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La formazione delle élite locali nell'Impero Ottomano

Uno dei primi compiti da affrontare era garantirsi la fedeltà di élite locali estremamente eterogenee sotto il profilo etnico e religioso. I "signori della frontiera", a capo di formazioni di soldati ottomani irregolari, e l'élite locale cristiana vennero gradualmente trasformati in detentori di timar, unità di territorio concessa dal sultano dietro obbligo di servizio nell'esercito: il "timariota", che non poteva trasmettere ai familiari la propria rendita, si affidava al corpo dei siphai (cavalieri imperiali) per la raccolta delle imposte e di altri servizi locali nel proprio territorio. Esisteva anche un altro modo per accedere alla burocrazia militare e civile: sia i membri di specifici corpi militari, sia futuri dignitari a corte, venivano spesso reclutati tramite la pratica del devşirme, la "raccolta dei bambini". Famiglie cristiane dei Balcani o dell'Anatolia dovevano mettere a disposizione un certo numero.

di fanciulli che dopo la conversione all'islam e un periodo trascorso presso famiglie contadine musulmane, accedevano per la maggior parte al corpo di fanteria dei giannizzeri, una milizia scelta posta alle dipendenze dirette del sultano i cui salari costituivano la più alta voce di spesa del bilancio statale. Alla morte di Maometto II la politica estera ottomana raddoppiò l'orizzonte dei suoi obiettivi. 2. Selim e Solimano: tra Europa e Africa Il sultano Bayezid II (1481-1512) e il suo omologo mamelucco che governava sull'Egitto e la Siria entrarono in guerra nel 1485. Il conflitto scaturiva da vecchie contese territoriali nell'Anatolia centrale e dall'aggressiva politica commerciale ottomana nel Mar Nero. Esclusi dai traffici lungo la via della seta, i mamelucchi subirono un ulteriore calo di entrate fiscali a causa del blocco dei carichi di spezie intercettati dalle navi portoghesi sulle coste indiane. L'instabilità economica deltutti i musulmani sunniti assieme al ruolo di difensori della vera fede islamica contro l'eresia sciita. L'idea di fondere l'azione politica nei precetti religiosi scandì gli ambiziosi progetti del figlio di Selim, Solimano I (il Magnifico o il Legislatore), salito al trono nel 1520, dopo che il padre aveva provveduto a far uccidere gli altri suoi figli maschi per evitare contese di successione. Reso sicuro il confine persiano grazie a un accordo segreto con lo shah, Solimano poté dedicarsi a un conflitto a oltranza contro i nemici più naturali di ogni seguace dell'islam. Per la guerra che Solimano si accingeva a condurre, l'obiettivo più a portata di mano erano le coste dell'Africa settentrionale, una lunga catena di cittadine portuali indipendenti che si susseguivano senza un baricentro politico fisso. Sul fronte occidentale invece, individuò nelle isole dell'Egeo lo scopo della sua missione in quanto.

«imperatore dell’Oriente e dell’Occidente». Nel 1517, l’anno della sconfitta mamelucca, era andata in frantumi una «politica di equilibrio» congegnata da mezzo secolo fra potenze europee e il sultano dell’Egitto in funzione anti-ottomana. La rottura di questo schema avvicinò 2 spinte imperialistiche, quella di Solimano e della Spagna di Carlo d’Asburgo, che perseguiavano gli stessi scopi di predominio nel Mediterraneo. Il contrasto tra i 2 Imperi ottomano e asburgico, che aveva preso avvio dallo sbriciolarsi dei capisaldi spagnoli sulle coste africane, ebbe un andamento ondivago, alternando episodi bellici di rilievo a una striscia incessante di scontri minori, incursioni corsare, e saccheggi. L’alleanza stretta da Solimano con i corsari berberi, suggellata dalla nomina di un loro comandante, (Khareddin detto Barbarossa) ad ammiraglio della flotta, si rivelò un avversario imprendibile per Carlo. La battaglia di Algeri nel 1541,

un 14duello sul mare con l'impero islamico si era chiuso con una sconfitta, un fallimento delle flotte cristiane nel Mediterraneo. Nel 1541, giannizzeri e siphai sbaragliando l'esercito di Ferdinando I, fratello di Carlo. Non riconoscendo la validità dell'elezione di Carlo, egli aveva guidato di persona l'esercito alla conquista di Belgrado nel 1522 e sconfitto poi il re d'Ungheria e Boemia Luigi II Jagellone. La fine del regno ungherese apriva la strada verso la proclamazione imperiale di Solimano. L'assedio di Vienna nel 1529, fallito per le contemporanee ostilità con l'Impero safavide, era stato solo una battuta d'arresto nella corsa a Occidente che Solimano proseguì. Ferdinando I, succeduto al trono ungherese ma privo dei sussidi finanziari richiesti ai principi protestanti, ottenne di mantenere una sottile lingua di terra nella parte nordoccidentale del regno. Nel trattato di pace di Edirne, sottoscritto nel 1547 fra

Solimano e gli ambasciatori asburgici, il grosso del territorio jagellone fuspartito nel principato autonomo di Transilvania (affidato a protetti ottomani) e nell'Ungheria centrale, amministrata direttamente da governatori di nomina sultaniale; per di più Ferdinando si obbligava aversare una somma annuale di 30.000 fiorini d'oro, come un sovrano tributario degli ottomani.

Sotto gli occhi dell'Occidente

Nel 1541 l'impero raggiunse il limite della sua avanzata. In ottant'anni era caduto in mano ottomana unarco di territori esteso senza interruzioni dalle pianure danubiane fino al Marocco. Lo spazio marittimo, altrettanto ampio, comprendeva il bacino orientale del Mediterraneo e quello sud-occidentale o, tutto il Mar Nero, quasi tutto il Mar Rosso e l'estremità sud-occidentale del Golfo Persico.

L'anomalia principale rispetto ai governi europei era l'assenza di un'aristocrazia fondiaria che fungesse da organo di consiglio.

del sovrano e potesse limitarne giuridicamente le decisioni. In Occidente le leggi erano considerate un patrimonio ereditato dal passato che i governanti non potevano mutare se non attraverso faticose mediazioni con i corpi sociali. La concezione giuridica ottomana, un misto di prestiti bizantini e persiani, era opposta: il sultano, la chiave di volta dell'edificio politico, emanava le leggi come un dono ai propri sudditi, senza subire alcuna forma di negoziazione. Di conseguenza, il divan, il consiglio del sultano, non assomigliava ad alcun organo consiliare europeo e tanto meno a un'assemblea rappresentativa formata dai ceti sociali: a cominciare dal gran visir, il plenipotenziario del sovrano, tutti i suoi membri erano dignitari, governatori provinciali, responsabili della fiscalità, che potevano essere deposti in qualsiasi momento. Dopo le reggenze di Selim e Solimano, le più alte cariche militari o civili erano una riserva dei musulmani o dei

«rinnegati» da altre fedi. Da un lato così poiché l’impero aveva una missione religiosa, i servitori del governo dovevano essere musulmani per forza di cose ma dall’altro, l’esistenza di una forte maggioranza cristiana nelle regioni a Sud del Danubio imponeva non solo di accettare la sua diversità di fede, ma anche di attirarla il più possibile nei gangli di governo. Pratiche come il devşirme, o i larghi privilegi commerciali concessi alle comunità greche, ebree e armene, erano semplici condizioni di sopravvivenza politica per l’impero. Nonostante la venerazione sacrale riservata al sultano, all’atto pratico il suo potere venne plasmato dalle trasformazioni geografiche e istituzionali dell’impero. Per il governo centrale fu ad esempio tutt’altro che semplice governare nel modo usuale le lontane province africane, e ciò lasciò ampio spazio di manovra alle figure di militari o signori locali.

Fino alla morte di Solimano nel 1566 l'impero non perdette la struttura di dominio patrimoniale e dinastico ereditata da Maometto II: attorno alla corte di Costantinopoli gravitava un network di comunità territoriali e religiose governate da un'élite ottomanizzata, che fruiva di forti autonomie provinciali restando però dipendente per la sua legittimità dalla capitale. 154. Guerre piccole e guerre lunghe I contrasti con gli Asburgo, interrotti dalla pace di Edirne, non erano mai del tutto spariti. La divisione del ramo spagnolo e austriaco dopo l'abdicazione di Carlo V assegnò ai successori di Ferdinando un compito di difensori della cristianità che divenne presto un carattere identitario della loro azione. Trattati a sfondo etnografico, orazioni di predicatori, libelli scritti dai confessori di corte, sostituirono i "turchi" ai protestanti nel ruolo di nemici secolari degli Asburgo. Quest'opera

Capillare di propaganda cattolica, che la dinastia utilizzò come potente aggregatore di fedeltà politica, fece ripiombare le terre ereditarie nell'atmosfera delle guerre di religione.

L'ossessione della minaccia turca alimentò un secolo e mezzo di "piccole guerre", saccheggi, incursioni, sconfinamenti reciproci, e due "lunghe guerre" (1593-1606; 1683-1699), con conseguenze devastanti per le popolazioni abitanti e per le finanze dei 2 imperi.

Gli Asburgo investirono risorse ingenti per frenare la minaccia ottomana, in primo luogo nella costruzione di una cintura di fortezze moderne a difesa dell'Ungheria.

Per questo genere di sfida, gli eserciti del sultano erano impreparati: la macchina bellica turca era impostata per allargare sempre più i propri confini, non per difendersi da aggressioni nemiche; inoltre, la scarsità di risorse finanziarie rallentava l'introduzione dei ritrovati militari occidentali.

(moschetto e baionetta a innesto; artiglieria leggera) indispensabili ad affrontare grandi battaglie in campo aperto. Quando alla fine della prima "lunga guerra" (1606) Osman II fu costretto a riconoscere la legittimità del titolo imperiale agli Asburgo, le riforme introdotte negli ambiti militari e
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A.A. 2022-2023
24 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/02 Storia moderna

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher chivraaa di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di STORIA MODERNA e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Palermo o del prof Foti Rita.