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Estratto del documento

Tuttavia, lo Stagirita osserva che le scienze pratiche e le arti non sembrano avvalersi di tale

conoscenza.

- Ad esempio gli esperti perseguono i loro fini specifici senza fare riferimento a un

Bene universale.

Esempio del medico:

Secondo Aristotele un medico si occupa della salute del paziente specifico, non della salute

in assoluto.

Capitolo quinto:

Aristotele prosegue l’indagine sul bene supremo.

Aristotele inizia osservando che il bene è diverso in ogni azione e arte: in medicina è la

salute, nell'arte militare la vittoria, nell’ edilizia la casa.

- Questo mette in evidenza che ogni disciplina ha un telos specifico.

Il bene pratico:

Ora Aristotele si interroga se esista un fine ultimo di tutte le azioni.

Se questo fine dovesse esistere esso sarebbe il bene pratico per eccellenza (perché le

azioni sono pratiche).

Distinzione tra i fini:

Aristotele sa che i fini sono tanti e quindi distingue tra:

- Fini scelti per altro.

- Fini in quanto tali.

Aristotele afferma che il bene più perfetto è quello scelto per sé.

Questo porta alla conclusione che la felicità è un fine scelto in quanto tale.

Felicità come bene supremo:

La felicità viene identificata come bene supremo in quanto è:

- Scelta per sé stessa

- Autosufficiente: la felicità, anche presa da sola, rende la vita completa.

Se la felicità è autosufficiente e perfetta allora questa non sarà nel novero dei beni ed

essa non può tollerare l'aggiunta di altri beni perché è massimamente perfetta.

Capitolo sesto:

Si è arrivati a dire che il sommo bene è la felicità (e tutti i greci erano d’accordo su questa

cosa, era una banalità) ma non è ancora chiaro in cosa consista questa felicità.

Ora Aristotele si pone la domanda sull’ergon: esiste un ergon (opera) tipicamente umano?

L’ergon:

Per Aristotele l’uomo deve avere per natura un ergon perché sennò sarebbe inattivo.

Ora Aristotele ricerca l’ergon:

1. Vita vegetativa: tutti gli uomini hanno in comune la vita (però la vita l'hanno anche le

piante e gli animali) = questo ergon non può essere dell’uomo.

2. Vita sensitiva: anche gli animali hanno questo ergon quindi non può essere proprio

dell’uomo.

3. Vita razionale: questo è l’ergon umano poiché pensare è l’attività umana per

eccellenza.

Di questa una parte è razionale perché obbedisce alla ragione, l’altra, invece, perché

la possiede.

La distinzione della ragione:

Aristotele pone una distinzione in quanto nell’anima razionale esiste:

- Una parte che possiede il logos.

- Una parte che partecipa al logos.

Questa distinzione è la base per la suddivisione tra virtù etiche (parte che partecipa al logos)

e dianoetiche (parte che ha il logos).

Virtù come eccellenza nell’azione:

Aristotele introduce una distinzione:

- L'operare di una cosa

- L'operare eccellente di quella stessa cosa

Usando l'esempio del citarista, egli afferma che è proprio del citarista suonare la cetra, ma è

proprio del citarista virtuoso suonarla eccellentemente.

La virtù (areté) è dunque intesa come l'eccellenza nell'adempimento della propria funzione.

- Pertanto, il bene umano risulta essere l'attività dell'anima secondo virtù.

La completezza della vita:

Aristotele sottolinea che questa attività dell’anima secondo virtù deve essere esercitata in

una vita completa.

Capitolo settimo:

Aristotele afferma che Platone e Socrate direbbero che c’è altro da dire riguardo il sommo

bene ma Aristotele, per gli scopi che si propone, questa definizione basta.

Adattare la precisione all’oggetto di studio:

Aristotele ripete che non bisogna cercare la stessa precisione in tutte le indagini ma solo in

quelle in cui la natura dell’oggetto lo consente.

Qui Aristotele propone un esempio:

- Il costruttore: egli studia l’angolo retto nella misura in cui gli è utile per la

costruzione della casa.

- Il matematico: egli studia l’angolo retto in sé e quali siano le sue proprietà.

Per lo studio dell’etica bisognerà agire con lo stesso metodo del costruttore: conoscere i

principi a grandi linee.

I principi:

Aristotele afferma che si possono conoscere i principi in tre modi:

1. Induzione: dal particolare all’universale.

2. Sensazione: esperienza sensoriale diretta.

3. Un certo processo di abitudine: con la ripetizione si arriva a conoscere certi

principi.

Qui Aristotele sta dicendo che la virtù si impara come si impara a scrivere e non si dimentica

mai quindi tramite un certo processo di abitudine.

Il problema sorge quando non si ha imparato la virtù e questo libro sull’etica, per chi non è

già virtuoso, sarà inutile.

Capitolo ottavo:

Qui Aristotele tratta della ripartizione dei beni.

La suddivisione dei beni:

Aristotele introduce una classificazione dei beni in tre categorie:

- Beni esterni: sono necessari ma non troppo importanti perché non influiscono sulla

moralità dell’individuo.

- Beni del corpo: importanti ma subordinati ai beni dell’anima.

- Beni dell'anima: questi sono i beni che rendono la vita veramente felice.

Questa tripartizione è sostenuta da tanti e chi la sostiene crede che i beni dell’anima siano i

migliori; quindi, visto che abbiamo definito la felicità come attività dell’anima, la teoria

aristotelica è confermata.

“Abbiamo detto, all’incirca, che la felicità è un certo modo di vivere bene e di agire bene”

Capitolo nono:

Aristotele introduce l’indagine sulla felicità, sostenendo che essa soddisfa tutte le

caratteristiche richieste per una teoria della felicità.

Aristotele precisa che la felicità non risiede nel possesso della virtù come stato abituale

(hexis), ma si realizza pienamente nell'attività secondo virtù.

Stato abituale e l’esercizio della virtù:

Aristotele afferma che chi dorme possiede una capacità ma non la esercita quindi anche se

possiede la virtù egli non sarà virtuoso in quel momento perché non sta esercitando la virtù.

Se invece esercita tale virtù egli sarà virtuoso in senso pieno.

- Con la metafora dei giochi olimpici, Aristotele spiega che non basta possedere delle

qualità ma è necessario impiegarle attivamente per il successo.

Allo stesso modo, nella vita etica, coloro che esercitano la virtù possono considerarsi

pienamente morali.

Virtù e piacere:

Aristotele afferma che la virtù è di per sé piacevole e dunque il piacere non è un'aggiunta

esterna, ma è proprio dell'azione virtuosa.

Per Aristotele l’uomo che agisce secondo virtù prova piacere perché sennò non agirebbe

secondo virtù.

La massa:

Per la massa le cose piacevoli sono in conflitto (a qualcuno piace la pesca, ad altri no) ma

queste cose non sono piacevoli in sé.

Gli attributi delle azioni virtuose:

Le azioni virtuose sono quindi:

- Piacevoli in sé (accompagnate dal piacere).

- Buone

- Belle

I beni esterni:

Per Aristotele, la felicità ha bisogno dei beni esterni in quanto è impossibile compiere azioni

belle se siamo privi di beni esterni.

Lo Stagirita afferma che i beni esterni sono condizioni necessarie (ma non sufficienti) per la

felicità: bisogna averli (necessari) ma essi soli non sono sufficienti per essere felici.

Capitolo decimo:

Dopo aver definito la felicità come un'attività dell'anima secondo virtù, Aristotele si occupa

dell’acquisibilità della felicità.

A questo punto Aristotele si chiede se la felicità si può acquisire:

- O per insegnamento

- O per abitudine

- O per esercizio

- O per dono divino

- O per caso

Per dono divino:

Aristotele inizia con la possibilità che la felicità possa essere un dono divino.

Tuttavia, Aristotele sembra preferire l'idea che la felicità sia raggiungibile attraverso le virtù

umane e l'attività pratica.

- Rimane però il fatto che per Aristotele la felicità è ciò che più si avvicina al divino (in

quanto è frutto della contemplazione).

Per insegnamento o per esercizio:

Se la felicità può essere raggiunta attraverso l'insegnamento o l'esercizio, essa diventa

accessibile a molti.

Per caso:

Dire che la felicità si acquisisce per caso è oltraggioso.

Animali e bambini:

Aristotele afferma che non possiamo attribuire la felicità a un animale, poiché non è in grado

di agire secondo virtù.

Allo stesso modo, un bambino non può essere considerato veramente felice, poiché, a

causa della sua giovane età, non è ancora capace di compiere azioni morali in senso pieno.

L’importanza di una vita completa e dei beni esterni:

Potrebbe accadere che, nel corso di una vita, una persona, pur essendo virtuosa, possa

subire grandi sventure (Priamo).

Nessuno considererebbe felice una persona del genere.

- Questo porta Aristotele a concludere che la felicità richiede non solo un’attività

secondo virtù ma anche una vita completa e i beni esterni.

Capitolo undicesimo:

Aristotele inizia il capitolo con un riferimento a Solone, legislatore che avrebbe detto che

nessuno può essere considerato felice fino alla fine della sua vita.

Solone sta dicendo che quando qualcuno è morto non gli possono capitare sventure e quindi

è possibile valutare la sua vita e, se lecito, definirlo felice.

Critica a Solone:

Aristotele controbatte dicendo che se la felicità è un’attività allora è impossibile che un morto

sia felice.

Aristotele afferma che la tesi di Solone (ovvero che i morti sono esenti dalle sventure) è

sbagliata in quanto i morti vengono colpiti dalle vicende dei discendenti.

Il problema delle sventure postume:

Se i morti possono essere influenzati da successi o fallimenti dei loro discendenti allora

abbiamo un problema perché la felicità di una persona potrebbe variare anche dopo la

morte, il che sembra paradossale.

Dettagli
Publisher
A.A. 2024-2025
16 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-FIL/03 Filosofia morale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher enks di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Filosofia morale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano o del prof Di Martino Carmine.