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DELLE PREMESSE STRUTTURATE ALL'INTERNO DELL'ORDINAMENTO GIURIDICO? Mezza
norma, cioè una parte di norma, non è una premessa logica, cioè se io da due mezze norme faccio una terza
norma, non trovo la norma all'interno dell'ordinamento giuridico, mi costruisco la norma come voglio.
Quindi, anche la finzione del combinato disposto è un modo per il magistrato di creare nuovo diritto.
2.2 La sedes mataeriae è quella finzione in forza della quale il magistrato può ritenere che, in assenza di una
norma specifica sul caso, poiché quel caso può essere ricompreso in una certa materia, si può procedere ad
interpretare nel modo in cui vengono interpretati complessivamente i casi che riguardano quella determinata
materia.
2.3 La costanza terminologica E' il constatare che il legislatore usa sempre ciascun termine o sintagma con lo
stesso significato all'interno dei testi normativi. Quindi, poiché si usa sempre lo stesso termine, anche se la
norma non c'è, possiamo ritenere che quel termine possa essere applicato a una norma diversa. Questa
finzione, per le teorie cognitiviste si potrebbe avvicinare più di tutte le altre all'analogia.
2.4 La reductio ad assurdum In questo caso c'è da parte del magistrato la volontà di NON APPLICARE una
norma presente all'interno del sistema, ritenendola come un assurdo ( per assurdo s'intende che una certa
interpretazione è ritenuta assurda dalla generalità degli interpreti, dalla complessiva comunità in un dato
contesto sociale). Tutte le finzioni giuridiche in pratica dimostrano la presenza della volontà del soggetto
giudicante nel procedimento interpretativo e aprono le porte alla teorie scettiche dell’interpretazione
giuridica.
Lezione 22 La discrezionalità amministrativa
La metodologia giuridico-ermeneutica rinviene in alcuni istituti giuridici previsti dal nostro ordinamento dei
possibili strumenti applicativi. Tali strumenti applicativi sono la discrezionalità amministrativa, l’equità e i
principi fondamentali del diritto. Essi rappresentano un momento di contatto tra la metodologia ermeneutica
e le strutture ordinamentali vigenti. E’ fondamentale premettere che i tre istituti della discrezionalità
amministrativa, dell’equità e dei principi fondamentali del diritto hanno, dal punto di vista giuridico (e non
della teoria dell’interpretazione), una caratteristica comune: sono sia delle eccezioni al sistema di diritto
positivo, sia negazioni del sistema stesso, in quanto l’ordinamento è stato tradizionalemnte concepito come
ordinato e completo. Tanto precisato, interessa in particolare esaminare i suddetti istituti nella loro veste di
strumenti applicativi della metodologia ermeneutica, in quanto utili a verificare la sussistenza della
precomprensione critica e della circolarità ermeneutica, soprattutto nelle ipotesi in cui il giudicante sia
chiamato a pronunciarsi su un’attività giuridica complessa, che non riguardi soltanto il documento
normativo. Perché possano essere considerati strumenti applicativi della metodologia ermeneutica, è
necessario che gli istituti in esame siano effettivamente ermeneutici, abbiano cioè contenuti ermeneutici: in
altri termini bisogna verificare se contengano a loro volta la precomprensione critica e la circolarità, e quindi,
se possano essere davvero idonei a procedere ad un giudizio ermeneutico. In sede applicativa, dobbiamo
invece verificare se questi istituti ci permettano, da un punto di vista squisitamente tecnico-giuridico, di
e circolarità all’interno del giudizio ermeneuticamente valido.
verificare la sussistenza di precomprensione
Al fine di effettuare le suddette verifiche, esamineremo la discrezionalità amministariva, l’equità e i principi
fondamentali del diritto tanto nella prospettiva del quid ius, quanto del quid iuris. La discrezionalità
amministrativa, dal punto di vista giuridico, non si è caratterizzata come istituto giuridico in sede politica.
Tra la fine del 1600 e l’inizio del 1700 il concetto di discrezionalità amministrativa è nato in sede
processuale-giurisdizionale. È stata in qualche modo la magistratura, specie le magistrature amministrative
negli ordinamenti degli Stati in cui esse erano presenti, a costruire, a livello giurisprudenziale, il concetto
sostanziale di discrezionalità amministrativa come forma di controllo del potere sovrano. La discrezionalità
amministrativa, dunque, è nata per valutare l’eccesso di potere. Muovendo da tale esigenza di controllo,
l’istituto della discrezionalità amministrativa si è perfezionato come giuridico nel senso che i vari
ordinamenti hanno soprattutto definito i presupposti e i limiti della discrezionalità stessa. I presupposti, per il
nostro ordinamento, sono due: uno, di tipo soggettivo, l’altro, di tipo oggettivo: ovvero, la dichiarazione di
pubblico interesse e la sussistenza della necessità ed urgenza (presupposto oggettivo), nonché la sussistenza
del neminem laedere, cioè assenza di lesione di interessi particolari, specifici, o anche di lesione della
collettività rispetto ad un interesse parziario (presupposto soggettivo). Al fine, poi, di verificare se la
discrezionalità sia un istituto sostanzialmente ermeneutico dobbiamo considerare cosa richieda l’ermeneutica
alla discrezionalità per operare. L’ermeneutica ovviamente richiede che la discrezionalità sia precomprensiva
e circolare. La dichiarazione di pubblico interesse e la verifica della sussistenza della necessità ed urgenza
sono attività non certo plausibili e pensabili per qualunque soggetto dell’ordinamento giuridico, cioè non tutti
i soggetti dell’ordinamento giuridico possono ritenere che sussista un pubblico interesse, non tutti i soggetti
dell’ordinamento giuridico possono ritenere che ricorra una situazione di emergenza rilevante ai fini della
discrezionalità. La necessità, l’urgenza e la dichiarazione di pubblico interesse richiedono una forte
precomprensione critica, cioè, un forte habitus del soggetto che dichiara il pubblico interesse e riconosce la
necessità e l’urgenza. Uno dei più rilevanti problemi a riguardo è stato che la nostra prima legislazione
sull’espropriazione per pubblica utilità lasciava grande potere a soggetti assolutamente privi di
precomprensione critica sulla dichiarazione di pubblica utilità e sulla verifica dei requisiti di necessità ed
urgenza laddove, invece, i detti presupposti richiedono una particolare precomprensione critica. Ancora oggi,
in tema di espropriazione per pubblica utilità, abbiamo una legislazione convulsa e complessa: ad esempio,
in tema di emanazione di un decreto legge da parte del Governo, molto discussa è la questione della
individuazione di colui che sia competente a dichiarare la necessità ed urgenza, cioè, del soggetto che abbia
la precomprensione per verificare se un fatto sia veramente urgente e necessario e se l’espropriazione sia
davvero di pubblica utilità. Non mancano infatti ipotesi in cui le espropriazioni per pubblica utilità sono
prive di interesse pubblico (si pensi, ad esempio, a tutto l’abusivismo edilizio che ha deturpato alcuni nostri
bellissimi paesaggi e alcune nostre opere pubbliche). In questi casi la dichiarazione di pubblica utilità e la
dichiarazione di necessità ed urgenza avrebbe dovuto contenere almeno delle valutazioni tecniche. Non a
caso, più di recente, la legislazione ha previsto che si effettui una valutazione di impatto ambientale, che si
svolgano delle osservazioni di tipo tecnico. Si deve in pratica ritenere, dal punto di vista ermeneutico, che un
atto emanato con dichiarazione di pubblica utilità e di necessità ed urgenza senza la necessaria
precomprensione critica sia un atto invalido. Vi sono varie sentenze, emesse dalla giustizia amministrativa in
cui, facendosi ricorso all’ermeneutica correttiva, viene negato, dal punto di vista della canonistica
ermeneutica, la validità della dichiarazione di pubblica utilità e della dichiarazione di necessità ed urgenza.
Si è, fino a questo punto esaminata la discrezionalità amministrativa dal punto di vista del quid ius e non
ancora del quid iuris, si sta, cioè, approfondendo la sostanza dell’istituto della discrezionalità piuttosto che la
valenza e validità della sua operatività pratica. La discrezionalità amministrativa, come già anticipato sopra,
ha una forte valenza di circolarità ermeneutica, che può facilmente cogliersi nel presupposto del neminem
laedere, in quanto la circolarità ermeneutica, cioè il rapporto tra soggetto decidente e soggetto su cui ricade la
decisione, può essere particolarmente individuata ed apprezzata nel momento in cui bisogna verificare che il
provvedimento amministrativo che sta per essere emanato non sia lesivo di interessi particolari, specifici, o
anche della collettività rispetto ad un interesse individuale. Dal punto di vista del quid iuris, e cioè in sede
applicativa, la discrezionalità amministartiva assume la veste di un istituto operativo della metodologia
giuridica ermeneutica perché permette, attraverso la verifica della sussistenza del pubblico interesse, della
necessità ed urgenza e del neminem laedere, di ritenere valido o meno il giudizio dato. E’ possibile
controllare dal punto di vista ermeneutico, in sede di quid iuris, se il giudizio discrezionale sia scaturito da
una valutazione precomprensiva e circolare. In sede correttiva, infatti, quasi tutte le magistrature superiori
ormai ritengono di poter verificare la sussistenza di precomprensione e circolarità attraverso la verifica della
sussistenza dei presupposti della discrezionalità amministrativa in quanto, dal punto di vista del quid ius, cioè
del fondamento e della struttura giuridica pura della discrezionalità, essa è sostanzialmente ermeneutica,
contenendo in sé precomprensione e circolarità. E’ quindi possibile attraverso la discrezionalità
amministrativa verificare che il giudizio reso sia stato effettivamente precomprensivo e circolare. La
in altri termini, l’istituto giuridico che, con l’utilizzo dei canoni
discrezionalità amministrativa diventa,
ermeneutici, consente il controllo e la verifica di precomprensione e circolarità all’interno del giudizio reso.
Appare chiaro, a questo punto del discorso, che la discrezionalità amministrativa è la negazione del
positivismo giuridico classico e del positivismo giuridico logico.
A) Per il positivismo giuridico classico l’unica sovranità, l’unica discrezionalità sovrana, è la discrezionalità
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