CAPITOLO II
Aristotele classifica gli oggetti dell’azione, distinguendoli in persone migliori o
peggiori, ed essere conseguentemente oggetto di lode ed esaltazione o di biasimo o
scherno. Questo contrappone così un livello alto (epica, tragedia) e basso (commedia)
dell’espressione poetica.
CAPITOLO III
Altra differenza che cita Aristotele, è il modo con cui i singoli oggetti sono
imitati (rappresentati): “il poeta può imitare in due modi diversi: in forma narrativa (in
cui può assumere personalità diverse), o in forma drammatica (allora sono gli attori i
quali rappresentano direttamente tutta ‘intera azione come se ne fosse i personaggi
viventi e operanti).” L’arte della sceneggiatura è proprio quella che lancia la sfida a
essere il più “mimetici” possibile attraverso s’uso delle immagini e delle azioni -> Non
dirlo, mostralo!
CAPITOLO IV
Le teorie sulla natura e origine della poesia sono 2 per Aristotele:
L’imitare è un istinto di natura comune a tutti gli uomini fin dalla fanciullezza;
1. 17
le sue prime conoscenze l’uomo le acquista per via di imitazione; e dei prodotti di
imitazione si dilettano tutti. Il piacere dato dall’imitazione è innanzitutto un piacere
intellettuale, legato al capire e all’apprendere; ma per lo spettatore della tragedia, il
piacere non era dato semplicemente dal riconoscimento di un mito noto, quanto dal
paragonare quella storia nota con la propria esperienza vissuta.
Essendo naturali in noi la tendenza a imitare, l’armonia e il ritmo, così è
2.
avvenuto che coloro i quali fin da principio avevano per queste cose una
disposizione naturale, procedendo con una serie di perfezionamenti, dettero origine
alla poesia. Parla quindi poi dell’evoluzione della poesia (e della tragedia), riproponendo le
tre differenze dei primi capitoli: i mezzi (metri), gli oggetti (azioni e personaggi) e i
modi (la forma drammatica da Omero in poi). L’evoluzione è concepita come uno
sviluppo naturale che va dal semplice al complesso, o meglio a ciò che è compiuto.
L’opera dei poeti non è quella di “creare” alcunché, ma di sviluppare potenzialità che si
rivelano e che erano già insite nel processo e nella natura della cosa stessa.
La tragedia è come un organismo vivo, tutta l’arte poetica diventa un viaggio alla
scoperta di leggi di natura già scritte, in cui le opere sono gli strumenti, le bussole, le
mappe. L’arte del racconto è un’arte laboratoriale in cui l’esperienza e la pratica
continua possono essere più importanti del talento puro.
CAPITOLO V
Focalizzato sulla commedia: imitazione di persone più volgari dell’ordinario; il ridicolo è
qualche cosa come di sbagliato e deforme, senza essere però cagione di dolore o danno.
Alcuni identificano questo “sbaglio” come l’equivalente comico dell’”errore tragico”, la
costante che forgia l’identità di ogni tragedia. Successivamente mette in paragone
tragedia ed epopea (epica), entrambe mimesi di soggetti eroici per mezzo della
parola, ma che hanno anche differenze.
A questo capitolo appartiene anche la celebre definizione di Aristotele che dice che la
tragedia cerca di tenersi entro un sol giro di sole o lo sorpassa di poco. Da questa
proposizione nacque, per opera dei critici italiani del Rinascimento, la famosa unità di
tempo, di azione e di luogo. In realtà la “legge sulle tre unità” di Aristotele non era
aristotelica, o meglio, le tre unità erano solo due.
CAPITOLO VI
Tragedia = mimesi di un’azione serie e compiuta in se stessa, con una certa estensione,
in un linguaggio abbellito (ritmo, armonia e canto), in forma drammatica e non narrativa;
suscita pietà e terrore e ha per effetto di sollevare e purificare l’animo da siffatte passioni.
Composizione musicale e linguaggio sono i mezzi della mimesi.
Tragedia -> mimesi di un’azione -> favola -> composizione di una serie di atti o
fatti. Sono quindi 6 gli elementi costitutivi della tragedia: favola (la più importante: la
tragedia infatti non è mimesi di uomini ma di azione e vita), caratteri, pensiero
(consiste nella capacità di esprimere sopra un dato argomento tutto ciò che gli è inerente
e che gli conviene) [elementi interni]; linguaggio (dizione), spettacolo (apparato
scenico di grande efficacia) e composizione musicale [elementi esterni, abbellimenti]. I
mezzi più efficaci onde la tragedia trascina l’animo degli spettatori, le peripezie e i
riconoscimenti, sono parte della favola. catarsi, etimologicamente
Altra nozione importante di questo capitolo è quello di
sarebbe quello che rende puri: l’arte non ci carica ma ci scarica dall’emotività. 18
CAPITOLO VII
Importantissimo perché definisce la famosa struttura (dell’azione) in 3 atti. Se la
tragedia è la mimesi di un’azione perfetta, allora questa ha un inizio, un mezzo e una fine
Dire che una narrazione è divisa in 3 atti vuol dire isolarne un cuore drammaturgico,
svilupparlo secondo una logica consequenziale e portarlo a termine in modo esaustivo e
appagante. Di fatto la struttura è il modo in cui uno scrittore riesce a dotare una
narrazione di un senso compiuto, in un orizzonte di senso, riuscendo ad intrattenere il
suo pubblico. Ogni passaggio vive pertanto di un punto di svolta, un colpo di scena. La
teoria più importante nella pratica di scrittura hollywoodiana è quella di Field,
che suggerisce la porzione dei tre divisa in 30, 60 e 30 pagine di sceneggiatura.
La generale tripartizione non obbedisce ad una convenzionalità casuale, ma aderisce ad
una legge scritta prima della scrittura delle leggi.
I 3 atti diventa un principio guida che ogni singola opera può declinare
autonomamente, aiutano gli scrittori a tenere in pugno il racconto e rispettano le
aspettative che gli spettatori hanno della normale percezione della realtà.
o Il primo atto coinvolge gli spettatori nella storia e nella vita dei personaggi
o Il secondo mantiene il coinvolgimento ed intensifica l’impegno emotivo
o Il terzo conclude la storia e conduce il coinvolgimento del pubblico ad un finale
soddisfacente
CAPITOLO VIII
Aristotele chiarisce la sua concezione dell’unità dell’azione drammatica, l’unica
delle “3 unità aristoteliche” ad essere davvero aristotelica. Non è il concentrarsi
su un solo personaggio a dare unità all’azione. La costruzione di un racconto non può
partire dalla materia grezza iniziale a dalla previsione del risultato finale. Importanti in
questo caso sono gli adattamenti da romanzi: un buona adattamento infatti non è quello
che non tradisce l’originale nella lettera, ma quello che me conserva integro lo spirito.
Tale unità non si dà solo quando il tempo del racconto inizia e finisce nel giro di un giorno
o di un’ora, ma quando possiede un asse narrativo unitario e riesce a essere esauriente
nel dare un giudizio su una parabola esistenziale. È per questo che nelle moderne teorie
della sceneggiatura si tende ad identificare l’unità di azione con il tema del film, il
percorso che il personaggio e la trama compiono verso una compiutezza di significato.
CAPITOLO XI
“Ufficio del poeta non è descrivere cose realmente accadute, bensì quali
possono accadere secondo le leggi della verosimiglianza. È credibile ciò che è
possibile.” La poesia tende a rappresentare l’universale, la storia il particolare.
Importante è il rapporto tra la storia e la sua rappresentazione in un testo
narrativo. Compito del poeta, dice Aristotele, è raccontare le cose che potrebbero
accadere secondo necessità e verosimiglianza, importante è quindi chiedersi: qual è lo
scopo del mio racconto? Il racconto quindi è in grado di sviluppare uno sguardo realistico
e dettagliato sul comportamento umano, cogliendo nella sua completezza il variegato
spettro di beni che l’esistenza presenta all’azione. Scrivere un film biografico
comporta sempre un doppio lavoro di selezione e invenzione (=portare alla luce) e
tutti gli autori di storie biografiche cercano sempre di trovare verità oltre la coltre dei fatti.
CAPITOLO X 19
Il fine della tragedia deve collegare e unificare in sé tanto l’esito cognitivo che
quello emotivo. Aristotele divide le favole semplici (azioni che si svolgono con coerenza
e unità, che giungono alla conclusione senza peripezia e riconoscimento) e complesse
(che hanno peripezie o riconoscimenti o entrambi). Per quanto riguarda quelle
complesse sono essenziali quelle “sfide intellettuali” cui sono chiamati gli
spettatori che, assistendo al verificarsi in scena di eventi inaspettati, sono
provocati a trovarne legittima pertinenza a quanto la trama ha svolto fino a
quel punto -> finali a sorpresa (Unbreakable), quelli con strutture complesse (Inception)
capaci di appagare lo spettatore sorprendendolo in maniera leale. Quella della
concatenazione degli eventi è stata da subito una preoccupazione della drammaturgia
hollywoodiana. Sceneggiare significa strutturare: ogni pagina di uno script dovrebbe
suscitare la domanda Cosa succederà adesso?
CAPITOLO XI
In questo capitolo Aristotele spiega meglio i concetti di peripezia e di
riconoscimento. Il primo è un mutamento repentino, per un personaggio, da una
condizione al suo contrario. Il secondo invece è la scoperta improvvisa di qualcosa o
dell’identità di qualcuno. Fondamentale è che tali azioni drammatiche generino
sentimenti di pietà e terrore. Esempi in cui aderiscono peripezia e riconoscimento si
trovano nelle storie in cui il punto di svolta tra due segmenti narrativi (solitamente tra
primo e secondo atto) coincide con la presa d’atto da parte del protagonista di aver
vissuto fino a quel momento in un universo fittizio come in A Beautiful Mind o The Truman
Show. Il cinema drammatico è pieno di peripezie e riconoscimenti, non solo quello
fantascientifico.
CAPITOLO XII
Aristotele divide la tragedia nelle sue parti essenziali: prologo, episodio, esodo,
canti del coro.
CAPITOLO XIII
Aristotele parla delle vie che la tragedia può prendere per raggiungere il
proprio fine, in particolar modo focalizzandosi sul personaggio principale ideale
per una tragedia che sia perfetta: è quello che, senza essersi distinto particolarmente
né per virtù né per vizio, cade in seguito ad un giudizio sbagliato, all’ignoranza di
qualcosa o ad altre circostanze materiali. Analizza poi tutti i tipi di combinazione tra
il profilo
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