è anche vero che il colesterolo ce lo biosintetizziamo).

Il 7-deidrocolesterolo, presente a livello dei nostri epiteli, in seguito a irradiazione, quindi in seguito all’esposizione alla luce solare (raggi UV), il suo nucleo subisce una reazione di apertura,

precisamente in foto vediamo la porzione del nucleo che si apre, con la formazione della vitamina D3 Quindi, da 7-deidrocolesterolo a colecalciferolo (D3). Cosa analoga accade con l’ergosterolo,

che invece è un precursore che assumiamo con l’alimentazione, soprattutto di prodotti vegetali: una volta che abbiamo l’ergosterolo in circolo, questo se entra a livello epiteliale subisce una modifica

chimica analoga, a carico della stessa parte vista prima per il 7-deidrocolesterolo (modificazione a carico della parte terminale, quindi della catena laterale), fornendo l’ergocalciferolo, quindi la

vitamina D2.

La biochimica è la stessa, gli enzimi deputati alla trasformazione di entrambi sono gli stessi.

Nella foto sopra, quindi, possiamo vedere come avviene il processo di trasformazione. Quindi, la luce determina in primis

l’apertura dell’anello, con formazione di un intermedio, il quale, poi, lentamente, evolve per calore; infatti, quando ci esponiamo

al sole la T° tipica di 37°C è la T° sufficiente per consentire lentamente l’evoluzione dal primo intermedio, che è una pre-

viatmina D, alla forma propria della vitamina (di fatto, avviene di nuovo un riarrangiamento elettronico).

Quindi, riassumendo, l’apertura dell’anello è catalizzata dalla luce e permette la formazione dell’intermedio, e poi, lentamente,

avviene l’evoluzione per calore (con ulteriore modifica della posizione dei doppi legami), che porta alla vitamina propriamente

detta, con la sua struttura funzionale.

Eventualmente, questa evoluzione può andare verso la formazione di intermedi, come il tachisterolo, nei quali abbiamo un

riarrangiamento elettronico diverso rispetto a quello che conduce all’ottenimento della vitamina D. Si tratta, di fatto, di

sottoprodotti inattivi che si formano e che riducono l’ammontare della vitamina D che si può formare negli epiteli, in seguito a

esposizione alla luce. Allora, dall’ergosterolo otteniamo l’ergocalciferolo, dal 7-deidrocolesterolo otteniamo il colecalciferolo,

insieme anche a tutta una serie di sottoprodotti, tra cui i più abbondanti sono il lumisterolo e il tachisterolo. Ne sono stati isolati

altrettanti, soprattutto quando l’esposizione alla luce determina lo sviluppo di eritema, cioè quando ci arrossiamo/bruciamo

l’arrossamento dovuto all’eritema solare comporta un innalzamento della T° a livello della pelle, più alta rispetto alla T°

fisiologica, la quale invece è necessaria per fare evolvere l’intermedio alla struttura di vitamina funzionante vera e propria. Quindi, non dobbiamo arrivare all’eritema solare perché in realtà così

smistiamo l’intermedio pre-vitamina D, che si è formato con l’esposizione della luce, verso la formazione di sottoprodotti che nulla a che vedere con la struttura funzionale della vitamina.

Una volta che la vitamina D è stata biosintetizzata a livello degli epiteli, di fatto, non otteniamo subito la forma attiva

alla quale dobbiamo l’attività funzionale, perché poi dagli epiteli questa viene trasportata fino a livello epatico, dove

subisce una prima modifica chimica, in particolare una idrossilazione, che comporta la trasformazione della vitamina

D in vitamina 25-idrossi-derivato. Quindi, in foto, vediamo le solite strutture D2 e D3 con il riarrangiamento

strutturale visto prima, partiamo già da una molecola di vitamina caratterizzata dalla presenza di un -OH in posizione

3 (in quanto ce lo portiamo dietro dal nucleo fondamentale che ha dato origine alla vitamina D); una volta che D2 e

D3 sono state biosintetizzate, vengono trasportate a livello epatico, dove subiscono una ulteriore idrossilazione, nel

senso che interviene un enzima specifico deputato a livello epatico che catalizza l’introduzione di un residuo

ossidrilico -OH ulteriore. Questo vuol dire che, da forma D2 e D3, passiamo alla forma 25-idrossi, in particolare 25-

idrossiergocalciferolo (o 25-idrossi vitamina D2) e 25-idrossicolecalciferolo (o 25-idrossi vitamina D3); si può

parlare anche di calci-diolo, perché un OH ce lo portavamo dietro dal precursore, l’altro invece è stato aggiunto a

livello epatico per intervento della 25-idrossilasi, e quindi, in definitiva, ci lascia una forma caratterizzata dalla

presenza di 2 residui ossidrilici, in quelle precise posizioni. La forma calci-diolo è la forma circolante nel nostro

organismo della vitamina D. Siamo sempre dentro alla famiglia delle vitamine liposolubili e abbiamo detto che tutte

queste hanno una proteina carrier che si incarica di veicolarle nell’organismo, piuttosto che prenderle all’interno degli

enterociti per consentire la loro trasformazione (es. retinolo esterificato a

Dettagli
A.A. 2021-2022
8 pagine
SSD Scienze chimiche CHIM/10 Chimica degli alimenti

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher giuliacasaburi di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Chimica degli alimenti e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Pisa o del prof Motta Filippo.