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Conferenza di Salamanca

La conferenza di Salamanca è un evento a cui partecipano oltre 90 paesi. Propone nel 1954 che la scuola abbia il concetto di equità e inclusione alla base di tutto. La conferenza di Salamanca, infatti, ha un titolo che è particolare per l'epoca, che è appunto i bisogni educativi speciali accesso e qualità. Anche se l'Italia già nel '92 era presente una scuola integrata ed inclusa, nel '94 ratifica quelli che sono i bisogni educativi speciali. Ma la prima formazione che parlerà dell'ambito scuola e dei bisogni educativi speciali è del 2013 e la circolare ministeriale n.8 del 6 marzo 2013. La prima volta in cui l'Italia mette le linee guida su tali bisogni. Questa conferenza vuole introdurre il termine INCLUSIONE e vuole in qualche modo cambiare il paradigma pedagogico entro cui fino a quel momento la scuola aveva agito e affermò infatti IL DIRITTO A TUTTI ALL'ISTRUZIONE come era stato sancito.

dalladichiarazione universale dei diritti umani, ma precisò che i sistemi educativi nazionali dovessero tener conto della diversità personale di ciascun individuo e che le persone con bisogni educativi speciali avevano il diritto di accedere alle scuole normali o comune. Essa sottolinea come inclusione sia un fattore fondamentale. Il processo di deistituzionalizzazione, parte da un documento che è la carta di Lussemburgo, Il quale sostiene che vi era un altissimo valore nelle pari opportunità per tutti gli alunni e la necessità dell'educazione di tutti gli allievi all'interno di scuole normali o percorsi individualizzati e personalizzati. Questo farà sì che ci sarà un lungo processo di identificazione e di rimozione delle barriere. Da questo processo, nasceranno due filoni di studi: 1. "NON PIÙ FALLIMENTI" 2. "L'EDUCAZIONE PER TUTTI" Le dichiarazioni che si svilupperanno a seguito di questi due

filoni di ricerca e di studi saranno nel primo caso la promozione del successo scolastico di ogni studente indipendentemente delle caratteristiche individuali sociali e una maggiore coesione socioculturale fra le diverse parti della popolazione.

Il secondo, vuole promuovere un'educazione di base per tutti perché l'educazione è ritenuta l'unica strategia politica realmente inclusiva, che non significa dare a tutti gli stessi strumenti ma significa creare pari opportunità tra i diversi, quindi trovare strade diverse per persone diverse.

Abbiamo visto che l'UNESCO definisce l'inclusione come un processo che identifica prima il rimuova e poi le barriere della piena partecipazione di tutti gli studenti a tutte le attività educative. Ma il termine inclusione ha diverse accezioni e ad oggi non c'è una definizione univoca che soddisfi tutte le compagini. Per esempio, in alcuni territori esistono ancora oggi le scuole differenziali ma loro

pensano e definiscono il proprio sistema educativo come un sistema inclusivo. Una definizione più condivisa è quella dalla professoressa Chiappetta Cajola, la quale parla di inclusione come una tensione etica, cioè un valore interno dell'individuo in quanto apre ad una dimensione nella quale ciascuno partecipa ed è riconosciuto ed è coinvolto nella costruzione del proprio contesto di vita. Con due elementi fondamentali che sono: la dignità e il rispetto dei diritti di ciascuno per l'esercizio della cittadinanza. Ella ci dice fondamentalmente che l'inclusione è una spinta innovativa che l'individuo deve inevitabilmente possedere perché non può essere qualcosa di dettato o proveniente dall'esterno. La dichiarazione di Salamanca è proprio questo che ribadiva, come l'inclusione e la partecipazione fossero essenziali per la dignità dell'uomo e per il godimento dei diritti e per

L'esercizio dei diritti umani e politici, quindi di cittadinanza. Perché nel campo della formazione investire e riflettere sulle strategie di realizzazione dell'inclusione poteva essere realizzato solo se si basava su equalizzazione delle opportunità cioè rendere il processo educativo equo per tutti.

La scuola inclusiva deve offrire un ambiente favorevole per il raggiungimento delle pari opportunità e della piena partecipazione, la quale porterà al successo formativo, ma al tempo stesso richiede uno sforzo concreto da parte delle istituzioni, non solo da parte dell'alunno ma anche da parte di tutti i fautori della scuola, i dirigenti scolastici in primo, gli insegnanti le famiglie e tutto il personale educativo. Quello che vuole fare è di fatto un modificare radicalmente quella che è la prospettiva.

Secondo ... il processo di inclusione nasce solo quando si accende una piena partecipazione, ma questo da solo non basta.

perché non deve solamente accendersi, ma deve anche svilupparsi. L'inclusione rappresenta quindi una disponibilità del contesto ad accogliere l'altro nel diritto di ogni persona e come responsabilità dell'istituzione. Il paradigma pedagogico è la cornice entro cui agisco, il termine inclusione non vuole essere semplicemente un modo diverso di connotare l'integrazione o di un adattamento lessicale, vuole invece esplicitare un modo di pensare ad un sistema scolastico in cui si compia una pedagogia di qualità, in grado di rimuovere gli ostacoli all'apprendimento e di valorizzare la diversità. Il termine inclusione in alcuni casi viene utilizzato in maniera impropria, però di fatto è quello entro cui la scuola deve agire e comunque non solo la scuola, ma in realtà sono tutti i contesti educativi che dovrebbero occuparsi di inclusione perché è inevitabile che il contesto sia eterogeneo.

inclusione deriva dal latino "inclusus" cioè chiudere dentro e l'atto di inserire un individuo, un elemento all'interno di una serie. In ambito educativo il concetto di inclusione richiama inevitabilmente quello di partecipazione. All'interno di un contesto educativo in cui io non vado a trattare elementi materiali, ma vado a trattare materiale umano, l'inclusione richiama inevitabilmente il concetto di partecipazione in cui è il contesto che si ristruttura e si organizza in modo plurale cioè in modo da permettere la partecipazione di tutti gli individui con la loro singolarità e unicità, nel rispetto della diversità di ciascuno.

In Italia il concetto di inclusione, quindi la piena partecipazione di tutti gli individui alla vita scolastica ha avuto un lungo excursus e nasce dopo l'unità d'Italia quando gli individui con disabilità, con differente e di ogni genere vennero esclusi dal sistema scolastico.

Per alcuni gradi di istruzione si accedeva solo se la famiglia aveva economicamente la possibilità di partecipare attivamente, pagando una tassa d'iscrizione, ma anche di pagare una retta scolastica. Ad esempio, non potevano iscriversi in alcune facoltà dell'università coloro che non avevano frequentato il liceo e che non potevano economicamente pagare una tassa. Quindi le fasce meno abbienti della popolazione rimanevano fuori dall'istruzione superiore, da un punto di vista di esclusione sociale.

Dalla parte della disabilità in senso stretto, quindi una disabilità organica, non era possibile iscrivere un ragazzo diversamente abile. Questo fino al 1923 quando la riforma gentile introduce il concetto di classi differenziali o scuole speciali.

Il sistema nazionale non si apre del tutto, ma diciamo apre uno spiraglio agli allievi diversamente abili, questo fa sì che gli allievi si possono iscrivere nelle scuole.

ma non nelle scuole comuni, ma nelle scuole speciali che sono degli istituti assestanti in cui venivano iscritti tutti i ragazzi con delle patologie o che non riuscivano a frequentare la scuola cosiddetta normale. Ne facevano anche parte i ragazzi extracomunitari, tutti quelli che hanno gli stranieri che quindi non conoscevano la lingua e non accedevano alla scuola comune. Questa unione di alunni con patologie diverse più che un miglioramento dal punto di vista educativo si assisteva a un peggioramento degli individui. I quali andavano a contagiarsi perché l'essere umano acquisisce informazioni per imitazione. Per questi alunni non era previsto alcun piano educativo, di fatto dovevano solo stare in quel contesto. La legge per molto tempo fu disattesa perché il territorio non era pronto. Negli anni '70 si fa un passo avanti, ma non nell'ottica dell'inclusione quanto dell'inserimento. Nel 1970 ci si rende conto che le classi speciali e le scuole

Differenziali altro non sono che dei ghetti, cioè delle piccole realtà in cui più che sviluppare l'individuo andava indietro. Immaginate voi ragazzi e alunni di età differenti senza un maestro perché lo scopo era la socializzazione secondo loro e di questi individui che da soli erano in grado di socializzare. Leggerle in questa chiave sicuramente negativo, però per la prima volta entrano a far parte del sistema scuola, per la prima volta la riforma gentile sebbene nei suoi limiti ha riconosciuto queste persone come individui che dovevano quindi andare a far parte di un sistema.

Il passo successivo sono le riforme della legge 118 del 71 e la riforma 517 del 77 che porteranno per la prima volta: alla chiusura nel 71 delle classi speciali e delle scuole differenziali per l'inserimento che il professore d'Alonzo definisce un inserimento selvaggio in cui si introducono proprio fisicamente gli allievi diversamente abili nel contesto educativo.

della scuola comune. Si avrà, dunque, una collocazione fisica dell'allievo in un contesto. Negli anni 70 sia le leggi del 71 che legge del 77, di fatto non prevedono che l'allievo abbia o esegua un percorso educativo, l'allievo l'unica cosa che deve fare è essere collocato nello spazio della classe e venne sconfessato il modello tradizionale per cui le esigenze degli alunni diversamente abili si potessero colmare solo se essi partecipavano ad un progetto formativo in un contesto isolato e questo fu un grandissimo passo avanti perché per la prima volta escono da un ghetto, questo è il contesto di deistituzionalizzazione che riguarda anche le riforme precedenti tra cui la carta di Lussemburgo ed escono a quel contesto per partecipare alla scuola, ma per molti anni la legge venne disattesa per tante ragioni. Innanzitutto, perché i dirigenti scolastici non ammettevano gli alunni diversamente abili nelle classi comuni, sebbene ci fosse una

legge che lo richiedeva. Poiché la scuola perdeva di prestigio. 8Ci sono altre due variabili:• negli

Dettagli
Publisher
A.A. 2022-2023
23 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PED/01 Pedagogia generale e sociale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher fabribusa di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Pedagogia generale e sociale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Palermo o del prof Vinciguerra Maria.