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LA CULTURA EMOTIVA
Le emozioni nelle organizzazioni non sono state studiate solo in termini di tratti e stati emotivi, ma anche
con riferimento alla cultura emotiva delle organizzazioni stesse e alla cultura dei sottogruppi organizzativi.
Appunti secondo sub-ciclo ORGANIZZAZIONE AZIENDALE Dario Cannata
Lo studio delle emozioni come un fatto sociale e non solo come fatto individuale potrebbe essere fatto
risalire al termine Hysteria, coniato da Ippocrate nel 400 a.c. per indicare il contagio di uno stato di
agitazione delle donne nubili a quelle sposate, arrivando oggi ad abbracciare le emozioni di gruppo e le loro
conseguenze sui processi a livello di team.
Negli ultimi anni è stata sottolineata l’importanza di una cultura organizzativa delle emozioni e si sente
sempre più spesso parlare di companionate love, ovvero dello stato emotivo meno intenso dell’amore
romantico, non basato sulla passione, ma sul calore umano e il sentirsi connessi agli altri.
Una forte cultura organizzativa basata sul companionate love non è solo positiva in sé, per la promozione di
certi stati emotivi positivi: ha anche un effetto positivo sugli attitudes ed è in grado di aumentare la
soddisfazione dei clienti nel lungo periodo.
LO SFORZO EMOTIVO
Di “sforzo emotivo” esistono varie definizioni. Il concetto di emotional labor (tradotto con “sforzo
emotivo”) fu introdotto da Hochschild nel 1983 in uno studio sulla gestione delle emozioni sul luogo di
lavoro.
La prima definizione che viene fornita, simile a quella di Hochschild è di sforzo emotivo come “una qualsiasi
altra forma di attività in cui il lavoratore si cimenta insieme a quella fisica e cognitiva per raggiugere gli
obiettivi assegnati”. L’introduzione di questo concetto può essere ricondotta al fatto che la creazione di
aziende di servizio ha generato lavori in cui è fondamentale compiacere i clienti e mostrare loro una certa
tipologia di emozioni per ottenere profitti. Questo tipologia di sforzo emotivo è caratterizzata da tre
elementi:
frequente interazione con i clienti;
aspettativa di ruolo di essere capaci di indurre stati emotivi negli altri;
capacità di gestire questi stati emotivi nell’interazione con altre persone.
Questa visione di sforzo emotivo lo definisce come una richiesta estremamente stressante per il lavoratore,
poiché implica la volontà strategica e intenzionale dell’azienda di manipolare gli stati emotivi per una
ragione economica. Diverso potrebbe essere il caso in cui, più che un obiettivo finanziario, si persegua il
benessere del lavoratore attraverso un condizionamento di questo genere, dando la possibilità di vedere il
rapporto con l’azienda come una relazione di scambio non solo economico, ma anche emotivo e sociale, di
lungo periodo.
La seconda definizione di sforzo emotivo non si concentra tanto sulla natura dello scambio tra sforzo
emotivo e profitto, quanto sul fatto che ci sia una coerenza tra le aspettative di ruolo e i comportamenti
messi in atto dai lavoratori e la loro capacità di influenzare il target di riferimento (i clienti). Non parla più,
quindi, di norme sul sentire, ma di norme organizzative su quali stati emotivi “dimostrare”. Questa
definizione implica che ci possa essere una situazione di armonia emotiva, di beneficio sia per il lavoratore
che per l’organizzazione, nel momento in cui esiste una corrispondenza tra lo stato emotivo che il
dipendente sente e quello che gli è richiesto di dimostrare nel suo lavoro.
La terza definizione si focalizza sull’esperienza individuale interna di gestione delle emozioni sul luogo di
lavoro, concentrandosi sulle conseguenze per il benessere del lavoratore. Tra i concetti fondamentali di
questo approccio c’è a dissonanza emotiva, intesa come differenza tra le emozioni che si provano e quelle
che si dimostrano, cui si aggiungono due dimensioni molto importanti, quali:
Appunti secondo sub-ciclo ORGANIZZAZIONE AZIENDALE Dario Cannata
deep acting: il dipendente prova emozioni diverse da quelle che dovrebbe mostrare e cerca in
anticipo di cambiare quello che sente. È tipico dei dipendenti che cercano autenticamente di
seguire la regola organizzativa su quali siano le emozioni che è più funzionale sentire e dunque
esprimere;
surface acting: il lavoratore modifica o sopprime espressioni ormai emerse legate ai propri stati
emotivi. Il lavoratore mantiene lo stato emotivo che sta provando e cerca esternamente di fingerne
uno diverso.
L’importanza di questi tre approcci sta nel fatto che consentono di riflettere sulle conseguenze dello sforzo
emotivo, ma anche sulle dinamiche che può generare nei singoli individui a livello psicologico e sulle
conseguenze di quest’ultime per i comportamenti sul luogo di lavoro.
IL RUOLO SOCIALE DELLO SFORZO EMOTIVO
Il nostro tentativo di modificare il sentire o la sua manifestazione può influenzare il comportamento altri?
Numerosi studi dicono di si. Gli stati emotivi hanno una funzione di influenza sociale perché sono veicoli di
informazione. La capacità dello sforzo emotivo di influenzare il comportamento altrui dipende da come lo
sforzo è attuato, con riferimento a tre dimensioni:
1. autenticità dello sforzo emotivo messo in atto: si deve distinguere tra il deep acting e il surface
acting. Lo sforzo è più vero nel primo caso ed è usualmente più credibile come fonte di
informazione;
2. sforzo emotivo diretto verso un’amplificazione delle emozioni o verso una loro soppressione:
l’amplificazione o la riduzione possono generare effetti diversi e sono una strategia per modulare
l’impatto delle emozioni (ad es. un negoziatore che amplifica il suo stato di rabbia solo
esternamente – surface acting – potrebbe essere percepito come molto inaffidabile; un negoziatore
che amplifica autenticamente il suo stato di felicità può invece essere visto come una persona che
tiene a stabilire un clima di cooperazione);
3. potere e motivazione a comprendere il contesto organizzativo: persone con più potere tendono
ad essere meno influenzate dalle emozioni altrui.
LE PRATICHE DI GESTIONE DEL PERSONALE, LA CULTURA ORGANIZZATIVA E LO SFORZO EMOTIVO
Attraverso le pratiche di gestione del personale, un’organizzazione definisce quali stati emotivi ritiene
appropriato sentire o esprimere. Quando si pensa al job design difficilmente si trovano descrizioni negli
annunci di lavoro con esplicito riferimento allo sforzo emotivo richiesto; tuttavia è possibile osservare come
spesso si faccia riferimento all’uso di capacità interpersonali (comprensione, empatia, cortesia) dovuti al
fatto che il lavoro è un lavoro di interazione.
Diversi studi hanno illustrato come la frustrazione e l’esaurimento siano dovuti al fatto che spesso le
interazioni richieste dal lavoro includono anche la necessità per il dipendente di mettere in atto un intenso
sforzo emotivo, al fine di incontrare le aspettative dell’organizzazione.
Il reclutamento e la selezione sono importanti per definire una possibile corrispondenza tra lo sforzo
emotivo richiesto da un lavoro e la possibilità e le capacità di un candidato di metterlo in atto. Gli strumenti
si sostanziano, usualmente, nell’analisi dei tratti di personalità e nella rilevazione dell’intelligenza emotiva.
Candidati con una maggiore propensione a sentire le emozioni più funzionali all’organizzazione potrebbero
essere più attrezzati per gestire lo sforzo emotivo richiesto da un lavoro.
Appunti secondo sub-ciclo ORGANIZZAZIONE AZIENDALE Dario Cannata
La formazione è l’ambito in cui diventa più complicato distinguere tra condizionare e manipolare i
comportamenti dei dipendenti: allenare la capacità di esercitare il deep acting non è manipolatorio, ma
esistono programmi che spingono verso il surface acting e una continua richiesta di finzione emotiva rischia
di tradursi in una percezione del lavoro come insopportabile.
Anche il processo di valutazione e ricompensa pone il tema dell’eccessiva manipolazione degli stati emotivi
e del fatto che il controllo e la mercificazione dei medesimi possano essere connessi a stati di frustrazione e
stress. Controllare le emozioni che i dipendenti esprimono e sentono attraverso la valutazione e gli incentivi
monetari può determinare un senso di forte mancanza di autonomia e di motivazione intrinseca legata al
lavoro.
Le ultime due leve di cui dispone l’organizzazione sono le pratiche di socializzazione e la cultura
organizzativa del companionate love.
L’INTELLIGENZA EMOTIVA
L’espressione intelligenza emotiva comprende due dimensioni: quella delle emozioni e quella
dell’intelligenza. L’intelligenza è un’abilità che concerne la capacità di gestire e di ragionare sulle
informazioni che cerchiamo e riceviamo. Può essere vista come una gerarchia di capacità:
alla base ci sono le attività mentali semplici (ad es. il riconoscimento delle parole in un discorso);
a livello intermedio c’è l’abilità di ragionare sulle informazioni verbali e di comprendere le proprie
percezioni;
a livello più elevato c’è la capacitò di ragionare in modo astratto rispetto a informazioni verbali e
percezioni.
Data questa definizione di intelligenza in generale, l’intelligenza emotiva può essere definita come la
capacità di ragionare in modo accurato con riguardo alle emozioni e di usare le emozioni stesse e la
conoscenza che ne abbiamo per sostenere e migliorare i nostri ragionamenti. Gli studi che ne hanno
classificato le dimensioni si dividono in tre filoni:
1. specific-ability approaches: l’intelligenza emotiva è vista come un set di singole capacità discrete,
tra cui figurano:
a. la capacità di percepire le emozioni, intesa come capacità di decifrare le emozioni nelle
espressioni;
b. la capacitò di usare informazioni legate agli stati emotivi per migliorare la propria capacità
di problem solving;
c. la capacità di riconoscere e di ragionare in merito alle emozioni (ad es. nominare e
classificare la paura);
d. la capacità di gestire le emozioni (ad es. la capacità di controllare le proprie emozioni in
modo che non esplodano).
2. Integrative model approaches: le capacità sopra descritte vengono composte in modelli integrati,
che qualificano l’intelligenza emotiva come un insieme di abilità specifiche. Uno dei modelli che
meglio le descrive è quello di Mayer, Salovey e Caruso del 1997, che sostiene che l’intelligenza
emotiva si componga di abilità provenienti da tutte e quattro le aree sopra citate;
3. Mixed method approaches: l’intelligenza emotiva è definita inte