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Su una prospettiva di più lungo periodo si può vedere come i paradigmi di
riferimento della scena non soltanto artistica, ma anche culturale, cambino
rapidamente e mentre alcune tendenze banalizzano o meglio emergono in quanto
già fortemente globalizzate, molte delle vetuste e antiche categorie culturali
eurocentriche invecchiano di colpo. Tra le molte trasformazioni in atto sono
sicuramente tre i temi fondamentali che bisogna affrontare avvicinandosi ad una
rilettura dell'arte del decennio trascorso. Innanzitutto la perdita da parte degli Stati
Uniti di quell'egemonia culturale che dal dopoguerra fino a tutti gli anni ’60 si era
consolidata, anche aiutata dalla particolare condizione dell'Europa. In seconda
battuta, una progressiva inarrestabile globalizzazione culturale che non solo mette
alla prova, ma ristruttura integralmente tutte le definizioni occidentali di arte. Infine la
revisione di ciò che è stato definito il canone di riferimento storico artistico attraverso
il recupero e l'inclusione di figure quasi sempre marginalizzate del passato come le
donne e le cosiddette minoranze. Le ricadute avutesi all'interno della sfera culturale
ma anche della società sono innumerevoli per ragioni di sintesi tutto può
comprimersi sotto il nome di arte relazionale anche se si potrebbe dividerla in una
serie di capitoli tematici utilizzando concetti di riferimento quali le definizioni di
nazione, cittadinanza, luogo, impatto tecnologico e performance, soprattutto nella
sua accezione economico finanziaria, “sportiva”, o connessa all’universo mediatica e
della telecomunicazione.
Ma soprattutto, il volere restare legati alla tradizione interpretativa della storia dell’arte
ha sempre meno senso, dal momento che l'arte contemporanea dimostra
continuamente di voler ridiscutere e spezzare parametri spazio temporali ereditati
dalla storia dell'arte, come l'azzeramento delle distinzioni fra cultura bassa e cultura
alta, la trasformazione dell'idea stessa di lavori in quanto operazioni materiale, idea
abbandonata dall'artista dopo la svolta concettuale. Il concetto stesso di arte
fondamentalmente basata sulla nozione di storia o modellata sulla pura percezione
estetica sull'opera, è anch’esso un punto drasticamente contestato e rivisto.
Gli anni ’90 si aprono con una serie di drammatiche situazioni concomitanti. Già dalla
seconda metà degli anni ’80 si ricomincia ad avere la percezione che il potere
effettivo dello Stato sovietico non corrispondesse più all'immagine che si era
occidente/oriente / NATO e
cristallizzata nella logica dei blocchi contrapposti
Patto di Varsavia. A seguito delle trasformazioni in atto dopo la caduta del muro di
Berlino e della crisi sovietica, un rapido processo di trasformazione vede, in forme e
tempi differenziati, gli stati, che si trovano sotto regimi totalitari, dirigersi verso nuove
Germania
forme di governo democraticamente eletto. Il caso della è comunque un
esempio prezioso. Forte di un indelebile storia, nonché di una certa energia
DAAD residenza per giovani stranieri o il
anticipatrice, iniziative come il
Buroberlin negli anni 80, esperienza autogestita dagli artisti, fa si che Berlino rafforzi
il suo ruolo nella più ampia mappa dei maggiori centri artistici internazionali.
Nel volgere di poco più di un decennio la sua economia, principalmente basata sul
settore dei servizi, ha gradualmente allargato la sfera di attività suscitando l'interesse
di svariate industrie creative e ricreative, già nota per le sue università, per numerosi
istituti di ricerca e il complesso dei musei, un rinnovato paesaggio urbano, la sua
architettura contemporanea, nonché l'insieme dei molti festival delle manifestazioni
artistiche d’avanguardia che l’hanno resa meta sempre più desiderata per i turisti di
un certo tipo ma anche per artisti e creativi in arrivo da tutto il mondo.
Il clima ereditato all'alba dei primi anni ’90 vedi ancora addensarsi all'orizzonte non
soltanto le faticose conseguenze sociali politiche nella trasformata carta geopolitica
europea, ma anche gli effetti dell'emergenza venutasi a creare all’AIDS, con le
relative risposte e le forme di mobilitazione non soltanto fra artisti, ma più in generale
nell'ambito della società civile. Le ricadute della crisi sono estese su tempi
decisamente più lunghi che superano l’ambito squisitamente privato con la perdita
intergenerazionale di amici, compagni di percorso e colleghi, come testimoniano i
Nan Goldin.
lavori soprattutto di
-Fotografa, che con toccanti fotografie di grande intensità registra la portata delle
strazianti conseguenze, causate in questi anni da eccessi di alcool, di droghe e del
funesto AIDS.
Alzando lo sguardo dalle congiunture storico economiche nel corso della decade, Si
avvertono quali e quanti siano stati i margini di incertezza. Temi dissonanti,
controcorrente, migrazioni, riti di passaggio, nuove storie, forza del cambiamento,
mutazioni, ferite: tra democrazia e redenzione dell'arte contemporanea, Queste sono
solo alcune delle definizione dei titoli che tornano alla mente quando ci si trova
pensare e ripensare alla stagione artistica impegnata del decennio appena passato.
Il corpo postumano
Il ritorno alle tematiche corporali così sentite negli anni ’70, durante il periodo della
contestazione, dal movimento di liberazione sessuale a quello femminista, riappare
negli anni ’90 e riattiva non solo per la donna, una nuova sensibilità. Questo
fenomeno prevede una sorta di ripensamento su ciò che costituisce la patologia del
quotidiano con la riscoperta di una nuova soggettività, la riconquista di nuove forme
identitarie, la consapevolezza di luoghi e zone d'ombra ancora da esplorare.
L'ossessione del corpo si era paventata all'inizio degli anni ’90 con una stressante
psicosi di morte: dalla scoperta del virus dell'AIDS a determinati ripensamenti e
riattraversamenti del pianeta corpo. Un corpo tumorale che negli Stati Uniti, più che
altrove, prende la via di una riflessione corporea putativa e lo spiazzamento d'identità
stabili cristallizzate. La grande paura gioca un ruolo fondamentale all'interno dei
meccanismi relazionali-sessuali esercitando un controllo/autocontrollo indotto dello
shock iniziale. Una attenzione abissale verso tutto ciò che collima col corpo
mantiene una sua centralità all'interno di un soggetto che si sta riversando
nell'ampio dispiegamento delle nuove tecnologie che offrono una nuova architettura
interno dello stesso. Non è solo il panico virale a sviluppare il cortocircuito corporeo
bensì un processo socio economico culturale che risucchia la soggettività e la
spinge a confrontarsi con una novità, un'idea anarchica del sè. Diventa quindi
necessario riattraversare il proprio corpo e riconquistarlo attraverso le nuove ipotesi
della biotecnologia avanzata, della nuova ossessione fisica del fitness, della psicosi
di pratica, del nomadismo sempre più condizionante del soggetto,
dell'incandescenza con cui la tecnocrazia multinazionale riformula consumismo e
cannibalismo, con la velocità con cui migliora, con la disequazione dei conflitti etnici,
con la incessante pressione che la seduzione per nuove forme di stato sociale
cattura strati sempre più disparati e potenziali acquirenti. Lo stupore della filosofia
post umana, come esperienza sensibile incorporata in un soggetto dominato dalle
nuove paure e dalle scoperte tecnologiche, si riflette nella mostra Post human ideata
da Roger Deitch e presentata nel 1993. Il decennio precedente che si era modellato
sull'etica yuppie si affacciava su di un edonismo plastificato almeno sotto Reagan
che aveva imposto una sensibilizzazione alla qualità della vita e a modelli di
comportamento ben descritti peraltro dal cult book American Psyco che rasentava la
schizofrenia. Da deliri di onnipotenza a down maniaco depressivi, lo yuppismo
scriveva un'epoca di vuoto assoluto, patologia fondamentalmente reazionaria. È
chiaro che, anche l'arte degli ’80 si è qualificata in questo vuoto. Perciò queste
domande piombarono come terremoto ricongiungendo il reale all'estetica
multidisciplinare. Il contatto tra esistenza creazione diventava centrale. E poi, come
un lampo a ciel sereno, gli anni ’90 ci sono crollati addosso con tutta la loro crudeltà
in una mattina dell'aprile del 1994 con i media che ci informano che il re del grunge
Kurt Cobain si era tolto la vita sparandosi con fucile alla gola. I media ci
informavano che aveva lasciato un biglietto "ho perso la ragione di vivere. Meglio
andarsene con una vampata che morire giorno dopo giorno". Il suo corpo angelico e
maledetto divenuto simbolo di quella generazione X imberbe e visceralmente
antagonista, si era arreso alla non pacificazione del proprio secolo con il mondo,
nonostante lui fosse leader incontrastato di una intera progenie X di lui incarnava
simboli e sogni, da Seattle alle più remote interzone del pianeta. Ma questo non ha
contato granché nel momento in cui il malinconico sapore dell'ennesima deriva lo ha
seppellito nell’abisso di una sentire infernale. Era diventato ciò che lui stesso odiava:
un tragico disadattato.
Sopravvivere al sistema, all'establishment e allo show business gli era diventato
insopportabile. La sua carica autodistruttiva non ha retto il moto di urto e ha preferito
morire, lasciando che il suo mito pendesse sul mondo in una perenne incombenza.
Nevermind: il suo corpo non si è dileguato invano visto che è rimasto, assieme ai
Nirvana, una sorta di profeta pellicolare e grunge. Cobain rimane sempre al limite
Douglas Gordon,
dell’ idolatria collettiva ed è proprio in una sua interpretazione
multipla, che non sceglie nulla di performativo ma piuttosto di adesione empatica, ha
ha rimarcato la mitologia rivivendolo sotto la bislacca parrucca bionda e sdentata di
self portrait as Kurt Kobain, as Andy Warhol, as Myra Hindley, as Marilyn
Monroe (1996). Questo sentire schizoide così diffuso è riapparso incollato alla pelle
di Gustav Franz sovversivo regista, del depresso Midwest americano che attraverso
le sue erranze finì per sprofondare in quegli inferi, in cui sono cadute alcune dark
Gus Van
star, stritolato dal fascino decadente del mito americano. Le immagini di
Sant quasi percorrono la fenomenologia post umana e divengono dei paradigmi
dolenti di un'overdose di segni e debolezza del quotidiano. Gus Van Sant non fa che
calarsi nella caldaia bollente di un magma umano che vive una dimensione psicotica.
Così i suoi personaggi disordinati non possono essere Junkies incalliti - Drugstore
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