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Le abilità d’aiuto non si formano semplicemente con la conoscenza teorica, ma
per esercitarle è necessario SAPERE, SAPER FARE e SAPER ESSERE e ciò si
realizza mettendosi in gioco e sperimentando in prima persona le proprie
capacità di conoscenza di sé e di apertura agli altri.
Le abilità interpersonale sono:
attuare una comunicazione efficace che permetta lo sviluppo di legami
autentici fondati sulla fiducia e l’accettazione,
rafforzare e manifestare sensibilità verso gli altri,
prestare attenzione (abilità che permette di centrare la relazione d’aiuto
sul vissuto della persona e che serve per comunicare un profondo
interesse per l’altro),
saper ascoltare,
saper porre domande,
saper gestire i gruppi.
Le abilità d’aiuto sono:
1. ascolto attivo: Imparare ad ascoltare attivamente è possibile. L’ascolto
si basa sulla capacità di comprendere una prospettiva diversa dalla
propria, di considerare le caratteristiche e le peculiarità dell’altro, di
tenere presente la sua prospettiva durante l’interazione.
Saper ascoltare significa, dunque, essere centrati sull’interlocutore e sulle
sue esigenze. Ma non basta, occorre qualcosa di diverso: bisogna saper
ascoltare attivamente.
L’ascolto attivo permette di apprendere informazioni non evidenti e
segnali deboli, come potrebbero essere quelli emessi attraverso il
linguaggio del corpo. Quanto più siamo attenti agli indizi esterni che le
persone ci presentano tanto più siamo in grado di dare ascolto ai
messaggi interni che riflettono le loro esperienze interiori.
L’ascolto attivo, nella relazione d’aiuto, diventa ascolto empatico.
L’empatia è la capacità di sentire le emozioni di un’altra persona; questo
sentire è un temporaneo ingresso nei vissuti dell’altro al fine di
comprenderne lo stato interiore, i pensieri, le reazioni.
Le 5 tappe dell’ascolto attivo sono:
Ascoltare il contenuto: cosa viene detto in termini di fatti e idee,
Capire le finalità e il significato emotivo di ciò di cui sta
parlando il nostro interlocutore: capire perché sta dicendo
quella cosa,
Valutare la comunicazione non verbale: il linguaggio del corpo,
il tono della voce, ecc.
Controllare la propria comunicazione non verbale: avere la
consapevolezza dei messaggi che si stanno inviando con la propria
comunicazione non verbale,
Ascoltare con partecipazione senza giudicare: cercare di
mettersi nei panni dell’altro, capire cosa influenza i suoi sentimenti.
Comportamenti dell’ascolto empatico:
mostrare attenzione ed interesse
mantenere un contatto visivo
chiamare per nome
avere un linguaggio congruente del corpo
non interrompere
parafrasare
verificare la comprensione
verificare i sentimenti percepiti
descrivere gli stati d’animo individuati senza giudicare (ad es.
“ho l’impressione che lei sia insoddisfatto”)
chiedere conferma.
Comportamenti di chi non ascolta:
non guardare negli occhi chi parla
non riuscire a stare fermo
fare troppe domande o interrompere
essere aggressivi e non obiettivi
fraintendere
non smettere mai di parlare
non essere umili.
È difficile ascoltare attivamente se: (ostacoli emotivi e mentale)
la persona ci piace troppo o troppo poco
la nostra situazione privata è turbolenta
se ci sono importanti barriere su valori, cultura e religione.
Ostacoli esterni dell’ascolto sono:
uso occhiali scuri, posizione del corpo inadeguata
rumore e movimento nella stanza
mancanza di privacy
momento inadatto
mancanza di predisposizione di un contesto favorevole.
2. Ascolto di sé: nell’individuo, un sano equilibrio implica necessariamente
anche l’ascolto e la presa di consapevolezza dei propri bisogni, emozioni
e sentimenti.
Ascoltarsi è utile per individuare ciò che desideriamo e per scoprire cosa
fare per ottenerlo. Il mancato ascolto di sè corrisponde alla mancata
accettazione di ciò che ci rende infelici e non ci fa stare bene e tale
situazione determina la propensione ad utilizzare sempre gli stessi
schemi di comportamento, perdendone la coscienza e il controllo. È
importante perché è un modo unico e insostituibile per mettere in luce le
nostre esigenze e fare chiarezza e ordine nella nostra vita. Dunque, si
tratta di uno strumento che apporta consapevolezza e comprensione
nella nostra quotidianità. La mancanza di ascolto di sé si manifesta con
stanchezza e insofferenza verso se stessi e le altre persone.
Ascolto di sé vuol dire auto-osservarsi, riattivando spesso anche emozioni
e parti di sé che vengono solitamente ignorate e lasciando che si
esprimano liberamente senza bloccarle.
Imparare l’ascolto di sé significa accorgersi di quello che recepiamo
dell’altro e che sentiamo di dare all’altro, nonché predisporsi ad un
atteggiamento di apertura attiva.
3. Competenza comunicativa: L’efficacia della relazione d’aiuto non
passa solo attraverso le nostre capacità relazionali, ma anche dal modo
in cui comunichiamo. Cosa comunichiamo:
materiale cognitivo: aspetti legati al contenuto (informazioni,
idee, problemi, obiettivi, giudizi, ordini, consigli, critiche, ecc.)
materiale emotivo: aspetti legati alla relazione (bisogni,
atteggiamenti, emozioni, sentimenti, sicurezza, insicurezza,
accettazione, rifiuto, interesse, assenso, disinteresse, ecc.).
Non si comunica qualcosa solo con le parole o con l’atteggiamento,
ma anche scegliendo e «sfruttando» le opportunità offerte dalle
circostanze e dai luoghi. Non si può non comunicare: l’attività o
l’inattività, le parole o il silenzio hanno valore di messaggio:
influenzano gli altri e gli altri non possono non rispondere a queste
comunicazioni e in tal modo comunicano anche loro.
Cura educativa
Negli ultimi tempi si è cominciato a parlare di cura ambito pedagogico. Quando
se ne parla viene relegata in :
Ambito naturale: ovvero cura genitoriale, familiare.
Patologia: ovvero come terapia, intervento intenzionale finalizzato a
ridurre un danno, a prevenire un disagio.
Ambito educativo: rappresenta il rilancio di un sapere autenticamente
pedagogico per un aiuto efficace alla persona.
Un sapere in grado di:
Superare l’approccio specialistico e l’attenzione esclusiva agli aspetti
patologici,
Recuperare una visione ampia e globale della persona,
Far sì che in ciascun individuo si possa realizzare il proprio poter essere
più pertinente in considerazione del fatto che compito dell’educazione è
promuovere nel soggetto la cura di non lasciarsi catturare dall’anonimia
(banalità) e di operare scelte consapevoli .
La cura è, dunque, finalizzata a promuovere il pieno benessere intellettuale,
emozionale, spirituale e fisico di «chi riceve cura».
Si potrebbe individuare l’essenza della cura nell’essere una pratica relazionale
che impegna chi-ha-cura nel fornire energie e tempo per soddisfare i bisogni
materiali e immateriali dell’altro, in modo da creare le condizioni che
consentono all’altro di attualizzare il proprio poter essere, sviluppando la
capacità di aver cura di sé.
La cura educativa mira a preparare l’altro a praticare una cura che preservi la
vita dalle minacce, rendere il soggetto capace di riparare la vita quando si
creano situazioni di sofferenze e rendere il soggetto capace di vivere una
pluralità di differenti modi del divenire il proprio essere.
Le caratteristiche che la contraddistinguono:
RICETTIVITÀ: capacità di fare posto all’altro, ai suoi pensieri e ai suoi
sentimenti,
RESPONSIVITÀ: saper rispondere adeguatamente agli appelli dell’altro
al fine di promuovere il suo benessere,
DISPONIBILITÀ COGNITIVA ED EMOTIVA: capacità di mettere a
disposizione le proprie capacità e risorse personali,
EMPATIA: saper stare col pensiero e col sentire in prossimità dell’altro,
partecipando alla sua singolarità,
ATTENZIONE SENSIBILE: capacità di individuare le potenzialità e i punti
deboli dell’altro,
ASCOLTO: mettere l’altro al centro della relazione al fine di comprendere
quello di cui l’altro ha bisogno,
PASSIVITÀ ATTIVA: saper attendere, lasciare all’altro il tempo di cui ha
bisogno per rispondere affermativamente all’appello ad esistere,
RIFLESSIVITÀ: atteggiamento che considera ogni situazione non come
un caso riconducibile ad una regola generale, ma nella sua singolarità,
SENTIRE NELLA CURA: capacità di avere fiducia nell’altro al fine di non
essere intrusivi.
Da queste caratteristiche discendono quattro elementi caratterizzanti:
1. Attenzione: primo passo dell’atteggiamento empatico. Rendersi
disponibili a far posto alle manifestazioni.
2. Responsabilità: è sia il modo con cui è necessario occuparsi dell’altro
sia il modo per far sentire l’altro accettato e accolto.
3. Competenza: è il modo con cui si attua l’intenzione della cura. Senza
competenza non c’è relazione d’aiuto.
4. Reattività: ogni pratica di cura per essere tale ha bisogno di essere
vissuta dispiegando tutte le risorse disponibili.
Aver cura non significa avere interesse per l’altro, ma sentire la necessità della
cura nei confronti dell’altro e operare sotto la spinta di un vero e proprio
bisogno.
La cura è, dunque, da intendersi come una vera e propria dimensione umana,
che agisce dentro i contesti della relazione. Una relazione che si realizza
sempre e comunque in un rapporto diadico, anche se ci si occupa di pluralità di
soggetti.
La cura può essere:
Inautentica: consiste nel sostituirsi dominando, nel fare al posto…,
l’altro è visto solo come oggetto di cure, come portatore di bisogni non
manifesti e/o avvertiti. Poco viene lasciato alla progettualità di chi è
curato, alla sua autonomia, alla sua responsabilità, alla sua intenzionalità,
ai suoi desideri, alla possibilità di esprimere se stesso.
Autentica: è una cura che non si limita al bisogno dell’altro, ma è diretta
alla sua esistenza, alla sua formazione, ai suoi desideri. È una cura che
lascia all’altro progettualità e libertà, affinché dive