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IL SE’: AUTOREGOLAZIONE, MOTIVAZIONE ED EMOZIONI

Questo è l’unico argomento di psicologia sociale in cui l’oggetto di conoscenza coincide con il

soggetto di conoscenza.

Strategie di autoregolazione: strategie che usano gli individui per dare senso alle proprie

emozioni, sensazioni, ai propri vissuti.

Il concetto di autoregolazione deriva dalla biologia.

Secondo William James l’esperienza che facciamo di noi stessi come attori sociali permette di

costruirci la nostra identità.

Il processo di acquisizione di consapevolezza del sé si sviluppa attraverso la relazione con gli altri

ed è continuamente soggetta a variazioni.

Le variazioni scaturiscono dai feedback ricevuti durante le interazioni sociali.

Nella prima fase della nostra vita siamo più facilmente influenzabili, poi dovremmo sviluppare una

personalità che fa diminuire questa influenza.

Però questo è anche soggettivo, ad esempio un fattore che cambia da persona a persona è la

tendenza all’automonitoraggio: distingue le persone che sono più attente a come gli altri

reagiscono al loro comportamento e persone che sono meno interessate a quello che gli altri

pensano.

Secondo George Mead il processo di acquisizione del sé è legato all’interazione sociale e alla

capacità degli esseri umani di utilizzare simboli e, quindi, allo sviluppo del linguaggio.

Il gioco permette all’individuo di vedere sè stesso dal punto di vista degli altri e acquisire la

prospettiva dell’altro, che egli chiama “l’altro generalizzato”.

LIBRO DELLA MORALITA’

Secondo Kohlberg ci sarebbe tre grossi stadi divisi al loro volta in due: preconvenzionale,

convenzionale, postconvenzionale. Le convenzioni sono norme che riguardano la differenza tra

ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.

Stadio preconvenzionale: I bambini non hanno ancora l’età per riuscire a codificare le regole

Infatti all’inizio vanno lasciati giocare.

Stadio convenzionale: è una fase dello sviluppo in cui i bambini imparano a codificare le regole e

fanno un ragionamento guidato dalle norme morali.

Stadio postconvenzionale: il ragionamento morale non si struttura intorno alle regole ma intorno

a principi morali astratti. Es. non do uno schiaffo non perché me lo dice la legge.

Tra i fattori che permettono di raggiungere questo stadio c’è l’acculturazione, ma ce ne sono

anche altri.

Secondo James nel sé si possono distinguere due componenti:

• IO: soggetto consapevole, pensatore, in grado di conoscere, prendere iniziative e riflettere

su di sé.

• ME: oggetto della conoscenza, quanto del sé è conosciuto dall’IO (il modo in cui mi vedo),

include una componente materiale (il me corporeo, le cose che possiedo), una sociale (il

me in rapporto con gli altri) e una spirituale (il Me consapevole e capace di riflessione su sé

stesso, sui propri valori, gli affetti).

Questa impostazione fa riferimento a un concetto di Sé piuttosto rigido, organizzato in forma

gerarchica, dove è assegnato minor valore al Me corporeo e maggior valore al Me spirituale.

Fonti di conoscenza del sé:

• Osservazione del proprio comportamento.

• Introspezione: L’introspezione consiste nel capirci guardandoci dentro. Tuttavia è una

fonte poco affidabile, soggetta a diversi bias (favore del sé; attribuzioni causali; bias legati

al fatto che spesso non siamo consapevoli dei nostri processi mentali).

• Interazione sociale: conosciamo noi stessi ascoltando quello che le altre persone ci dicono,

osservando le loro reazioni nei nostri confronti o paragonando i nostri comportamenti con

quelli degli altri.

Noi cerchiamo di presentarci in modo strategico perché serve a mantenere e preservare

un’autostima positiva. INTIMATE PARTNER VIOLENCE

La psicologia sociale studia anche i fattori che negli episodi di violenza rendono coinvolta

responsabilmente una persona oppure no.

Ci sono tante forme di violenza: fisica, verbale, economica, sessuale, privazione della libertà,

stalking, svalutazione; anche se spesso la violenza è considerata come una forma univoca legata a

quella fisica.

Il programma di ricerca che esamineremo ha esaminato i fattori situazionali, individuali e culturali

che potessero facilitare o inibire il supporto alle vittime di violenza, cioè i meccanismi che portano

i bystender a intervenire nell’episodio di violenza e i meccanismi che portano a non farli

intervenire.

Questi meccanismi sono stati analizzati attraverso un’indagine sperimentale (cioè studi in cui è

stata manipolata una variabile indipendente, cioè gli antecedenti causali dei bystender e sono stati

studiati anche i meccanismi sottostanti, cioè le variabili di mediazione).

Esamineremo i casi non prototipici dell’intimate partner violence nei casi non prototipici (cioè non

agita su una donna), i limiti di questo programma di ricerca, le direzioni future e i risvolti pratici

che questi studi possono avere.

L’intimate partner violence non si sovrappone alla violenza contro le donne, ma esso si riferisce a

qualsiasi tipo di comportamento all’interno di una relazione intima, indipendente dal genere e

dall’orientamento sessuale, che può causare dolore fisico, verbale o sessuale, abusi di natura

emotiva (come le umiliazioni e le intimidazioni) o attraverso controlli dei comportamenti (isolare la

persona dalla famiglia o dagli amici, controllare la persona con delle app, non consentire alla

persona di lavorare, studiare ecc.); tuttavia ci sono anche comportamenti controllanti meno

rilevanti (che potrebbero apparire quasi normali) ma che comunque tolgono agenticità al partner,

cioè la capacità di agire e pensare autonomamente, come non far postare foto sui social,

controllare il cellulare.

L’intimate partner violence, oltre che con la violenza contro le donne, viene spesso confusa con la

violenza domestica. Ma la differenza sta nel fatto che la violenza domestica non sempre si

riferisce ad una coppia, ma può essere fatta anche contro i figli, gli anziani (violenza fisica,

l’abbandono, la negligenza, la scarsa cura, la scarsa alimentazione).

Inoltre noi, in qualità di bystender, possiamo influenzare il comportamento della vittima o di colui

che fa violenza. Ad esempio non denunciando l’atto di violenza visto, induciamo la vittima a

pensare che non sia un atto denunciabile perché non abbastanza grave.

A volte la violenza è interiorizzata tanto da considerarla normale e questo dipende principalmente

dalla cultura, ad esempio nelle culture “mascoline“ in cui l’infedeltà della compagna è segno di

violazione dell’onore, i comportamenti violenti tesi a riparare il torto all’onore rappresentano

comportamenti che anche dalle istituzioni sono considerati normali. Fino ad alcuni anni fa, ad

esempio, esistevano delle attenuanti di onore: l’omicidio aveva delle attenuanti se si poteva

dimostrare di essere stati traditi dalla propria moglie.

Le cognizioni sono incarnate nel linguaggio (ad esempio nei proverbi “tra moglie e marito non si

mette il dito”, “chi la fa l’aspetti”, “i panni sporchi si lavano in casa”) e questo fa sì che non ci siano

fonti di prevenzione di violenza perché escludono l’intromissione di una terza persona.

La violenza di genere è legata agli stereotipi (tra uomini e donne) e veicolata dalla cultura (le

competenze attribuite a donne e uomini sono diverse).

La violenza ha una serie di manifestazioni collocabili lungo un continuum che va da atti leggeri

detti “soft” (come il controllo del cellulare) a atti “hard” (come l’omicidio).

A veicolare la violenza di genere può essere il verbo “aiutare” se un uomo dice che aiuta la

moglie a cucinare sta dicendo che quel compito è prettamente femminile, ma non è così!

I dati dell’OMS dicono che in media una donna su tre si trova a subire un atto di violenza, per cui si

tratta di qualcosa da non ignorare. Ci sono delle aree del mondo in cui la percentuale di violenza

nel corso della vita tende a crescere, come l’Africa, l’Asia.

L’organizzazione mondiale della sanità ha definito l’IPV come problema trainante della salute

pubblica a livello mondiale e questo vuole dire che non si può non intervenire in caso di eventi

violenti.

La violenza ha una serie di effetti sulla salute fisica (lividi, rotture, abrasioni, fratture), ma anche di

natura mentale (depressione, disturbo post traumatico da stress, disturbi dell’alimentazione o del

sonno, comportamenti sessuali promiscui), sulla salute sessuale o riproduttiva (aborti praticati in

casa, gravidanze non volute ecc.), inoltre le donne che subiscono violenza hanno probabilità più

alte di morte (suicidio, omicidio dal partner, HIV).

Perché le vittime non riportano la violenza all’autorità?

1. Per vergogna, credendo di esserselo meritato o di aver provocato il partner: interiorizzano

la violenza in modo da non considerarla più tale.

Solitamente colui che fa violenza inizia con comportamenti controllanti, per poi arrivare

alla violenza vera e propria, segue un finto pentimento che poi può portare alla cosiddetta

fase della “luna di miele” in cui la coppia è solo apparentemente legata, ma poi segue la

violenza nuovamente, le scuse e di nuovo la “luna di miele”: questo è noto come circolo

della violenza.

2. Per paura delle conseguenze, come la vendetta.

3. Per dipendenza economica, le donne si sentono impotenti e si parla di impotenza appresa.

4. Per credenze religiose o culturali (es. la cultura dell’onore).

5. Perché possono non essere consapevoli della presenza di servizi antiviolenza.

6. Perché possono razionalizzare (“è l’ultima volta che mi picchia“, “era ubriaco”).

Accanto alla vittimizzazione primaria (conseguenze dannose di natura psicologica, fisica,

sociale ecc. che la vittima subisce) esistono ulteriori conseguenze note come vittimizzazione

secondaria: essa ha luogo ad esempio nei tribunali, in cui gli avvocati e gli inquirenti spesso

fanno di tutto per scagionare la persona violenta e in questo tentativo svalutano la vittima

gettando su di lei ombre di dubbio (es. “è vero che quando esci indossi abiti succinti?”)

scoraggiando la presentazione della denuncia da parte della vittima. Questo accade a causa dei

pregiudizi e stereotipi da parte di coloro che intervengono sul caso.

MODELLO DI LATANE’ E DARLEY

Latanè e Darley teorizzano l’approccio dei bystender, che sono individui non direttamente

coinvolti nella situazione di emergenza, ma comunque pre

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Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PSI/05 Psicologia sociale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Francesca_Tramutola di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Psicologia sociale I e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi Gabriele D'Annunzio di Chieti e Pescara o del prof Pagliaro Stefano.
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