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Emerge quindi dalla Carta costituzionale dello Stato Unione di Serbia e Montenegro come
l’unico soggetto che può assumere la personalità nel diritto internazionale e che può essere
membro di organizzazioni internazionali che richiedano tale personalità come requisito è
esclusivamente lo Stato Unione e non anche i due Stati membri, i quali possono sì mantenere
relazioni internazionali, concludere accordi internazionali, istituire uffici di rappresentanza
all’estero, partecipare ad organizzazioni globali e regionali, ma sempre che ciò non richieda o
non comporti l’acquisto della personalità di diritto internazionale (riservata al solo Stato Unione)
e comunque non sia in conflitto con i poteri dello Stato Unione o con gli interessi dell’altro Stato.
A fronte di tali decisivi elementi sono del tutto irrilevanti le circostanze, evidenziate invece dal
giudice per le indagini preliminari e genericamente richiamate dal tribunale del riesame, della
partecipazione della sola Serbia ai negoziati di Vienna relativamente al Kosovo e della richiesta
fatta unitariamente dai due Stati di essere ammessi separatamente all’Interpol. Si tratta infatti di
episodi marginali ed insignificanti, che non sono sicuramente idonei a fare acquistare la
soggettività di diritto internazionale, e che comunque rientrano in pieno in quelle relazioni
internazionali che gli artt. 14 e 15 della Costituzione dello Stato Unione riconoscono ai singoli
Stati membri perché appunto non presuppongono la personalità di diritto internazionale e non
sono in contrasto con i poteri dello Stato Unione e con gli interessi degli altri Stati membri. Per
gli stessi motivi sono parimenti irrilevanti altri accordi cui ha fatto riferimento la difesa nel corso
del procedimento, quali un accordo tra il Montenegro e la Macedonia, tra il Montenegro e
l’Albania, e tra un reparto di pubblica sicurezza del Ministero dell’interno italiano ed un reparto
di pubblica sicurezza del Ministero dell’interno del Montenegro. Anzi, a ben vedere, il fatto che
l’indagato abbia potuto portare soltanto questi limitati e marginali esempi di relazioni
internazionali facenti capo al Montenegro, costituisce una chiara conferma della mancanza di
sovranità e di soggettività internazionale autonoma in capo a tale Stato. In conclusione, secondo i
dati di fatto acquisiti nel processo deve ritenersi che attualmente, nell’ambito della comunità
internazionale, allo Stato del Montenegro non spetti la qualifica di Stato sovrano e di soggetto
autonomo ed indipendente di diritto internazionale. Pertanto, non sussistono le condizioni perché
nei confronti del D., che riveste la carica di Capo del Governo del Montenegro, possa trovare
applicazione la norma eccezionale di diritto internazionale consuetudinario, recepita nel nostro
ordinamento ai sensi dell’art. 10, primo comma, Cost., secondo cui spetta la immunità dalla
giurisdizione penale ai Capi di Stato e di Governo ed ai Ministri degli Esteri degli Stati sovrani e
soggetti di diritto internazionale.
La consuetudine internazionale
a) Corte Internazionale di Giustizia, sentenza del 27 giugno 1986: Nicaragua versus
Stati Uniti
Negli anni ’80, a seguito della rivoluzione sandinista che nel 1979 aveva rovesciato la dittatura
filo americana di Augusto César Somoza, gli Stati Uniti appoggiarono la formazione e le attività
di gruppi armati di opposizione (i c.d. contras) fornendo loro addestramento, supporto logistico
e armamenti. Ritenendo che l’attività di tali gruppi armati irregolari potesse essere imputata
agli Stati Uniti, il Nicaragua si rivolse unilateralmente alla Corte internazionale di giustizia nel
1984 per vedere accertata la violazione delle norme in materia di uso della forza armata
internazionale.
La giurisdizione della Corte
➔
La Corte, con sentenza sulla giurisdizione e l’ammissibilità del 26 novembre 1984 (I.C.J. Report
1984, p. 392) si dichiarò competente a pronunciarsi sulla base delle dichiarazioni unilaterali di
accettazione della sua giurisdizione obbligatoria rese dai due Stati. Poiché la dichiarazione
americana escludeva la giurisdizione della Corte su controversie riguardanti trattati multilaterali,
e quindi sulla Carta NU e le relative disposizioni in materia di uso della forza, la Corte poteva
decidere solo sulla base del diritto consuetudinario.
183. […] la Corte deve poi prendere in considerazione le regole di diritto consuetudinario
applicabili alla presente controversia. A questo fine, essa deve rivolgere la propria attenzione alla
prassi ed opinio juris degli Stati. A questo riguardo la Corte non deve perdere di vista la Carta
delle Nazioni Unite e quella dell’Organizzazione degli Stati Americani, nonostante la riserva sui
trattati multilaterali. Sebbene la Corte non abbia giurisdizione per giudicare la condotta degli
Stati Uniti rispetto a queste convenzioni, essa può e deve tenerle in considerazione nell’accertare
il contenuto del diritto internazionale consuetudinario che gli Stati Uniti sono anche accusati di
aver violato. 184. Il Corte rileva, infatti, che vi sono elementi di prova, che verranno esaminati
più avanti, nel senso di un considerevole tasso di consenso tra le parti circa il contenuto del
diritto internazionale consuetudinario relativo al divieto dell’uso della forza e di intervento.
Questa convergenza di vedute non dispensa, comunque, la Corte dal dover accertare quali regole
di diritto consuetudinario siano applicabili. Il mero fatto che gli Stati dichiarino il proprio
riconoscimento di certe regole non è sufficiente affinché la Corte le consideri parte del diritto
consuetudinario, e che, pertanto, le consideri applicabili a quegli stessi Stati. Essendo vincolata
dall’articolo 38 dello Statuto [della Corte] ad applicare, tra l’altro, la consuetudine internazionale
“come prova di una prassi generale accettata come diritto”, la Corte non può trascurare il ruolo
essenziale giocato dalla prassi generale. [...] La Corte deve giungere alla conclusione che
l’esistenza della norma secondo la opinio juris degli Stati sia confermata dalla prassi. 186. Non ci
si deve attendere che nella prassi degli Stati l’applicazione delle regole in questione sia stata
perfetta, nel senso che gli Stati si siano astenuti, con coerenza assoluta di comportamenti,
dall’usare la forza o dall’intervenire nei reciproci affari interni. La Corte non ritiene che, affinché
una regola possa essere considerata come consuetudinaria, la prassi corrispondente debba essersi
posta in rigorosa conformità con la regola stessa. Allo scopo di dedurre l’esistenza di regole
consuetudinarie, la Corte considera sufficiente che la condotta degli Stati sia, in generale,
conforme a queste regole, e che esempi di comportamenti non conformi ad una data regola siano
stati considerati generalmente come violazioni di quella regola, e non come riconoscimento di
una nuova regola. Se uno Stato si comporta prima facie in violazione di una certa regola, ma
difende la propria condotta appellandosi ad eccezioni o giustificazioni contenute nella regola
stessa, allora, indipendentemente dal fatto che la condotta dello Stato sia giustificabile su quelle
basi, l’effetto di quelle argomentazioni sarà quello di confermare, piuttosto che di indebolire,
quella stessa regola” 188. [...] Questa opinio juris può essere dedotta, seppur con dovuta cautela,
dal comportamento delle parti e degli Stati nei confronti di certe risoluzioni dell’Assemblea
generale, in particolare nei confronti della risoluzione 2625 (XXV) intitolata “Dichiarazione sui
principi di diritto internazionale riguardanti le relazioni amichevoli e la cooperazione tra Stati
secondo la Carta delle Nazioni Unite”. L’effetto del consenso accordato al testo di queste
risoluzioni non può essere inteso semplicemente come quello di una “reiterazione o
delucidazione” degli obblighi convenzionali assunti nella Carta. AI contrario, può essere inteso
come un’accettazione della validità della norma o insieme di norme dichiarate dalla risoluzione.
[...] 189. Per quanto riguarda gli Stati Uniti in particolare, un’espressione di opinio juris può
essere rintracciata nell'appoggio dato alla risoluzione di condanna dell’aggressione della sesta
Conferenza internazionale degli Stati americani (18 febbraio·1928) e la ratifica della
Convenzione di Montevideo sui diritti e gli obblighi degli Stati (26 dicembre 1933) […].
Significativa è anche l’accettazione da parte degli Stati Uniti del principio della proibizione
dell’uso della forza contenuto nella dichiarazione sui principi che regolano le relazioni
reciproche tra Stati partecipanti alla Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa
(Helsinki, 1 agosto 1975), secondo cui gli Stati partecipanti si impegnano ad astenersi nelle
proprie relazioni reciproche e nelle relazioni internazionali in genere (corsivo aggiunto)
dall’usare la forza. L’accettazione di un testo di questo tipo conferma l’esistenza di un opinio
juris degli Stati partecipanti nel senso di una proibizione dell’uso della forza nelle relazioni
internazionali. 190. Un’ulteriore conferma della validità nel diritto consuetudinario
internazionale del principio della proibizione dell’uso della forza espresso nell’articolo 2,
paragrafo 4, della Carta delle Nazioni Unite può essere trovata nel fatto che esso è richiamato
frequentemente nelle dichiarazioni di rappresentanti degli Stati non solo come un principio di
diritto consuetudinario, ma anche come un principio fondamentale e cardine di tale diritto. La
Commissione di diritto internazionale, nel corso del suo lavoro sulla codificazione del diritto dei
trattati, ha espresso l’opinione che il diritto della Carta riguardante la proibizione dell’uso della
forza in se stesso costituisce un esempio importante di una norma di diritto internazionale avente
il carattere di jus cogens.
b) Corte Internazionale di Giustizia, sentenza sulla Piattaforma continentale del Mare
del Nord (Germania contro Danimarca, Germania contro Olanda), 20 febbraio 1969
Il punto centrale della controversia riguarda la delimitazione della piattaforma continentale tra i
Paesi interessati nel Mare del Nord che, secondo Danimarca ed Olanda, doveva avere luogo
secondo il criterio c.d. dell'equidistanza, mentre secondo la Germania (Federale) doveva essere
effettuata secondo un criterio che comportasse per ogni Stato li diritto ad una parte giusta ed
equa della piattaforma medesima. La questione della delimitazione della piattaforma
continentale per noi assume notevole rilievo in quanto al Corte, per verificare se il criterio
dell'equidistanza potesse ritenersi applicabile alla Germania(Federale) - ancorché quest'ultima
non avesse ratificato la convenzione di Ginevra del 1958 su