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CAPITOLO II
Gli atti
1. Gli atti del procedimento penale
1.1. Considerazioni preliminari. Atti analogici e informatici
Viene tradizionalmente definito atto del procedimento penale quell'atto compiuto da uno dei
soggetti del procedimento e che è finalizzato alla pronuncia di un provvedimento penale
(sentenza, ordinanza, decreto). In base a tale definizione rientrano nel concetto di atto sia gli
atti delle ip sia gli atti dell up e del giudizio.
Ai sensi dell'art. 109 gli atti del procedimento sono compiuti in lingua italiana (si possono
richiedere atti anche nella propria lingua madre in caso di persone straniere).
La riforma Cartabia ha introdotto nuove disposizioni sulla disposizione degli atti informatici
che si affiancano a quelli analogici.
Ad oggi tali atti informatici non trovano nessuna disciplina.
Ai sensi dell'art. 125 tutti i provv del giudice diversi da sentenze, ordinanze e decreti sono
adottati senza formalità anche oralmente, mentre il cpp prevede per determinati atti modelli
legali che sono previsti in via generale per atti del procedimento.
Quando è richiesta la forma scritta vige la regola secondo la quale l'incorporamento deve
avvenire con metodo digitale mentre l'eccezione è l'incorporamento con modalità
analogiche.
Gli atti devono contenere la data, la sottoscrizione e possono essere depositati per via
telematica o attraverso fascicoli informativi.
Vige nell'ordinamento un divieto di pubblicazione degli atti del procedimento, soprattutto per
gli atti pertinenti alle ip.
1.2. Gli atti del giudice e delle parti
Quelli del giudice sono la sentenza, l'ordinanza e il decreto.
La sentenza è l'atto con cui il giudice adempie, al dovere di decidere, che gli è posto a
seguito dell'esercizio dell'azione penale. La sentenza esaurisce una fase o grado del
processo. Con essa il giudice si spoglia del caso.
Se una parte impugna la sentenza un altro giudice esaminerà il caso e questo fino a che
sarà pronunciata la sentenza non più impugnabile con i mezzi di impugnazione ordinaria.
La sentenza deve essere sempre motivata cioè deve dare conto del percorso logico seguito
dal giudice per giungere alla decisione.
L'obbligo della motivazione è posto direttamente dalla Costituzione all'art. 111 co. 6 Cost. e
ripetuto dal codice che ne prevede la sanzione della nullità per eventuale inosservanza.
L'ordinanza è un provv con cui il giudice risolve singole questioni senza definire il processo
(ad es con ordinanza il giudice accoglie o respinge la domanda di ammissione di un mezzo
di prova).
L'ordinanza deve essere sempre motivata a pena di nullità e di regola è revocabile dal
giudice.
Il decreto è un ordine dato dal giudice, deve essere motivato solo se la legge lo precisa
espressamente. A differenza dell'ordinanza è che quest'ultima è emessa dopo che si è
svolto il contraddittorio tra le parti mentre il decreto può essere enunciato in assenza del
medesimo.
Il decreto è un tipo di atto che può essere emesso anche dal pm nei casi previsti dal codice.
L'art. 129 obbliga il giudice a dichiarare immediatamente d'ufficio determinate cause di non
punibilità. Più precisamente il codice enumera espressamente le seguenti formule che
comportano la declaratoria immediata d'ufficio: il fatto non sussiste, l'imputato non ha
commesso reato, il fatto non costituisce reato, il fatto non è previsto dalla legge come reato,
il reato è estinto o manca una condizione di procedibilità.
La pronuncia del giudice deve intervenire immediatamente in ogni stato e grado del
processo purchè successivi all'esercizio dell'azione penale. L'obbligo però deve intendersi
limitato da norme speciali che regolano la fase o il grado. Nella fase dell ip il giudice non può
attivarsi d'ufficio per il semplice motivo che prima dell'esercizio dell'azione penale non vi è un
processo.
Il co. 2 dell'art. 129 pone una gerarchia tra le formule che il giudice è tenuto ad emettere:
quando esiste una causa di estinzione del reato, ad es la prescrizione, il giudice deve dare
la preferenza ad una sentenza di assoluzione o ad una sentenza di non luogo a procedere.
L'art 130 prevede la procedura di correzione degli errori materiali. L'istituto richiede almeno 4
requisiti.
Il primo luogo sono oggetto di correzioni le sentenze, le ordinanze e i decreti;
In secondo luogo l'errore non deve essere causa di nullità dell'atto;
In terzo luogo l'errore deve essere materiale cioè deve consistere in una difformità tra
pensiero del giudice e la formulazione esteriore di tale pensiero.
In quarto luogo l'eliminazione dell'errore non deve comportare la modifica dell'intero atto.
Al giudice spettano poteri coercitivi nell'esercizio delle sue funzioni al fine del sicuro e
ordinato compimento degli atti ai quali procede.
Il potere coercitivo comporta la possibilità di ottenere comportamenti anche contro la volontà
dei singoli interessati; si tratta di poteri di polizia processuale. L'ordine può essere anche
soltanto orale ed è riportato nel verbale di udienza.
Tra gli atti che costituiscono il potere coercitivo del giudice si può collocare
l'accompagnamento coattivo. L'istituto consente una restrizione delle libertà personali dato
che può essere eseguito con la forza.
Tra i destinatari di tale provvedimento vi sono l'imputato o indagato, il testimone, il perito, il
consulente tecnico, l'interprete e il custode di cose.
Il giudice può fare eseguire una perizia coattiva che comporti atti idonei ad incidere sulla
libertà personale come il prelievo di capelli, peli ecc... al fine del profilo del DNA.
Gli atti delle parti sono le richieste e le memorie.
Le richieste sono atti rivolti al giudice al fine di ottenere una decisione come ad esempio la
richiesta di risarcimento del danno; mentre le memorie sono atti che hanno un contenuto
meramente argomentativo teso ad illustrare questioni in fatto o in diritto.
1.3. Il procedimento in camera di consiglio
Il codice utilizza l'espressione "camera di consiglio" per indicare due situazioni diverse. Nel
primo caso tale espressione indica un luogo in cui il giudice si ritira per formulare il proprio
convincimento sulla singola decisione da decidere.
Nel secondo caso per camera di consiglio si intende la modalità di svolgimento dell'attività
giurisdizionale al quale le parti hanno il diritto di partecipare.
Il procedimento in camera di consiglio presenta due caratteristiche: l'assenza del pubblico e
la partecipazione solo facoltativa delle parti interessate.
Le parti e i difensori ricevono un avviso ma non hanno l'obbligo di intervenire all'udienza.
Vige l'obbligo di comunicazione alle parti interessate a pena di nullità e fino a 5 giorni prima
dell'udienza gli interessati possono presentare memorie presso la cancelleria del giudice.
All'udienza il contraddittorio è soltanto eventuale poiché la partecipazione delle parti è
facoltativa. Il giudice ha l'obbligo di ascoltare tutti coloro che partecipano all'udienza.
Il provv conclusivo della procedura camerale assume di regola la forma dell'ordinanza che è
impugnabile mediante ricorso per cassazione (art. 127).
2. Le cause di invalidità degli atti
2.1. Considerazioni generali
Il codice prevede dettagliatamente i requisiti formali che devono avere i singoli atti del
procedimento penale. Tali requisiti danno luogo al modello legale del singolo atto. L'atto
perfetto è quello che è conforme al modello descritto dalla norma processuale, esso è valido
e produce gli effetti giuridici previsti dalla legge primo fra tutti quello di essere utilizzato dal
giudice nella decisione, ovviamente il giudice lo valuta liberamente ritenendolo attendibile o
meno. L'atto che non è conforme al modello legale può essere invalido quando la singola
difformità rientra in uno dei 4 casi di invalidità previsti dal codice; e cioè l'inammissibilità,
nullità, inutilizzabilità e decadenza.
L'atto è irregolare se la difformità dal modello legale non rientra in una delle cause di
invalidità previste dal codice.
L'atto irregolare è valido: il giudice potrà tenerne conto ai fini della decisione.
L'atto è invalido quando: l'inammissibilità impedisce al giudice di esaminare nel merito di
una richiesta presentata da una parte; la decadenza comporta l'invalidità dell'atto che sia
stato compiuto dove che è scaduto il termine perentorio; la nullità è un vizio che colpisce
l'atto del procedimento che sia stato compiuto senza l'osservanza delle disposizioni stabilite
espressamente dalla legge (art. 177).
L'inutilizzabilità è un’inviolabilità che colpisce direttamente il valore probatorio di un atto.
2.2. Il principio di tassatività
E’ dettato specificamente per la nullità e per la decadenza, tuttavia esso è desumibile
dall'intero sistema delle cause di invalidità.
2.3. L'inammissibilità
Questa causa di invalidità impedisce al giudice di esaminare il merito di una richiesta
avanzata da una parte nel procedimento quando la richiesta non ha i requisiti stabiliti dalla
legge.
Il requisito può riguardare il tempo, il contenuto o può toccare un aspetto formale o ancora
può riguardare la legittimazione al compimento dell'atto.
L'inammissibilità è rilevata dal giudice su eccezione di parte o anche d'ufficio, quando la
rileva il giudice dichiara l'inammissibilità della domanda con ordinanza o sentenza.
2.4. La decadenza. La restituzione nel termine
Denota la perdita del potere di porre in essere un atto a causa del mancato compimento
dello stesso tempo di termine perentorio. Sono denominati tempi perentori quelli che
prescrivono il compimento di un atto entro e non oltre un determinato periodo di tempo.
Sono denominati tempi ordinatori quelli che fissano il periodo di tempo entro il quale un
determinato atto deve essere compiuto.
Sono denominati tempi dilatori quelli con i quali si descrive che un atto non può essere
compiuto prima del loro decorso, la prassi li definisce "tempi liberi".
I termini sono definiti acceleratori quando la legge prevede un limite temporale entro il quale
un determinato atto deve essere compiuto.
Il termine giuridico della decadenza desume che al decorso di un termine perentorio il codice
ricollega due diverse sanzioni processuali. Dal punto di vista soggettivo in relazione al
s