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Questa nuova concezione spaziale, che si afferma in tutta l’architettura fiorentina della seconda metà del Duecento e del
Trecento, è chiaramente enunciata nella chiesa domenicana di S. Maria Novella, iniziata nel 1278 e attribuita a fra Sisto e fra
Ristoro, dell’ordine di S. Domenico.
Nell’interno di S. Maria Novella lo spazio non ha limiti costruttivi né atmosferica densità di massa per la vastità e l’altezza
delle navate, per l’ininterrotta verticalità dei sostegni, per l’ampiezza dei valichi, per la gittata delle nervature delle volte; a
sviluppare in profondità l’altezza, le arcate si restringono verso il transetto quasi ad allontanare il gran vuoto del presbiterio,
dalla cui cava penombra emergono improvvisamente, come apparizioni luminose, le tre alte finestre. Ogni elemento formale,
di linea o di superficie, è portato al suo valore limite; non è l’edificio che si inscrive nello spazio e segna il punto di
equivalenza o di complementarità tra finito e infinito, ma è lo spazio, tutto lo spazio, che si inscrive nell’edificio; ed ogni
elemento struttivo, proiettato al di là dello spazio, si riduce necessariamente all’immateriale sottigliezza della linea,
all’imponderabile tracciato di una traiettoria. Superiori a ogni misura spaziale, gli immensi valichi includono la completa
visibilità delle navate di volte ogivali; la più tesa gittata delle nervature nelle campate rettangolari compensa la loro minor
larghezza, abbrevia senza attenuarla la rappresentazione dello spazio perché possa risolversi nell’orizzonte degli archi
maggiori. I pilastri incidono prospetticamente nel vuoto delle campate delle navate laterali e, come assi di rotazione,
trasmettono alla volta la più tesa e serrata nervatura delle volte minori; l’accentuazione coloristica degli archi e dei costoloni
ne precisa, senza materialità di risalti e di membrature, il valore puramente grafico, l’immateriale sostanza lineare.
Santa Croce
Insufficienti e talora contraddittori, i documenti che si riferiscono all’attività architettonica di Arnolfo di Cambio non
costituiscono una base sufficiente per attribuirgli la grande chiesa francescana di S. Croce, iniziata nel 1295; del resto la
stessa contemporaneità della costruzione della chiesa di Santa Croce e del Duomo fiorentino, spiegando le molteplici ed
evidenti analogie formali, rende anche più arduo ogni tentativo di conciliare le due diverse qualità di sentimento che si
esprimono nei due edifici. In particolare è da notarsi che, se la struttura figurativa di Santa Croce si giustifica pienamente in
rapporto ai precedenti dell’architettura fiorentina del Duecento, in S. Maria del Fiore si avverte una nuova esperienza
formale che, come vedremo, non può spiegarsi che con l’educazione essenzialmente scultoria di Arnolfo.
Giustamente il Toesca ravvisa in S. Croce una traccia dell’unitaria concezione spaziale attuata nelle grandi chiese toscane a
una sola navata, come il S. Francesco e il S. Domenico di Siena: riconducono a quel più semplice schema la copertura a tetto,
l’ampiezza illimitata degli spazi, il calcolato arresto di ogni slancio di membrature, l’allentata tensione delle linee, il risolversi
delle masse in superfici così nella navata che nel transetto. Benché, come in S. Maria Novella, le arcate includano nel loro
definitivo valore d’orizzonte gli spazi delle navate minori, i loro valichi più acuti e i loro contorni più accentuati bastano a
riassumere quegli spazi e a inscriverli nel piano prospettico della navata maggiore; ai pilastri non rimane più altra funzione
che quella di sviluppare in altezza, lungo i pausati e appiattiti risalti che solcano la superficie, la profondità spaziale delle
navate laterali, collegandole pittoricamente alla più densa penombra del testo. Tra linea e colore non corre più un astratto
rapporto di equivalenza in valore assoluto, ma la linea assorbe il colore, lo implica nella sua qualità grafica, ne definisce la
densità, l’intensità, la materia. I valori spaziali delle navate sono infatti puntualmente ripresi in frontalità nel piano del
transetto e svolti con conclusiva intensità pittorica: le grandi finestre aperte direttamente sul piano e quelle che con più vivo
contrasto sì aprono nella scura profondità delle cappelle richiamano con assoluta intensità pittorica, in un unico piano, i due
valori pittorici — di profondità atmosferica riassunta nel contorno degli archi, e di pura superficie cromatica — che
compongono i piani prospettici della navata; il gran vuoto del coro coordina all'infinito i due valori, riprende negli altissimi
finestroni i ritmi di verticalità della navata suggellandone la funzione cromatica nell’assoluto, lineare contrasto di luce e di
ombra.
Santa Maria del Fiore
La cattedrale metropolitana di Santa Maria del Fiore, conosciuta comunemente come duomo di Firenze, è la principale
chiesa fiorentina, simbolo della città ed uno dei più famosi d'Italia. Essa sorge sulle fondazioni dell'antica cattedrale di
Firenze, la chiesa di Santa Reparata, in un punto della città che ha ospitato edifici di culto sin dall'epoca romana.
La costruzione del Duomo, ordinata dalla Signoria fiorentina, inizia nel 1296 e termina dal punto di vista strutturale soltanto
nel 1436. I lavori iniziali furono affidati all'architetto Arnolfo di Cambio per poi essere interrotti e ripresi numerose volte nel
corso dei decenni. La pianta del Duomo è composta da un corpo di basilica a tre navate saldato ad un'enorme rotonda
triconca che sorregge l'immensa cupola del Brunelleschi, la più grande cupola in muratura mai costruita. Al suo interno è
visibile la più grande superficie mai decorata ad affresco: 3600 m². Alla base della lanterna in marmo, è presente una terrazza
panoramica sulla città posta a 91 metri da terra. La facciata del Duomo in marmi policromi è di epoca moderna, risale infatti
al 1887 ed è un importante esempio di stile neogotico in Italia.
Santa Maria del Fiore colpisce per le dimensioni monumentali e per il suo apparire come monumento unitario, soprattutto
all'esterno, grazie all'uso degli stessi materiali: marmo bianco di Carrara, verde di Prato, rosso di Maremma e il cotto delle
tegole. A un'analisi più accurata ciascuna delle parti rivela notevoli diversità stilistiche, dovute al lunghissimo arco di
esecuzione temporale, dalla fondazione al completamento ottocentesco.
La facciata della cattedrale era rimasta incompiuta, essendo presente solo la parziale costruzione decorativa risalente ad
Arnolfo di Cambio. Già nel 1491 Lorenzo il Magnifico aveva promosso un concorso per il completamento, ma non fu trovata
attuazione. Nel 1587, sotto Francesco I de' Medici, la parte decorativa esistente venne distrutta su proposta di Bernardo
Buontalenti, che avanzò un suo progetto più "moderno", tuttavia mai realizzato. Nei secoli successivi la cattedrale venne
dotata di facciate effimere in occasione di importanti celebrazioni, e fu solo nel 1871 che, dopo un concorso internazionale,
vivaci discussioni e aspri dibattiti, si iniziò a costruire una facciata vera e propria, su progetto di Emilio De Fabris che alla sua
morte fu continuato da Luigi del Moro fino alla conclusione dei lavori nel 1887.
La zona absidale della cattedrale è composta dalla cupola a pianta ottagonale e dalle tre absidi. Le tre absidi, o tribune, sono
disposte lungo i punti cardinali, prismatiche dotate di semicupole con suggestivi contrafforti a forma di archi rampanti
impostati sulle pareti divisorie delle tribune stesse. Le eleganti finestre dei lati sud ed est sono attribuite a Lorenzo Ghiberti.
Più in alto, in corrispondenza delle sagrestie e delle scale di accesso alla cupola, si trovano le "tribune morte", a pianta
semicircolare, disegnate dal Brunelleschi. Sopra di esse corre un ballatoio continuo su beccatelli con parapetto traforato a
quadrilobi. Doccioni a forma di teste zoomorfe sporgono sotto di esso.
La cattedrale è costruita sul modello della basilica, ma non è provvista delle tradizionali absidi assiali, bensì le navate si
innestano all'estremità orientale in una rotonda triconca, con un effetto in pianta simile ad un trifoglio. Il corpo basilicale è a
tre navate, divise da grandi pilastri compositi, dalle cui basi si dipanano le membrature architettoniche che culminano nelle
volte ogivali. Le dimensioni sono enormi: 153 metri di lunghezza per una larghezza di 38 metri.
L'interno, piuttosto semplice ed austero, dà una forte impressione di vuoto aereo. Le immense campate fiorentine (appena
tre metri più basse delle volte più alte del gotico francese) dovevano coprire un immenso spazio con pochissimi sostegni. La
navata era, quindi, pensata come una sala in cui i vuoti prevalevano sulle pur ragguardevoli strutture architettoniche. Il ritmo
dei sostegni era decisamente diverso dalla "foresta di pietra" tipica del gotico d'oltralpe, o di chiese fedeli a quel modello,
come il Duomo di Milano. Non vi sono precedenti per dimensioni e struttura che possano essere citati come antefatti di
questo progetto.
San Fortunato a Todi
Le notizie sulla costruzione di tale chiesa risultano antecedenti al 1198, anno in cui Innocenzo III consacrò un altare a san
Cassiano nell'interno di tale chiesa, pertanto la chiesa risulta essere paleocristiana, come testimoniano i leoni sul portale
d'ingresso, due oggetti chiamati pulvini trasformati in acquasantiere. Nel giugno del 1292 la chiesa venne trasformata in stile
gotico, lavori alacri interrotti solamente durante la peste del 1348 per essere ripresi dopo la riforma comunale del 1405 che
imponeva una tassa del 2% di tutti gli ingressi e transiti viari interni alla città allo scopo di finanziare di nuovo ulteriori
interventi sulla ristrutturazione e ricostruzione della chiesa di San Fortunato. Comunque, soltanto nella prima metà del '400
fu terminata solo la parte inferiore della facciata.
L'interno è a tre navate di uguale altezza, secondo la tipologia dell'Hallenkirche, ciascuna con un ingresso dalla facciata e
portoni abbelliti da bassorilievi istoriati raffiguranti santi, profeti biblici e ornamenti floristici.
Architettura del Rinascimento
Il termine rinascimento farebbe pensare a qualcosa che torna dopo molti secoli di oscurantismo e rinunce, in questo senso è stato
studiato il rinascimento da molti storici, come se si trattasse di riprendere contatto con il pensiero e la poesia classica dopo secoli di
barbarie, quando l’uomo, negandosi i piaceri della terra, viveva attendendo il cosiddetto regno di Dio. Si torna all’antichità greca e
romana, si riconquista il mondo delle umane litere (da cui deriva il termine umanesimo, relativo al 400) con uno spirito più