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L'esistenza gli atti linguistici indiretti è una manifestazione della flessibilità
della lingua, che si manifesta ogni livello e consente ai parlanti di forzare e
modificare l'uso delle espressioni linguistiche: la metafora, la metonimia,
l'ironia ne sono altrettante manifestazioni. La possibilità di esprimere in modo
più o meno diretto una determinata forza illocutiva è determinata, sia
culturalmente che linguisticamente. Lingue e culture diverse codificano in
vario grado questa possibilità per i diversi atti linguistici.
Di conseguenza, la capacità di interpretare correttamente la forza illocutiva
diretta o indiretta di un atto linguistico può essere messo in crisi in una
comunicazione interculturale.
Ci sono dei verbi, detti performativi, in cui il parlante non esprime l’azione
che sta compiendo, ma nel nominarla l’esegue direttamente (es. promettere,
informare, avvisare, chiedere, scommettere, battezzare,..).
Già nel loro contenuto semantico vi è il carattere performativo.
Solo in specifiche forme e circostanze un verbo performativo ha questa
proprietà, ad esempio vale per la forma prometto, ma non vale per le forme ho
promesso e promette.
La constatazione dell'esistenza di questi verbi, ha aperto la strada all'idea che
parlare è un mezzo per agire.
Le azioni che si compiono attraverso il linguaggio possono anche essere
eseguite attraverso altri mezzi comunicativi, ma il linguaggio verbale sembra
comunque essere il mezzo più efficace e versatile per eseguire queste azioni.
Attraverso le risposte nelle conversazioni, possiamo capire come
l'interlocutore ha interpretato l’enunciato.
Le informazioni che si trasmettono attraverso l’asserzione di enunciati non si
aggiungono isolatamente le une dalle altre, ma vengono connesse tra loro
all'interno di un modello di discorso, che già comprende informazioni di vario
tipo.
Un enunciato viene compreso solamente quando viene inserito nel
modello di discorso, e la comprensione può portare gli interlocutori ad
assumere valide informazioni supplementari, che non sono esplicitamente
asterite dai parlanti, ma la cui verità viene suggerita dal insieme delle
informazioni trasmesse e presenti nel modello di discorso.
Le informazioni che non vengono asserite dal parlante, ma inferite
dall'interlocutore, sulla base della sua attività di comprensione e di
costruzione del modello di discorso, sono chiamate inferenze.
Il risultato di interferenze è il risultato dell’attività di comprensione e
interpretazione degli indizi presenti nel modello del discorso.
Di conseguenza le interferenze possono scaturire da ogni interferenze
possono scaturire da ogni elemento del contesto:
1. il discorso in atto;
2. la situazione comunicativa;
3. le conoscenze e aspettative generali sul funzionamento del mondo
e sul comportamento delle persone.
La conoscenza del linguaggio consente di produrre inferenze sugli enunciati.
Inferire e capire non hanno lo stesso significato, altrimenti non ci sarebbe
bisogno della nozione di inferenza, che equivarrebbe a significato. L'uso di
certe espressioni linguistiche produce inferenze che non coincidono
semplicemente con il suo significato. Non è detto che affermare “la parola x
produce la parola y”, equivale a dire che “la parola x significa y”.
L'interlocutore può produrre inferenze diverse a seconda delle conoscenze
che egli può recuperare relativamente nel contesto, ad esempio attraverso un
tono di voce o un'espressione facciale, ma anche le nostre conoscenze
generali sul funzionamento del mondo e le nostre aspettative sul
comportamento delle persone. Le interferenze possono essere necessarie, o
anche ipotesi. Le inferenze che si producono a partire da ipotesi sul
comportamento comunicativo dei parlanti, consentono di mettere bene in luce
quali sono le tacite regole a cui ci si aspetta che tutti si attengano nel
comunicare. Alcuni inferenze sono trattate come ipotesi, supposizioni, in
attesa di essere verificate altre, invece, scaturiscono necessariamente da un
enunciato, e queste inferenze obbligatorie, necessarie, sono dette
conseguenze, e possono avere varia origine. Interessanti sono le
conseguenze che si producono a partire da alcune costruzioni sintattiche, ad
esempio la subordinazione.
L'uso di verbi fattivi, produce come conseguenza la validità della frase
dipendente dal verbo, mentre i verbi controfattivi, ne producono la non
validità.
Il diverso status di validità della frase subordinata dipende dal verbo
reggente.
Quando rinunciato viene smentito o negato, la validità dell'informazione che
esso trasmette viene negata, e molte delle inferenze che esso produce
vengono a loro volta negate o perdono di senso senso, ma ciò non vale per
tutte le inferenze, in quanto non tutte le inferenze che scaturiscono da un
enunciato vengono cancellate nella sua smentita.
Si definisce presupposizione → un’inferenza che resta valida, tanto quanto
un enunciato è asserito, tanto quanto è smentito, tanto quanto ci si interroga
sulla sua validità.
Le presupposizioni costituiscono, dunque, le informazioni di sfondo sulle quali
si costruisce e si discute l'informazione asserita, e possono avere diversa
origine.
Le presupposizioni possono scaturire dalle espressioni linguistiche come
parte del loro significato, ad esempio riuscire presuppone tentare.
Alcuni verbi, detti implicativi, producono presupposizioni sulla validità delle
informazioni contenute nelle frasi dipendenti.
Fra le presupposizioni più studiate, ci sono quelle relative all’esistenza dei
referenti menzionati negli enunciati.
Il fatto che l'esistenza di un referente menzionato sia data per presupposto o
smentita dipende da vari fattori:
un referente definito, è dato più facilmente per presupposto di un referente
➢
indefinito;
la negazione di certi verbi, detti verbi con obiectum affectum, cancella
➢
l'esistenza del referente con il ruolo di oggetto, mentre con altri verbi,
l'esistenza del referente oggetto può essere mantenuta.
In questi casi, l'attivazione di presupposizioni è dovuta a un intreccio di fattori,
il significato del verbo, ma anche lo status del referente testuale con il
ruolo di oggetto nel modello di discorso in atto.
La disposizione dell'informazione in focus e in background, serve a
mettere in evidenza quali informazioni in un enunciato sono asserite, oggetto
di discussione, e quali sono invece presupposti.
In generale,le informazioni di background costituiscono delle
presupposizioni, mentre il contenuto informativo vero e proprio si trova
all'interno del focus.
Nelle informative totali, l'intero predicato è in focus e non esiste
background, mentre nelle interrogative parziali, il predicato è in
background e il focus è costituito dal costituente soggetto, sulla cui
identità ci si interroga.
● con un’interrogativa totale, un parlante non attiva alcuna
presupposizione relativa alla proposizione, ma la mette
interamente in discussione. Con ciò non intendiamo dire che le
interrogative totali siano del tutto prive di presupposizioni, ma non
ci sono le posizioni relative alla validità dell'evento;
● con un'interrogativa parziale, il parlante attiva una
presupposizione di validità della porzione non in focus, e mette in
discussione solo l'identità del costituente su cui verte la domanda.
Un enunciato verte sulla parte focale, mentre la porzione di
background è presentata come condivisa o condivisibile punto di
partenza non oggetto di discussione.
La validità della presupposizione è condizione necessaria per la felicità
dell'atto linguistico di tipo direttivo, che prevede che si possa ordinare a un
altro solo ciò che si sa che l'altro è in grado di fare.
Paul Grice nella teoria del significato non naturale, sviluppa le sue riflessioni
con lo scopo di esplorare alcune difficoltà che sorgono nell'analisi delle lingue
naturali secondo l'impostazione logica classica e, fissa nell'intenzionalità del
parlante, la chiave di volta della sua teoria. Egli si concentra sulle nozioni di
convenzione e intenzione, come basi per l'interpretazione dei messaggi
negli scambi comunicativi.
Alla base del linguaggio umano è posta la nozione di convenzionalità,
dunque la produzione e comprensione dei messaggi, è garantita dall'esistenza
di convenzioni che regolano il significato delle espressioni linguistiche e che
consentono la traducibilità degli enunciati in messaggi dotati di significato. Il
significato degli enunciati scaturisce dalla decodifica del senso delle parole.
Grice sostituisce a questa una prospettiva alla cui base sta la nozione di
intenzionalità, dunque la produzione e comprensione dei messaggi è
garantita dalla capacità dei parlanti di interpretare le intenzioni comunicative
degli interlocutori a partire dagli annunciati da loro preferiti.
L'uso delle lingue verbali non è l'unica forma di comunicazione, si possono
usare gesti, azioni, versi, e ciò che accomuna tutte queste forme non è la
convenzionalità del codice usato ma l'intenzionalità del comportamento del
parlante.
Alla base della comunicazione, nella prospettiva di Grice, non c'è la
convenzionalità ma l'intenzionalità, il significato dei parlanti, ovvero la capacità
di questi ultimi di esibire le proprie intenzioni comunicative e riconoscere
quelle altrui attraverso mezzi diversi, fra i quali il linguaggio verbale è quello
più potente e versatile.
La comunicazione è un'attività che si svolge fra più persone, ciascuna delle
quali esibisce intenzioni comunicative, e cerca di interpretare quelle altrui.
Ogni partecipante parte dal presupposto che interlocutori collaborino alla
riuscita della comunicazione, senza queste aspettative reciproche, la
conversazione non avverrebbe. Ciò non vuol dire che non ci siano persone
che si comportano in modo non cooperativo, perché spinte da interessi di altro
tipo, ma ciò fa parte dell'attività comunicativa.
Il principio di cooperazione, base della prospettiva di Grice, non è da
interpretare come una norma etica, una caratteristica delle conversazioni tra
persone, ma come una necessità costitutiva delle conversazioni, se non c'è
cooperazione, allora la comunicazione non avviene.
Da questo principio nascono le quattro massime della conversazione:
qualità: in linea di massima, in un enunciato si pensa che diciamo la