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Non operatività del ne bis in idem. Ex art 649 1c, l’effetto preclusivo non opera nel caso di sentenza che abbia
dichiarato estinto il reato per morte dell’imputato, quando successivamente si accerti che la morte sia stata
dichiarata erroneamente. Allo stesso modo il ne bis in idem non opera quando una sentenza abbia prosciolto
l’imputato per difetto di una condizione di procedibilità qualora successivamente questa sopravvenga.
Concetto di medesimo fatto. L’orientamento tradizionale accoglieva una nozione giuridica di medesimo fatto: il
divieto di nuovo processo operava solo quando il nuovo fatto addebitato all’imputato era identico in tutti i suoi
elementi costitutivi (condotta, evento e nesso di causalità) e se comportava offesa allo stesso bene giuridico. Le
conseguenze erano rigorose. Il nuovo fatto addebitato all’imputato impediva un nuovo processo penale solo se
risultavano identici sia gli aspetti naturalistici sia la qualificazione giuridica.
Viceversa, se la novità di un successivo addebito consisteva anche solo nell’aver offeso un differente bene
giuridico, era consentito un nuovo processo per lo stesso fatto inteso in senso naturalistico ma differentemente
qualificato in senso giuridico.
L’orientamento in questione è stato criticato dalla sentenza della CC 200/2016: la varietà delle figure di reato, alle
quali si potrebbe ricondurre il medesimo fatto, avrebbe consentito iniziative punitive tali da porre perennemente in
soggezione l’individuo di fronte a una tra le più penetranti manifestazioni del potere sovrano. Ha affermato anche
che il giudizio legato all’idem legale non era compatibile con la costituzione e nemmeno con la CEDU, quindi
definitivamente abbandonato.
In base alla CC, occorre optare per una concezione naturalistica del concetto di medesimo fatto secondo cui
quella identità, che impedisce un nuovo processo, sussiste quando vi è corrispondenza storico naturalistica nella
configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi con rigirarsi alle circostanze di tempo, luogo
e persona offesa. Questi elementi devono essere ponderati con esclusivo riferimento alla dimensione empirica,
mentre resta irrilevante il profilo dell’evento in senso giuridico considerato come offesa al bene protetto dalla
norma incriminatrice.
Se restano identici tutti gli elementi oggettivi del reato, quindi condotta, nesso causale e evento naturalistico, vi è
identità del fatto che impedisce il nuovo processo anche se, in ipotesi, il fatto storico è passibile di ricadere
all’interno di una ulteriore fattispecie incriminatrice diversa.
Nel caso di specie la CC ha affermato che sussiste violazione del ne bis in idem quando si proceda per omicidio
doloso nei confronti di un imputato già messo sotto processo e prosciolto, per fatti di omissione dolosa di cautele
contro infortuni sul lavoro (art 437 cp) e disastro doloso (art 434 cp) già aggravati dalla morte delle medesime
persone.
Giurisprudenza.
Esempi di applicazione del principio ne bis in idem. Intervenuta una condanna per omicidio doloso, non può
esserci un nuovo processo penale per omicidio colposo: il fatto sarebbe considerato solo per un diverso titolo.
Allo stesso modo, una volta che l’imputato è stato assolto con sentenza irrevocabile dall’accusa di omicidio
colposo, non è ammissibile un nuovo procedimento basato su una diversità degli elementi sulla colpa. Una volta
che l’imputato è stato prosciolto per abuso di ufficio, non può essere processato per peculato con riferimento allo
stesso fatto.
Il concorso formale di reati
Fino al 2016 il diritto vivente aveva accolto una impostazione peculiare con riferimento all’operatività del ne bis in
idem in caso di concorso formale di reati, che accoglieva una nozione di stesso fatto inteso in senso giuridico. Ad
avviso della giurisprudenza, qualora si fosse verificato un concorso formale di reati con la violazione di distinti
precetti conseguenti alla stessa condotta, non avrebbe operato la preclusione ex art 649 cpp, poiché si ritenerla
che il giudicato formatosi in relazione ad uno degli eventi giuridici cagionati lasciava aperta la possibilità di
esercitare l’azione penale in merito all’altro. In questo caso, infatti, ciascuna delle incriminazioni in concorso
formale sarebbe servita a reprimere una parte dell’offesa cagionata dal fatto storico. Quindi sarebbe stato
necessario applicarle entrambe per punire il fatto in tutta la sua antigiuridicità.
Simile orientamento risultava espressivo di una concezione giuridica e non naturalistica. Si prospettava una
interpretazione restrittiva della garanzia del ne bis in idem. Lettura del genere esponeva l’individuo ad una pluralità
di valutazioni del medesimo episodio criminoso, in quando il ne bis in idem era vietato solo se la sentenza passata
in giudicato avesse escluso la ‘sussistenza del fatto’.
Con la sentenza 200/2016 la CC ha affermato che si tratta di una impostazione che limita la garanzia del ne bis in
idem. Quindi ha dichiarato illegittimità dell’articolo 649 in quanto, per come è interpretato nel diritto vivente, la
norma è illegittima nella parte in cui permette, a parità di fattispecie naturalistica, che si svolga un nuovo processo
in presenza di un concorso formale tra il reato già giudicato con sentenza irrevocabile e il reato per cui è iniziato il
nuovo procedimento penale. Quindi, in presenza di identità tra condotta, evento e rapporto di causalità opera
sempre il ne bis in idem e quindi è vietato un secondo giudizio, anche se in relazione ad un nuovo reato in
concorso formale con quello già giudicato. Se nella nuova imputazione muta un elemento naturalistico del fatto,
la garanzia del ne bis in idem è destinata a cadere.
Progressione criminosa e principio di detrazione
La giurisprudenza ha riconosciuto che nel caso di progressione criminosa non opera la preclusione procedurale ex
art 649 cpp. C’è preclusione processuale, ad esempio, quando vi è stata condanna irrevocabile per il reato di
lesioni personali e poi dallo stesso fatto storico è derivata la morte della persona offesa, addebitata a titolo di
omicidio preterintenzionale in un successivo processo. In questo caso non vi è bis in idem perché i fatti sono
diversi nel senso che dalla medesima condotta criminosa è derivato il differente evento della morte.
Poiché i due reati sono in rapporto di progressiva gravità delle conseguenze derivanti dalla stessa condotta, la
Cassazione con la sentenza di prima, ha applicato il principio di detrazione elaborato dalla CEDU. Il principio
impone di assicurare la proporzione sanzionatoria ex art 133 cp nel senso che il giudice del secondo
procedimento deve detrarre dalla nuova sanzione quella precedentemente irrogata con la sentenza passata in
giudicato. In questo modo la sanzione complessivamente irrogata rispetta la caratteristica dell’adeguatezza e
della proporzionalità.
Il ne bis in idem in caso di procedimento amministrativo sostanzialmente penale
Si è posto il problema inerente alla possibilità di svolgere un procedimento penale relativo ad un fatto in relazione
al quale si sia già svolto un procedimento amministrativo quando questo abbia natura sostanzialmente penale alla
luce di criteri stabiliti dalla Corte europea ‘criteri di Engel’. Secondo i criteri di Engel sono sostanzialmente penali
tutte le sanzioni che pur se non qualificate come tali dagli ordinamenti nazionali, sono rivolte alla generalità dei
consociati; perseguono scopo non meramente risarcitorio, ma repressivo e preventivo; hanno connotazione
afflittiva. In presenza di condanna emessa all’esito di un procedimento sostanzialmente penale deve operare la
garanzia del ne bis in idem e quindi non può svolgersi un nuovo procedimento penale per lo stesso fatto.
La giurisprudenza della CEDU
La corte di Strasburgo si è occupata dei parametri da valutare per stabilire se tra il procedimento amministrativo e
penale sussista un ne bis in idem. In una prima decisione aveva affermato l’applicabilità di questo principio.
Successivamente si era affermata una valutazione basata su criteri più elastici basati sulla stretta connessione
sostanziale e temporale tra i procedimenti della proporzionalità della sanzione complessivamente irrogata. In
presenza di questi requisiti, il principio ne bis in idem non avrebbe operato perché entrambi i procedimenti
avrebbero costituito una risposta coerente e unitaria allo stesso fatto illecito.
La sentenza 149/2022
La CC ha definito la illegittimità dell’articolo 649 e ha sancito il divieto di ne bis in idem. La consulta ha affermato
che quando un imputato sia già stato sottoposto a procedimento per un illecito amministrativo sul diritto di autore
(legge 633/1941) e poi, per lo stesso fatto, previsto anche come delitto da questa legge, sia stato sottoposto a
procedimento penale, il giudice deve pronunciare sentenza di non luogo a procedere o di proscioglimento. In
verità il giudice rimettente aveva sollecitato la Consulta a dichiarare illegittimità dell’articolo 649 in via generale
con riferimento a tutti i casi in cui, con riguardo ad uno stesso fatto, sia stata già irrogata in via definitiva, nell’abito
di un procedimento amministrativo non legato a quello penale da un legame materiale e temporale stretto, una
sanzione avente carattere sostanzialmente penale si sensi della CEDU e dei relativi protocolli. Tuttavia, la Corte ha
preferito circoscrivere la pronuncia alla specifica materia della protezione del diritto d’autore, lasciando intendere
che non può introdursi se non in via normativa, la previsione di parametri in base ai quali il giudice può valutare la
natura sostanzialmente penale di un procedimento amministrativo e l’eventuale duplicazione rispetto al
procedimento penale.
La preclusione in pendenza di processo
È in atto una evoluzione: la giurisprudenza sta interpretando in ne bis in idem come principio generale dell’intero
sistema processuale. In questa ottica di pone l’affermazione delle SU che hanno ritenuto precluso un secondo
giudizio in relazione allo stesso fatto attribuito alla stessa persona anche in presenza del processo ancora
pendente e non definito con sentenza irrevocabile.
In ogni caso è necessario che i due processi siano pendenti contemporaneamente, che siano stati instaurati ad
iniziativa dello stesso ufficio del pm, che non siano riconducibili nell’ambito dei conflitti di competenza ex art 28
cpp e che siano stati devoluti, anche se in fasi o gradi diversi, alla cognizione di giudici appartenenti alla stessa
sede giudiziaria. La preclusione, che nella sua accezione generale è finalizzata ad evitare una inutile duplicazione
di attività, è oggi considerata baluardo da porre a p