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ARA DI DOMIZIO ENOBARBO
La cosiddetta Ara di Domizio Enobarbo, databile intorno al 116 a.C., è
un'opera della scultura romana tardo repubblicana conservata in
quattro lastre conservate in parte al Louvre di Parigi e in parte alla
Gliptoteca di Monaco.
Le lastre a bassorilievo provengono dal tempio di Marte (o di Nettuno)
situato sotto la chiesa di San Salvatore in Campo presso il Circo
Flaminio, e componevano una base per statue.
L'ara è uno dei migliori esempi di arte eclettica romana dopo la
conquista della Grecia e la massiccia influenza dell'ellenismo nel
mondo dell'arte e della cultura romana.
La base ha pilastrini agli angoli e su tre lati ha un thiasos (corteo che
celebra il culto di un dio) che partecipa alle nozze tra Nettuno e
Anfitrite, seduti su un carro trainato da tritoni ed accompagnati da
pistrici, tritoni e nereidi (a Monaco). Questa raffigurazione rientra
nella tradizione ellenistica e neoattica. I volti, la muscolatura
studiata, i panneggi curati, il movimento disinvolto e le posizioni
scelte riecheggiano famose opere d'arte ellenistiche.
Il quarto lato (conservato a Parigi) è invece diverso per stile e per
soggetto, con la celebrazione, attraverso precise allusioni, di un
intero lustrum censorio, cioè della cerimonia con la quale i censori,
alla fine della loro carica quinquennale, celebravano un sacrificio
espiatorio per tutta la popolazione. Questa raffigurazione ricade, a
differenza del thiasos, nella concezione narrativa e didascalica dei
romani, che comunque non era una narrazione “veristica”, ma
verosimile e con intenti di raffigurare simbolicamente un
avvenimento.
La differenza di stile era anche causata dai diversi modelli ai quali si
ispiravano gli artefici: per il thiasos esisteva la secolare tradizione
ellenistica, mentre per il lustrum si trattava probabilmente di una
delle prime raffigurazioni ufficiali di questo tema, almeno su
bassorilievo. Nonostante le notevoli differenze però è verosimile che
gli autori delle due scene siano i medesimi, come dimostra il
confronto dei dettagli e della tecnica scultorea.
Nella scena del lustrum del Louvre sono rappresentate numerose
figure ed è descritta con dovizia di dettagli tutta la cerimonia.
Il punto focale è sull'ara al centro e in particolar modo sulla figura
togata a destra, dove convergono alcune linee di forza come la
diagonale degli animali in fila per il sacrificio. Si tratta del censore
sacrificante, assistito da tre camilli (due dietro l'altare e uno alle
spalle). Dall'altro lato dell'altare si trova la figura in armatura del dio
Marte, la divinità onorata dal sacrificio e il protettore del Campo
Marzio. Alle spalle del dio si trovano due suonatori.
A destra dell'ara quattro vittimarii (addetti al sacridicio che avevano il
compito di condurre la vittima all’ara e ucciderla) accompagnano gli
animali sacrificali, che si trovano in un ordine insolito (bue, pecora e
scrofa invece di scrofa, pecora e bove), forse per un motivo
prettamente artistico di convergere l'attenzione dell'osservatore
verso il centro tramite la linea ascendente del corteo. Il toro è di
dimensioni particolarmente grandi, un espediente espressivo per far
risaltare l'entità del sacrificio e quindi la solennità dell'avvenimento,
secondo un procedimento ben lontano dall'organicità e il naturalismo
della visione artistica greca.
Dietro la pecora si trova un personaggio col capo velato e con un
vessillo, l'accensus, che secondo le fonti apriva la processione della
lustratio censoria. Infine all'estrema destra compaiono tre soldati
(uno con cavallo), mentre altri due si trovano a sinistra dei suonatori:
si tratta di una precisa allusione al popolo in armi e forse addirittura
raffigura le cinque classes del censo dell'esercito romano.
All'estrema sinistra si trovano due figure sedute che rappresentano
scribi. La prima figura, uno iurator, registra sulle tabulae censorie la
dichiarazione di un cittadino che ha in mano un dittico, forse
contenente le prove della veridicità della sua dichiarazione; il
secondo si rivolge a un togato in piedi e gli posa una mano sul
braccio che indica il vicino soldato, che guarda l'accaduto: si tratta
dell'attribuzione alla classe, alla tribù e al compito militare di un
cittadino, mentre la scena più a destra è la dichiarazione che il
cittadino è idoneo alle armi.
La scena quindi racchiude vari momenti diversi (dalle dichiarazioni
agli scribi, all'apparizione del porta- vessillo, alla cerimonia vera e
propria), trattati come fuori dal tempo e ben significativi di ogni
singolo atto saliente del lustrum. I personaggi hanno pose studiate, in
maniera da essere identificabili inequivocabilmente e il loro
accostamento è paratattico, cioè realizzato con la semplice
collocazione schematica di figure per lo più frontali una accanto
all'altra.
RITRATTISTICA (ETA’ REPUBBLICANA)
Il ritratto è la resa raffigurativa di un soggetto, maggiormente in
ambito scultoreo. In Grecia e fino al Classicismo c’è ancora
un’idealizzazione della figura, mentre dall’Ellenismo in poi questa
verrà un po’ meno. A Roma il ritratto diventa una questione di
famiglia, il romano ha ben presente il concetto di ius imaginum. Ce lo
raccontano le fonti, come Polibio, e le evidenze. Il cittadino ci tiene ad
essere riconoscibile nei propri tratti, soprattutto nella fase
Repubblicana.
Ci sono essenzialmente tre fasi della ritrattistica:
• transizione (passaggio dall’idealizzazione al verismo);
• verismo (rappresentazione realistica e fisionomica dei soggetti);
• mista (alternanza di tratti ideali e reali).
Il Togato Barberini è un esempio di ritratto verista. Si tratta di un
gruppo scultoreo dove vi è la figura di un uomo togato che ha in
mano i ritratti dei propri antenati. L'immagine è un modo di
autorappresentarsi, e i personaggi presentano tratti di verismo. Qui è
palese il concetto di ius imaginum, ovvero il diritto del patrizio
romano di tenere in casa ritratti dei propri antenati.
Altro esempio di ritratto verista è la Testa 535, una rappresentazione
realistica. La testa non è stata identificata e i tratti di verismo sono
indiscutibili, l’uomo rappresentato era realmente così.
• ETA’ IMPERIALE (31/27 A.C. – 476 D.C.)
Con Età Imperiale si intende il periodo della storia di Roma che va dal
31 o dal 27 a.C. al 476 d.C., anno della caduta dell'Impero Romano
d'Occidente. Questa fase della storia di Roma vide la cessione del
potere da parte del Senato a un singolo cittadino eminente:
l'Imperatore. Il periodo imperiale fu caratterizzato fino al II secolo
d.C. da una fase di prosperità e splendore, dovuto alle nuove
conquiste e all'affermarsi di Roma come prima città del mondo allora
conosciuto e da una profonda crisi a partire dal III secolo d.C.
Ottaviano Augusto, il primo imperatore di Roma, assunse su di sé
pieni poteri politici e militari e donò pace e stabilità a Roma dopo anni
di guerre civili. Da lui prese il via la dinastia Giulio-Claudia.
Successivamente ricordiamo anche Nerone, Tito, Vespasiano, Nerva,
Traiano, Adriano (collegabili ai principali monumenti che saranno
trattati di seguito).
• SCULTURA/PLASTICA
RITRATTISTICA (ETA’ IMPERIALE)
Il verismo viene perso verso la fase Imperiale. L'imperatore e la
famiglia regale hanno una gerarchia imperiale molto chiara e questo
potere massimo porta, di nuovo, ad un canone di idealizzazione della
figura. L’Imperatore tendeva ad essere divinizzato e dunque di
conseguenza idealizzato.
Augusto è il primo che si fa ritrarre idealizzato e abbiamo più
ritrattistiche riguardo a lui: sono state rinvenute infatti circa 250
opere in tutto l'Impero. In queste 250 copie possiamo delineare tre
tipologie di ritratti di Augusto:
• Augusto Ottaviano: L'Augusto giovane. Le fattezze sono per
l’appunto giovanili, con la capigliatura (tratto caratteristico)
marcata da tre ciocche al centro della fronte, che sono oblique;
• Augusto di Prima Porta: Una tipologia con una statua madre molte
volte riproposta in modo simile. In quest’iconografia Augusto
indossa una lorica con vari eventi e motivi allegorici, è
caratterizzato da una capigliatura con tre ciocche dritte sulla
fronte e una centrale al centro della testa. E’ rappresentato nel
momento della sua ascesa politica, più maturo quindi rispetto
all’Augusto giovane;
• Augusto di Via Labicana: E’ rappresentato con il capo velato e
coperto, indossa una veste da pontefice massimo, e ciò significa
che si trova all’apice del potere politico e religioso, dove
acquisisce una carica massima.
STATUA COLOSSALE DI COSTANTINO
Databile al 320 d.C., con Costantino si arriva alla fine dell’Impero
canonico e ci si avvia verso il Tardo Antico. La scultura, che doveva
raggiungere i 12 metri d’altezza, è in realtà un Acrolito, una statua
colossale che ha in marmo solo le parti anatomiche in vista (testa, ani
e piedi) con il resto delle parti costituite da un’intelaiatura in legno,
coperta da vesti (la scelta dell’intelaiatura diversa da alcune parti
anatomiche in marmo è dovuta principalmente ad un motivo di
risparmio economico). Cambia inoltre la resa della figura: la
testa è fortemente stilizzata e gli occhi eterei guardano nel vuoto
(contatto diretto con la divinità,
rappresentazione dell’astrazione). Si è nel complesso molto lontani dalle
rappresentazioni precedenti.
• ARCHITETTURA
FORO ARCAICO E FORI IMPERIALI
Il Foro Romano è la piazza principale della città, così come l’agorà in
Grecia. Nel Foro venivano eseguite attività con funzioni pubbliche:
amministrazione, giustizia, economia, religione (a Roma la religione
ha scopo anche politico, non esiste luogo pubblico romano senza
l'aspetto sacro).
Il Foro non è unico, con l'avanzare dei secoli lo spazio del Foro
Romano si espande sempre di più. Dopo la prima piazza (primo Foro
Repubblicano) alcuni Imperatori fanno costruire altre piazze forensi
(prima con Giulio Cesare, poi Traiano, Nerva, ecc.) che si accorpano
alle precedenti, andando così a creare una sezione di Roma
strutturata spazialmente in maniera sempre più complessa con
l’avanzamento cronologico.
• Il Foro, anche quello Repubblicano, ha sempre un nucleo centrale
costituito dalla piazza. Quasi sempre questa è circondata da un
porticato coperto, e intorno al centro si distribuiscono altri edifici,
qual