Allora, come possiamo definire, che cos'è un'emozione e cosa distingue l'emozione dell'animale
dall'emozione dell'essere umano? Principalmente, il livello di evoluzione. Come sempre, parliamo
di dimensioni. Non siamo diversi, siamo comunque parte del mondo animale, ma il nostro cervello
è si è evoluto maggiormente. Quindi, uno stimolo emotivo attivante, sia negli esseri umani, sia negli
animali, provoca una risposta coordinata a livello centrale che porta a delle reazioni
comportamentali e fisiologiche tipiche, sia nell'essere umano che negli animali. Che succede?
Nell'essere umano c'è un'elaborazione in più che porta alla definizione di sentimento, di esperienza
soggettiva dell'emozione. L'andiamo a definire, l'andiamo a interpretare sulla base di alcuni schemi
mentali che abbiamo attivati non solo attraverso la via genetica, ma anche attraverso la via, appunto,
di apprendimenti ambientali, precoci o non precoci, principalmente precoci, ma anche non precoci.
L'integrazione delle componenti della risposta emozionale sono state definite in diverse teorie. Per
esempio, la teoria del 1998 di Panksepp sostiene una serie di principi che vanno a definire la
risposta emozionale sulla base dell'interazione costante dei diversi livelli di funzionamento. I
circuiti neuronali sottostanti a un'emozione sono geneticamente predeterminati e strutturati in modo
da rispondere a richieste ambientali importanti per la sopravvivenza. Quindi, in parte, la risposta
emozionale, tant'è che si attiva anche negli animali, è determinata geneticamente e strutturata per
permetterci di rispondere a possibili, per esempio, pericoli che possono che può presentare
l'ambiente. E questi circuiti organizzano comportamenti diversi attraverso l'attivazione o l'inibizione
di programmi motori associati a modificazioni autonome ormonali che si sono rilevate nel corso
dell'evoluzione adattive rispetto alle richieste ambientali importanti per la sopravvivenza. Questi
circuiti modificano, inoltre, la sensibilità degli apparati sensoriali pertinenti alle sequenze
comportamentali attivate. L'attività neuronale dei circuiti emozionali si protrae oltre la situazione
scatenante. E questo è importante perché vedremo che ci sono diverse differenze individuali nella
capacità di ritornare alla condizione di base. Ne parleremo soprattutto nelle prossime lezioni,
quando parleremo della risposta fisiologica alla risposta emozionale e poi della dei processi di
regolazione dell'emozione. I circuiti emozionali possono essere associabili in modo condizionato
con eventi ambientali affettivamente neutri. Che significa? Da una parte ci sono alcuni eventi che
l'evoluzione ci ha permesso di riconoscere e quindi sia gli animali che noi rispondiamo nello stesso
modo. Dall'altra parte ci sono gli apprendimenti e quindi che avvengono per associazione e quindi
ogni individuo potrà presentare delle differenze nel riconoscimento di un evento come rilevante o
meno. Infine, i circuiti emozionali presentano interazioni reciproche con le aree cerebrali che
regolano i processi decisionali superiori e la coscienza e andremo a vedere in particolare nella
lezione successiva l'interazione tra processi cognitivi e processi emozionali. Come si misurano le
emozioni? Abbiamo detto che quando andiamo a studiare un'emozione dobbiamo fare attenzione
perché vogliamo studiare diversi livelli oppure uno solo, lo dobbiamo però sapere e definire. Come
si misura la componente soggettiva dell'emozione? La componente soggettiva dell'emozione si può
studiare chiedendo alla persona come si sente, però abbiamo dei questionari validati che si usano
comunemente per riconoscere, per poter, poi, confrontare studi diversi e popolazioni diverse. Un
questionario molto usato, che si basa sulla teoria di Watson e Tellegen che abbiamo visto prima, è
un questionario sviluppato da Watson, Clark e Tellegen nel 1988 che si chiama Positive and
Negative Affect Schedule. È una lista di 20 stati affettivi: 10 positivi e 10 negativi, a cui viene
chiesto al rispondente, alla persona che partecipa alla ricerca, di stimare per ogni stato affettivo
quanto lo prova da per niente a estremamente in una scala a 5 punti. Ora, gli aggettivi positivi
possono essere interessato, forte, entusiasta e così via, mentre gli stati affettivi negativi possono
essere stressato, arrabbiato, impaurito e così via. Ora, però, dipende dall'istruzione che do per
andare a valutare che tipo di risposta soggettiva. Io posso chiedere "come ti senti in generale?". In
questo caso non sto misurando la componente soggettiva di una risposta emozionale a un certo
evento, sto andando a valutare lo stato affettivo di tratto, abituale di quell'individuo, oppure io posso
usare degli stimoli, che può essere delle fotografie, degli stimoli attivanti e poi chiedere "come ti
senti" dopo aver visto questo stimolo. In questo caso, sto andando a misurare la componente
soggettiva della risposta emozionale a quel determinato stimolo, che può essere, appunto, una
fotografia. Quindi è importante fare attenzione a che tipo di istruzione viene data al partecipante per
capire che cosa sto andando a misurare. Questo strumento è stato molto utile e in un certo senso la
letteratura, mettendo insieme diversi studi in rassegne sistematiche, narrative sistematiche e meta-
analisi, quello che è andata a vedere che l'esperienza di un'affettività negativa elevata, o di tratto o
di stato, quindi in risposta a stimoli specifici, si può definire come quindi l'affettività negativa
misurata dal PANAS, quindi le risposte ai 10 stati affettivi negativi, è la tendenza a provare
emozioni negative ed è stata definita come una dimensione generale di disagio soggettivo e
coinvolgimento spiacevole che comprende una varietà di stati d'animo avversivi, tra cui rabbia,
disprezzo, disgusto, senso di colpa, paura e nervosismo. Questo stato, diciamo, questa tendenza a
provare emozioni negative è misurata dal PANAS ed è stata dimostrata essere una componente
fondamentale di varie forme di psicopatologia, come i disturbi d'ansia, i disturbi dell'umore, i
disturbi post-traumatici, disturbo ossessivo-compulsivo e disturbo da uso di sostanze. L'assenza di
negative affect può essere associata a uno stato di calma e serenità e attenzione perché può sembrare
che diciamo delle cose abbastanza banali. Chi soffre di un disturbo mentale prova più
frequentemente emozioni negative. Può essere un risultato abbastanza ovvio, però non lo è così
tanto, perché, per esempio, sulle emozioni positive i risultati sono meno chiari. Non sappiamo se la
psicopatologia, non in tutti i disturbi, è associata con emozioni positive basse o no e se, quindi, la
dimensione di negative affect, che è una dimensione fondamentale per la salute mentale, non tanto
la dimensione di positive affect. Quindi, se una persona che prova ha una tendenza a provare
frequentemente emozioni negative e una frequenza elevata a provare emozioni positive, quindi una
frequenza a provare emozioni intense, sia positive che negative, sia a maggiore rischio di sviluppare
un disturbo mentale rispetto a una persona che prova emozioni negative alte ed emozioni positive
basse. Diciamo che questo secondo è un risultato che si incontra più frequentemente, ma lo studio
dell'importanza del positive affect nella salute mentale è meno chiaro rispetto allo studio del
negative affect. Quindi andiamo a vedere che poi tanto banale non è ed è importante la ricerca
empirica e scientifica proprio per andare a validare, confermare o sconfermare dei ragionamenti
logici intuitivi che possono essere a volte non corretti se applicati a ampie popolazioni e quindi a
uno studio di potenza statistica maggiore. L'esperienza soggettiva dell'emozione può essere studiata
anche attraverso scale visuali. Abbiamo visto prima il Self Assessment Manikin, che è uno
strumento molto usato che permette la valutazione non verbale della componente soggettiva
dell'emozione sulla base delle due dimensioni: attivazione (bassa attivazione/alta attivazione),
valenza (spiacevolezza/piacevolezza). Perché può essere utile andare a studiare la componente
soggettiva attraverso scale visuali? Perché a volte, per esempio, il PANAS non è semplicissimo da
compilare. Viene chiesto, per esempio, alla persona di dire quanto si sente orgoglioso in quel
momento. Alcuni partecipanti dicono "boh, non lo so, che vuol dire quanto mi sento orgoglioso in
questo momento?". Allora, utilizzare solo le due dimensioni di arousal e attivazione e utilizzarle in
maniera visuale può rendere più semplice il compito di andare a immedesimarsi e andare a essere
più precisi nel definire come mi sento in questo momento. Mi riconosco nel robotino (slide 16) qua
che è felice, triste o attivato o non attivato. Per questo motivo, a me piace anche una scala più
recente, molto meno usata rispetto al SAM, ma più recente, in cui c'è questa figura più umana (slide
17) che può essere sia maschile che femminile, quindi, secondo me, ci si può identificare sia se si è
donna che sia se è uomo, che include diverse scale relative all'esperienza emotiva. In particolare, la
dimensione di valenza (positivo/negativo), la dimensione di in questo caso viene chiamata ansia, ma
di attivazione, quindi di elevata attivazione e invece in contrasto di calma, e, per esempio, anche la
dimensione dell'orgoglio appunto, quel termine che a volte viene ritenuto difficile da valutare nel
PANAS, ma non è l'unico, è un esempio, è che magari in una figura di quel tipo può essere più
semplice andare a immedesimarsi e dirà "sì, mi sento più così rispetto che più così". E in più
include una scala di energia o di fatica, anche molto utile perché sappiamo che spesso, per esempio,
nei disturbi dell'umore o nei disturbi del sonno, spesso le persone hanno questa sensazione di
estrema mancanza di energia, di forte fatica diurna. Come andiamo, invece, a studiare la
componente fisiologica della risposta emozionale? In generale, quello che possiamo dire è che
arriva uno stimolo e abbiamo una risposta fisiologica che è che corrisponde a un picco, cioè
abbiamo una risposta fisiologica dove possiamo andare a studiare quanto è intensa, o possiamo
andare a studiare quanto è lunga, quanto dura nel tempo, quanto ci impiega l'individuo a ritornare
allo stato fisiologico di base prima che aveva prima che lo stimolo intervenisse. Possiamo andarla a
studiare in diversi modi. Un metodo classico, molto usato, è lo studio della risposta neuronale
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Appunti lezione 1 di Metodologia clinica 1
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Appunti quinta lezione di Metodologia clinica 1
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Appunti terza lezione di Metodologia clinica 1
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Appunti lezione 2 di Metodologia clinica 1