Ma quell’anime, ch’eran lasse e nude,
cangiar colore e dibattero i denti,
ratto che ’nteser le parole crude.
Bestemmiavano Dio e lor parenti,
l’umana spezie e ’l loco e ’l tempo e ’l seme
di lor semenza e di lor nascimenti.
Poi si ritrasser tutte quante insieme,
forte piangendo, a la riva malvagia
ch’attende ciascun uom che Dio non teme.
Caron dimonio, con occhi di bragia
loro accennando, tutte le raccoglie;
batte col remo qualunque s'adagia.
Come d’autunno si levan le foglie
l’una appresso de l’altra, fin che ’l ramo
vede a la terra tutte le sue spoglie,
similemente il mal seme d’Adamo
gittansi di quel lito ad una ad una,
per cenni come augel per suo richiamo.
Così sen vanno su per l’onda bruna,
e avanti che sien di là discese,
anche di qua nuova schiera s’auna.
"Figliuol mio", disse 'l maestro cortese,
"quelli che muoion ne l'ira di Dio
tutti convegnon qui d'ogne paese;
e pronti sono a trapassar lo rio,
ché la divina giustizia li sprona,
sì che la tema si volve in disio.
Quinci non passa mai anima buona;
e però, se Caron di te si lagna,
ben puoi sapere omai che ’l suo dir suona".
Finito questo, la buia campagna
tremò sì forte, che de lo spavento
la mente di sudore ancor mi bagna.
La terra lagrimosa diede vento,
che balenò una luce vermiglia
la qual mi vinse ciascun sentimento;
e caddi come l’uom cui sonno piglia.
� Contesto e funzione del canto
Il Canto III è quello in cui Dante varca la soglia dell’Inferno, guidato da Virgilio.
È un canto di soglia, di passaggio: qui si stabiliscono per la prima volta le leggi morali
e spirituali che governano il mondo infernale.
Il tono è solenne, cupo e pieno di terrore sacro.
Riassunto del canto
�
1. L’iscrizione sulla porta dell’Inferno (vv. 1–21)
Il canto si apre con la famosa epigrafe incisa sulla porta dell’Inferno:
“Per me si va ne la città dolente,
per me si va ne l’etterno dolore,
per me si va tra la perduta gente.”
L’iscrizione spiega che l’Inferno è voluto dalla Giustizia divina, nata dalla Sapienza,
Potenza e Amore di Dio:
“Giustizia mosse il mio alto fattore:
fecemi la divina podestate,
la somma sapïenza e ’l primo amore.”
Poi l’ultimo verso, terribile:
“Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate.”
— che sancisce la definitiva separazione dal bene e dalla speranza di salvezza.
Dante, turbato e pieno di paura, viene rincuorato da Virgilio, che gli ricorda che ormai
non c’è più da temere, ma solo da osservare e comprendere.
2. Gli ignavi (vv. 22–69)
Appena oltre la soglia, Dante vede un luogo “senza speranza e senza fama”:
qui stanno le anime degli ignavi, cioè coloro che in vita non scelsero mai, né il bene né
il male, restando neutrali.
Sono rifiutati sia dal Cielo che dall’Inferno:
“Cacciarli i ciel per non esser men belli,
né lo profondo inferno li riceve,
ch’alcuna gloria i rei avrebber d’elli.”
Tra loro ci sono anche gli angeli che non presero parte alla ribellione di Lucifero.
Il contrappasso è perfettamente coerente:
in vita non scelsero nulla,
in morte sono costretti a correre eternamente dietro a un’insegna, punti da vespe e
mosconi, mentre vermi bevono il loro sangue e le loro lacrime.
Il primo esempio di pena dantesca che è specchio morale del peccato.
3. Caronte e il fiume Acheronte (vv. 70–136)
Superati gli ignavi, Dante giunge alla riva dell’Acheronte, dove le anime dannate
attendono di essere traghettate da Caronte, il nocchiero infernale, che urla:
“Guai a voi, anime prave!
Non isperate mai veder lo cielo!”
Caronte si accorge che Dante è vivo e lo rimprovera, ma Virgilio gli impone di tacere,
poiché la volontà divina vuole che Dante passi.
Segue una scena impressionante: le anime, come foglie d’autunno, si affollano verso
la riva, piangendo e maledicendo Dio, i genitori, la nascita e la vita.
Infine, un terremoto e un lampo fanno perdere i sensi a Dante — e così termina il
canto:
è il suo “svenimento iniziatico”, che segna il suo primo vero contatto con il dolore
eterno.
� Struttura del canto
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1 1–21 Iscrizione sulla porta dell’Inferno
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