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D A
INASTIA DEGLI NTONINI
Plinio il giovane, Panegirico a Traiano
Discernatur orationi bus nostris diversitas temporum, et ex ipso genere gratiarum far
agendarum intellegatur, cui, quando sint actae. Nusquam ut deo, nusquam ut numini
blandiamur; non enim de tyranno. sed de cive, non de domino, sed de parente
loquimur. Et hoc magis excellit atque eminet, quod unum (ille se) [4] ex nobis
putat nec minus hominem se quam hominibus suc praeesse meminit.
Dai nostri discorsi si veda subito quanto i tempi ano diversi, e bastino le caratteristiche
dei ringraziamenti per far capire a chi e quando furono pronunciati. Non lusinghiamo
che lo proclamino un dio, che lo proclamino un essere sovrumano: infatti non parliamo
di un tiranno ma un cittadino, non di un padrone ma di un padre. Ad accrescergli
superiorità e preminenza è proprio questo o credersi uno di noi, questo suo ricordarsi
non meno essere uomo 15 quanto di essere a capo degli uomini.
Iam firmitas, iam proceritas corporis, iam honor capitis et dignitas oris, ad hoc
aetatis indeflexa maturitas nec sine quodam munere deum festinatis senectutis
insignibus ad augendam maiestatem ornata caesaries, nonne longe lateque
principem ostentant?
La robustezza e l’altezza del copo, la stessa autorevolezza del suo capo e la signorilità
del suo volto, ed inoltre la piena saggezza degli anni ancora alieno da qualsiasi
cedimento e la chioma nobilitata, per uno speciale dono degli dèi, dai precoci caratteri
della vecchiaia per aumentarne la maestà, non mettono subito in evidenza, da
qualsiasi distanza e direzione lo si guardi, che quello è un imperatore?
D S
INASTIA DEI EVERI
Erodiano 2.6.6-11
Ἰουλιανῷ δέ τινι, ἤδη μὲν τὴν ὕπατον τετελεκότι ἀρχήν, δοκοῦντι δὲ ἐν εὐπορίᾳ
χρημάτων εἶναι, ἑστιωμένῳ [δὴ] περὶ δείλην ἑσπέραν διηγγέλη τὸ στρατιωτικὸν
κήρυγμα παρὰ μέθην καὶ κραιπάλην· ἦν γὰρ καὶ τῶν ἐπὶ βίῳ μὴ σώφρονι
διαβεβλημένων. πείθουσιν οὖν αὐτὸν ἥ τε γυνὴ καὶ ἡ θυγάτηρ τό τε τῶν παρασίτων
πλῆθος ἀναθορόντα τοῦ σκίμποδος δραμεῖν ἐπὶ τὸ τεῖχος καὶ τὰ πραττόμενα μαθεῖν
(…). ἐπεὶ τοίνυν τῷ τείχει προσῆλθεν, ἐβόα [τε] πάντα δώσειν ὅσα βούλονται
ὑπισχνούμενος, παρεῖναί τε αὑτῷ πάμπλειστα χρήματα καὶ θησαυροὺς χρυσοῦ καὶ
ἀργύρου πεπληρωμένους ἔλεγε. (…) καθέντες δὲ κλίμακα τὸν Ἰουλιανὸν ἐπὶ τὸ τεῖχος
ἀνεβίβασαν. οὐ γὰρ πρότερον ἀνοῖξαι τὰς πύλας ἤθελον πρὶν ἢ τὴν ποσότητα μαθεῖν
τῶν δοθησομένων χρημάτων. ὃ δ’ ἀνελθὼν τήν τε Κομμόδου μνήμην αὐτοῖς καὶ
τὰς τιμὰς καὶ τὰς εἰκόνας, ἃς ἡ σύγκλητος καθεῖλεν, ἀνανεώσεσθαι
ὑπέσχετο, καὶ πάντων δώσειν ἐξουσίαν ὧν εἶχον ἐπ’ ἐκείνου, ἑκάστῳ τε
στρατιώτῃ τοσοῦτον ἀργύριον ὅσον μήτε αἰτῆσαι μήτε λήψεσθαι προσεδόκησαν· τὰ
δὲ χρήματα μὴ μελλήσειν, ἀλλ’ οἴκοθεν ἤδη μεταπέμψεσθαι. τούτοις ἀναπεισθέντες
οἱ στρατιῶται καὶ ταύταις ἀρθέντες ταῖς ἐλπίσιν αὐτοκράτορά τε τὸν Ἰουλιανὸν
ἀναγορεύουσι.
A un certo Giuliano, che già era stato console e veniva considerato molto ricco. Questi
si trovava a tavola, verso sera l’offerta dei soldati fu comunicata, mentre era intento a
bere e a mangiare smoderatamente: infatti era famigerato per la sua dissolutezza.
Subito la moglie, la figlia, e la folla dei parassiti, lo convinsero a precipitarsi dal suo
posto e a correre verso le mura del campo per rendersi conto di ciò che accadeva. (…)
Quando giunse sotto le mura, cominciò a gridare promettendo che avrebbe pagato
tutto ciò che i soldati potevano chiedere, e vantandosi di avere immense ricchezze, e
forzieri pieni di oro e di argento. (…) Sicché gettarono una scala e fecero salire sul
muro Giuliano: infatti non volevano aprire le porte prima di aver appreso l’ammontare
del futuro donativo. Una volta entrato, Giuliano promise loro che avrebbe riabilitato la
memoria di Commodo, restaurando le iscrizioni onorifiche e le statue che il senato
aveva fatto distruggere; inoltre affermò che avrebbe concesso loro tutti i diritti di cui
godevano durante l’impero di Commodo, e che avrebbe dato a ciascun pretoriano
tanto denaro quanto non si era mai sognato, nonché di ottenere, di chiedere; anzi
questo denaro l’avrebbe fatto portare da casa senza ulteriore indugio. I soldati,
persuasi da siffatti argomenti, e soddisfatti dalle promesse, proclamarono Giuliano
imperatore.
Cassio Dione 76
μάλιστα δ᾽ ἡμᾶς ἐξέπληξεν ὅτι τοῦ τε Μάρκου υἱὸν καὶ τοῦ Κομμόδου ἀδελφὸν
ἑαυτὸν ἔλεγε, τῷ τε Κομμόδῳ, ὃν πρῴην ὕβριζεν, ἡρωικὰς.
Ci rendeva sgomenti il suo continuo definirsi figlio di Marco e fratello di Commodo e la
sua concessione di onori divini a quest’ultimo, che, fino a poco tempo prima, aveva
oltraggiato.
Erodiano 3.10.5
τὸν δὲ πρεσβύτερον, ᾧ γνήσιον μὲν ἦν ὄνομα Βασσιανὸς πρὶν ἐς τὸν βασίλειον
οἶκον παρελθεῖν, ὅτε δὲ τὴν τῆς ἀρχῆς τιμὴν εὐτύχησε, Σεβῆρος Ἀντωνῖνον
ὠνόμασε, Μάρκου θελήσας αὐτὸν προσηγορίαν φέρειν.
Non appena le sue ambizioni di potere erano state coronate dal successo, Severo
aveva assegnato al suo primogenito (il cui vero nome, prima che la sua famiglia
salisse al trono era Bassiano) il nome di Antonino, desiderando ch’egli in tal modo
richiamasse il ricordo di Marco
Dig. 1, 5, 17, Ulp. 22 ad edictum
In orbe Romano qui sunt ex constitutione imperatoris Antonini cives Romani effecti
sunt. Erodiano VI, 1,2,4
καὶ πρῶτον μὲν τῆς συγκλήτου βουλῆς τοὺς δοκοῦντας καὶ ἡλικίᾳ σεμνοτάτους
καὶ βίῳ σωφρονεστάτους ἑκκαίδεκα ἐπελέξαντο συνέδρους εἶν&alpha