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Sinagra. Detto ciò, al momento della scelta del relatore, mi sono trovata con gli unici due
medici dei seminari già occupati, e mi sono vista costretta ad optare per gli altri relatori
rimasti. Io, come immagino tanti altri miei colleghi, che rapiti dalle parole dei Professori de
Manzini e Sinagra, in quanto rappresentanti di ciò che vorremmo diventare in futuro e
quindi concentrati ad ascoltare le loro parole di esperienza vissuta in qualità di medici, ci
ritroviamo a scrivere una relazione su argomenti lontani, distanti, astratti e poco attinenti al
percorso di studi.
Credo che da questa introduzione si possa ben capire come, di queste ore di
seminario, abbia portato a casa ben poco, ci siano state ben pochi spunti di riflessione,
soprattutto in quanto, a meno che uno non sia amante della filosofia, il nostro percorso di
studi prevede una base ben più pratica, scientifica e al massimo psicologica nel
relazionarsi con il paziente, piuttosto che di filosofia. Piuttosto che la narrazione del lutto
su social media, sarebbe stato di maggiore riflessione e arricchimento del bagaglio
personale la comunicazione del lutto, la comunicazione di prognosi infausta.
Parlando della lezione, personalmente non capisco su cosa mi avesse dovuto fare
riflettere il numero di “profili Facebook di persone decedute”, oppure cosa scrivono gli
amici di persone decedute sui loro profili, come li commemorano o addirittura se tutte
queste azioni siano giuste o sbagliate. Non mi risulta ci sia un modo giusto e un modo
sbagliato di affrontare il lutto, così come non credo ci sia un modo corretto e uno errato per
commemorare una persona. E se vogliamo dirla tutta, parlando di “cosa succede ad un
profilo facebook dopo la morte del proprietario”, forse bisognerebbe chiedersi se si sa
come funziona l’eredità in generale e non solo di un profilo social. Domandiamoci quante
persone fanno e quante no il testamento. Figuriamoci se tutte quelle persone che non
fanno il testamento, si pongono il problema di cosa succederà al loro profilo social. Eppure
l’opzione in caso di morte esiste anche per il social. Sono gli stessi Facebook, Twitter e
altri social che danno la possibilità di scelta su cosa fare dei propri profili una volta
deceduti, a chi lasciarli in eredità. Ma figuriamoci se la gente si pone il problema, non se lo
pone per la propria casa/averi, figuriamoci un profilo social. Basti pensare che “una
persona sposata ma senza figli, lascia in eredità 2/3 al coniuge, e la restante parte ai
fratelli/genitori del defunto”. Quanti sanno dell’esistenza di questa legge? Pochi, forse solo
i diretti interessati, le coppie senza figli. E anche tra loro non tutti. Se dico questo, è perché
conosco personalmente situazioni, in cui non era chiaro come funzionasse il sistema di
eredità in Italia.
Ma torniamo al discorso dei profili sui social network. Chi sono io per dire come
commemorare una persona, come ricordarla, e soprattutto come pensare che il mio punto
di vista posta valere per tutte le altre persone. E’ un argomento troppo personale, intimo, in
cui non credo ci sia un modo universale di elaborare le cose, ne tantomeno di comportarsi
in determinate situazioni. Quindi, chi sono io per poter dire se è giusto o sbagliato
commemorare una persona attraverso il suo profilo Facebook?
Sinceramente, le aspettative che avevo riguardo questi seminari, non sono state
per niente soddisfatte. Non ho arricchito in alcun modo il mio bagaglio culturale, ne
tantomeno quello formativo. Peccato, la buona volontà c’era.
Analisi dettagliata
Le narrazioni del lutto e della malattia nei social media sono diventate un aspetto
significativo della comunicazione online contemporanea. Questi temi toccano
profondamente le emozioni delle persone e possono avere un impatto molto forte sulla
percezione pubblica di eventi intimi e personali, come la perdita di una persona cara o il
confronto con una malattia grave. Nella società digitale, i social media offrono un nuovo
spazio per esprimere il dolore, la speranza, e la lotta, ma allo stesso tempo pongono
nuove sfide in termini di privacy, etica e modalità di relazione.
1. Autocostruzione e Identità Online
I social media consentono agli individui di creare narrazioni personali su se stessi e sulla
propria vita. Quando una persona affronta una malattia o una perdita, la narrazione che si
costruisce sui social media diventa una parte importante della propria identità.
L'autocostruzione diventa un processo pubblico, in cui le persone decidono cosa
condividere, come raccontare la propria esperienza e quale aspetto della propria
sofferenza mostrare. Questo è particolarmente evidente nelle narrazioni di malattia, dove i
protagonisti si possono esprimere come “guerrieri” o come persone che affrontano con
coraggio una battaglia. Allo stesso modo, nelle narrazioni di lutto, il ricordo e la
commemorazione della persona scomparsa diventano parte della persona stessa.
2. Comunicazione e Supporto Sociale
I social media offrono una piattaforma per il supporto sociale in tempo reale. Attraverso i
post, i commenti e i messaggi privati, le persone che affrontano il lutto o una malattia
grave possono ricevere sostegno da amici, familiari, ma anche da sconosciuti che si
trovano ad avere esperienze simili. Questi messaggi possono svolgere un ruolo
terapeutico, creando una rete di solidarietà che aiuta le persone a non sentirsi isolate. Le
piattaforme social diventano quindi una forma di "terapia sociale", dove la condivisione di
emozioni e esperienze aiuta a processare il dolore.
3. L'esposizione al Pubblico e la Privacy
Uno degli aspetti controversi delle narrazioni di lutto e malattia sui social media è la
questione della privacy. Mentre alcune persone scelgono di condividere ogni dettaglio
della propria esperienza, altre potrebbero sentirsi sotto pressione per farlo, temendo di
essere giudicate o di non ricevere sufficiente attenzione se non espongono abbastanza il
proprio dolore. Inoltre, la linea tra intimità e pubblico può essere sfocata: un'esperienza
dolorosa, che tradizionalmente sarebbe stata privata, diventa di dominio pubblico. Questo
può portare a conflitti interiori riguardo al controllo dell'immagine di sé e alla gestione della
propria vulnerabilità.
4. Il Rischio di "Performare" il Dolore