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LA LEGGE DI DELEGAZIONE EUROPEA E LA LEGGE EUROPEA.
Riconosciuta la prevalenza del diritto comunitario su quello interno, al fine di adeguare il nostro
ordinamento a quello sovranazionale ed evitare ipotesi di responsabilità a carico dello Stato si è reso
necessario individuare gli strumenti per assicurare l'attuazione del diritto europeo. A tal fine,
era stata inizialmente introdotta con la legge n. 86/1989 (Legge La Pergola), più volte emendata
negli anni a seguire, la legge comunitaria annuale, a cui veniva attribuito il compito di adattare
l'ordinamento interno alla produzione normativa comunitaria attraverso norme legislative - pure
attraverso l'adozione di decreti legislativi da parte del Governo su delega delle Camere - di
attuazione e applicazione delle norme comunitarie modificative o/e abrogative di disposizioni
normative interne all'ordinamento nazionale. A seguito della modifica del Titolo V Cost, e
dell'attribuzione alle Regioni ordinarie (e quindi anche a quelle Speciali) del potere di dare
applicazione e attuazione diretta agli atti dell'UE (art. 117, comma V, dopo la riforma), analoga
potestà è stata conferita con la legge n. 11/2005 (Legge Buttiglione), nelle materie di loro
competenza, alle Regioni ordinarie, oltre che alle Regioni speciali e alle Province autonome di
Trento e Bolzano, nei cui confronti il primo riconoscimento normativo di un ruolo nell'attuazione
delle direttive comunitarie sulle materie di competenza esclusiva era, peraltro, già avvenuta con
la legge n. 183/1987 (Legge Fabbri). Da ultimo, l'intera materia è stata regolata con la legge n.
234/2012, che ha distinto tra la legge di delegazione europea e la legge europea. La prima, con
cadenza annuale, contiene la delega o l'autorizzazione al Governo per l'adeguamento con decreti
legislativi o con regolamenti alle direttive europee non attuate; e può anche dettare i principi
fondamentali nelle materie che sono di competenza concorrente delle Regioni. Peraltro, in caso di
inerzia delle Regioni (e delle Province autonome), lo Stato può adottare esso stesso tutte le
disposizioni necessarie all'adeguamento al diritto europeo, sentita la Conferenza Stato-Regioni, con
una disciplina, tuttavia, recessiva, rispetto a quella regionale, destinata, cioè, ad essere sostituita da
quest'ultima, se e quando interverrà. Ciò in quanto è lo Stato, che, come titolare della soggettività di
diritto internazionale, risponderebbe (anche) delle eventuali inadempienze dinanzi all'UE, sicché
esso mantiene un potere sostitutivo nei confronti delle Regioni inadempienti e anche il diritto di
rivalsa verso queste ultime per l'ipotesi di violazione da parte di esse del diritto europeo e la
conseguente apertura da parte dell'UE di una procedura d'infrazione contro la Stato italiano. La
legge europea, anch'essa annuale, apporta invece direttamente all'ordinamento interno le modifiche
necessarie per adeguarlo a quello europeo, modificando o abrogando le disposizioni statali ancora
vigenti in contrasto con obblighi europei. Essa, inoltre, contiene le disposizioni modificative o
abrogative di disposizioni statali oggetto di procedure di infrazione (avviate dalla Commissione Ue
o sancite dalla Corte di Giustizia), nonché tutte le altre disposizioni volte a dare attuazione diretta a
obblighi eurounitari.
36. LE FONTI DI AUTONOMIA
"Come è noto, taluni soggetti pubblici sono rivestiti della qualità di Enti autonomi, volendo con
tale termine esprimere la condizione di separatezza che li pone in rapporto con lo Stato. A questi
Enti, individuati con puntualità dal testo della Costituzione (art. 114 Cost.) nelle Regioni e negli
enti territoriali minori viene attribuita una potestà normativa con la quale si esprime la loro
capacità di dar vita ad un vero e proprio indirizzo politico-amministrativo". Gli artt. 114, 116, 117 e
123 Cost. e l'art. 33, ult. comma, individuano, rispettivamente, nelle Regioni, Province e Comuni e
nelle Università, Accademie e Istituzioni di alta cultura i soggetti pubblici in grado di porre
norme giuridiche, concorrenti, con quelle prodotte dagli apparati dello Stato, a determinare
l'ordinamento giuridico complessivo.
37. GLI STATUTI REGIONALI
Analizzando le fonti di autonomia occorre in primo luogo esaminare le fonti regionali e, tra esse,
anzitutto gli Statuti. A tal riguardo, la prima osservazione concerne la distinzione che sussiste tra
gli Statuti delle Regioni ad autonomia speciale e quelli delle Regioni ad autonomia ordinaria,
al fine di sottolinearne la diversa forza, come fonti del diritto, essendo i primi adottati con legge
costituzionale (art. 116 Cost.) e i secondi con legge regionale (art. 123 Cost.). La motivazione
principale di tale differenza risiede nella circostanza che le Regioni ordinarie sono così definite
perché le loro modalità organizzative e di funzionamento sono delineate in generale secondo un
modello uniforme di regionalismo racchiuso nel Titolo V della Costituzione, che le norme degli
Statuti si limitano sul punto ad attuare ed integrare. Per ciò che concerne le Regioni speciali, invece,
l'art. 116 della Costituzione ha previsto forme e condizioni particolari di autonomia, in ragione di
peculiari condizioni storiche, geografiche, economiche e/o-sociali, per rispondere alle quali è stato
necessario delineare per ciascuna di esse (nei rispettivi Statuti) profili di organizzazione e di
funzionamento differenti e derogatori rispetto all'assetto regionale descritto in generale per tutte le
altre Regioni. Pertanto, per definire tali condizioni particolari dell'autonomia speciale era necessaria
la legge costituzionale, che sola può derogare alla Costituzione. A parte questa distinzione, non
priva di rilevanti conseguenze dal punto di vista della sistematica delle fonti, possono, tuttavia, in
avvio formularsi talune considerazioni generali dalle quali muovere l'analisi degli Statuti regionali.
Infatti, lo Statuto di un ente pubblico può essere definito come la «tavola» degli scopi dell'ente e
dei mezzi necessari per realizzarli, oltre che come l'insieme delle norme fondamentali di
organizzazione di esso; cosicché anche lo Statuto delle Regioni risponde a questo carattere. Era,
pertanto, logico pensare che un soggetto del rilievo della Regione avesse bisogno di un atto
normativo di questo tipo. E a tale esigenza l'Assemblea costituente ha dato risposta con la
formulazione, rispettivamente, dell'art. 116 per le Regioni speciali e dell'art. 123 per quelle
ordinarie. Invero, ragionando dello Statuto come espressione di una potestà normativa attribuita in
proprio alla Regione la conclusione cui bisognerebbe pervenire è che le Regioni speciali verrebbero
limitate nella loro autonomia statutaria per effetto della necessità di ricorrere, per poterli modificare,
alla procedura prevista per la revisione di tale tipo di leggi (il procedimento aggravato ex art. 138
Cost.), che non è nella disponibilità delle Regioni, bensì dello Stato. Ciò potrebbe apparire a prima
vista in contraddizione rispetto all'ampio margine di autonomia che la Costituzione aveva voluto
attribuire a tali enti cui vanno riconosciuti, appunto, forme e condizioni particolari di autonomia,
secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale. Tale incoerenza è, però,
soltanto apparente se si considera che il più elevato livello di decentramento riconosciuto (almeno
nella formulazione costituzionale originaria) alle Regioni ad autonomia differenziata dipendeva
in buona parte dall'attribuzione (inizialmente soltanto ad esse) di una competenza legislativa
esclusiva su materie individuate nello stesso Statuto. Invero, se le Regioni speciali avessero potuto,
con propri atti normativi, modificare unilateralmente le proprie competenze legislative,
estendendole ulteriormente, ciò avrebbe potuto al limite condurre a porre in discussione persino il
mantenimento del principio inderogabile di unità e indivisibilità della Repubblica, sancito, insieme
a quelli dell'autonomia e del decentramento, nell'art. 5 Cost. Tale motivazione, pertanto, si aggiunge
all'altra, circa l'idoneità derogatoria delle disposizioni del Testo fondamentale da parte degli Statuti
speciali, i quali, nell'attribuire elevati livelli di autonomia alle Regioni ad autonomia differenziata,
sottraggono contestualmente alle medesime la possibilità di deliberarne esse stesse e direttamente le
modifiche, in particolare per ciò che concerne le rispettive competenze, rimettendole a leggi di
rango costituzionale. La conclusione appare confermata dalla circostanza che sin dall'inizio tutti gli
Statuti speciali (eccezion fatta per quello siciliano) hanno previsto che le norme relative alla
finanza regionale (cioè norme che richiedono un continuo ed agevole adeguamento alle mutevoli
esigenze delle Regioni) si possano modificare attraverso una semplice legge ordinaria dello Stato,
alla cui formazione deve partecipare la Regione di volta in volta interessata, mentre alcuni Statuti
(Valle d'Aosta e Sardegna) prevedevano ulteriormente che la Regione potesse adottare una propria
disciplina in alcune materie regolate dallo Statuto (come in tema di iniziativa legislativa e di
referendum), che, pertanto, per tali profili risultava (già) in parte decostituzionalizzato. Tale
situazione si è in parte modificata a seguito dell'approvazione della legge cost. n. 2/2001 che ha
attribuito anche alle Regioni speciali la possibilità di modificare in autonomia le disposizioni dello
Statuto speciale sulla forma di governo (e sulla legge elettorale), attraverso apposite leggi statutarie,
adottate con un procedimento particolare, che richiama quello di formazione degli Statuti ordinari,
contemplando la maggioranza assoluta e la possibilità di ricorrere ad un referendum approvativo, se
richiesto da una frazione del corpo elettorale regionale o del Consiglio regionale. Le leggi statutarie
si considerano, pertanto, leggi rinforzate, sui cui il Governo può promuovere prima della
promulgazione la questione di legittimità costituzionale. La legge cost. 2/2001 prevede, inoltre, che
le future modifiche degli Statuti, approvate pur sempre con legge costituzionale, non siano, però,
sottoposte al referendum costituzionale. Sono considerati espressione di una vera e propria potestà
statutaria della Regione, per altri versi, gli Statuti ordinari delle Regioni di diritto comune,
approvati con legge regionale. Tale conclusione risulta rafforzata a seguito della riforma operata con
la legge cost. n. 1/1999, la quale raccogliendo le spinte provenienti da tutte le parti politiche verso
uno svolgimento più incisivo del principio costituzionale delle autonomie locali, è intervenuta a
modificare, tra le altre, la disposizione costituzionale