FISIOPATOLOGIA DEL FEGATO
Anatomia del fegato- macroscopica
• organo voluminoso, suddiviso in un lobo destro e un lobo sinistro e, posteriormente, in
due porzioni più piccole: il lobo caudato e il lobo quadrato.
• È rivestito da una sottile ma resistente capsula fibrosa, detta capsula di Glisson, che lo
protegge e ne mantiene la forma. L’organo si ancora al diaframma mediante il legamento
falciforme, che ne permette la stabilità.
• Rapporti: faccia inferiore si trova in relazione con la cistifellea, mentre a livello dell’ilo
epatico convergono le principali strutture vascolari e biliari: la vena porta, l’arteria
epatica e i dotti biliari.
• presenta una doppia vascolarizzazione: da un lato riceve sangue arterioso dall’arteria
epatica, dall’altro sangue ricco di nutrienti proveniente dalla vena porta.
Anatomia del fegato- microscopica
• organizzata in unità funzionali dette lobuli epatici, convenzionalmente rappresentati
come esagoni. Al centro del lobulo si trova la vena centrolobulare, mentre alla periferia si
collocano gli spazi portali, che contengono tre elementi fondamentali: un ramo
dell’arteria epatica, un ramo della vena porta e un dotto biliare.
• Gli epatociti si dispongono in cordoni radiali diretti verso la vena centrolobulare. Tra i
cordoni scorrono canalicoli biliari, che raccolgono la bile prodotta dagli epatociti. Il
sangue proveniente dall’arteria epatica e dalla vena porta fluisce attraverso i sinusoidi
epatici, capillari a parete sottile e endotelio fenestrato, che permettono un intenso
scambio con gli epatociti attraverso lo spazio di Disse.
• In questo spazio sono presenti le cellule stellate di Ito, normalmente inattive, che
assumono un ruolo fondamentale in condizioni patologiche: stimolate da citochine
infiammatorie, si trasformano in miofibroblasti con attività fibrogenica, contribuendo allo
sviluppo della fibrosi epatica. Un altro tipo cellulare rilevante è rappresentato dalle cellule
di Kupffer, macrofagi residenti che svolgono un ruolo chiave nei processi immunitari.
• un’altra unità funzionale descritta è l’acino epatico, che permette di distinguere zone
diverse in base alla vascolarizzazione e quindi alla resistenza agli insulti:
a) Zona 1 (periportale): è la più vicina agli spazi portali, riceve sangue ricco di ossigeno e
nutrienti, ed è quindi più resistente al danno ipossico.
b) Zona 2: intermedia, con caratteristiche miste.
c) Zona 3 (centrolobulare): la più distante dall’apporto arterioso, riceve sangue meno
ossigenato e con maggiori metaboliti, ed è quindi più vulnerabile a fenomeni di ipossia
e necrosi.
• Vie biliari: La bile prodotta dagli epatociti viene raccolta nei canalicoli biliari, che
decorrono tra i cordoni cellulari. Questi confluiscono nei canali di Hering e
successivamente nei dotti biliari, localizzati negli spazi portali. I dotti più piccoli si
uniscono formando i dotti epatici destro e sinistro, che a loro volta confluiscono nel dotto
epatico comune. Quest’ultimo si unisce al dotto cistico, proveniente dalla cistifellea,
formando il coledoco. Infine, il coledoco si unisce al dotto pancreatico principale, e
insieme sboccano nel duodeno attraverso la papilla duodenale maggiore, regolando così
il passaggio della bile e del succo pancreatico nel tratto digestivo.
Funzioni del fegato
• Una delle principali è la funzione biosintetica: in esso vengono prodotte proteine
essenziali come le proteine plasmatiche (in particolare l’albumina), i fattori della
coagulazione, le apoproteine e le proteine deputate al trasporto di ferro e rame. Sempre a
livello epatico vengono sintetizzate le proteine di fase acuta, coinvolte nella risposta
infiammatoria.
• rappresenta la sede centrale di molte vie metaboliche, in cui avvengono la sintesi e
l’immagazzinamento di glicogeno, lipidi e proteine, garantendo così riserve energetiche
pronte per l’organismo.
• funzione di rilievo è quella detossificante. Il fegato è in grado di metabolizzare e
neutralizzare sostanze tossiche, sia esogene sia endogene. Alcuni farmaci, inoltre,
diventano attivi solo dopo aver subito una trasformazione a livello epatico, sottolineando
l’importanza di questo processo per la loro efficacia.
• il fegato è deputato alla produzione della bile, indispensabile sia per l’eliminazione di
prodotti di scarto, sia per la digestione dei lipidi.
La bile
• è un liquido di colore giallo-verde, prodotto dagli epatociti in una quantità di circa 600 ml
al giorno. Dopo la secrezione, essa segue il percorso delle vie biliari fino a raggiungere
l’intestino. La sua composizione comprende acqua, elettroliti, lecitina, colesterolo, acidi
biliari e pigmenti biliari.
• Gli acidi biliari primari- acido colico e acido chenodesossicolico, derivati dal colesterolo,
vengono inizialmente coniugati con glicina e taurina. Successivamente, a livello
intestinale, la flora batterica li modifica trasformandoli in acidi biliari secondari, che in
gran parte vengono riassorbiti e riportati al fegato attraverso il circolo enteroepatico,
mentre una quota viene eliminata con le feci o con le urine. La funzione principale di
questi acidi è quella di solubilizzare i lipidi formando micelle, facilitando così l’azione
della colipasi e la digestione dei grassi alimentari.
• I sali biliari, derivati dagli acidi biliari, seguono lo stesso destino: in gran parte vengono
riciclati attraverso l’intestino e riportati al fegato, contribuendo al mantenimento del ciclo
enteroepatico.
• Altra componente fondamentale sono i pigmenti biliari- derivano dalla degradazione del
gruppo eme, contenuto nelle proteine emoglobiniche. L’eme viene dapprima convertito
in biliverdina grazie all’azione dell’eme-ossigenasi, e successivamente trasformato
in bilirubina dalla biliverdina-reduttasi.
• La bilirubina, in questa fase non coniugata - o indiretta, è liposolubile e viaggia nel sangue
legata all’albumina fino a raggiungere il fegato. Qui viene resa idrosolubile attraverso un
processo di coniugazione con acido glucuronico, che la trasforma in bilirubina coniugata-
o diretta.
• Questa forma viene secreta nella bile e riversata nell’intestino, dove la flora batterica la
trasforma in urobilinogeno. Parte di questa sostanza viene eliminata con le feci sotto
forma di stercobilina, responsabile della colorazione marrone, mentre una piccola quota
viene riassorbita e riportata al fegato o escreta con le urine.
• La distinzione tra bilirubina diretta e indiretta è clinicamente molto importante, poiché
permette di identificare diverse condizioni patologiche, come i vari tipi di ittero.
PATOLOGIA EPATICA
• Quando si sospetta una malattia del fegato, i primi strumenti diagnostici a disposizione
sono gli esami biochimici.
a) prove di funzionalità epatica: valutare lo stato degli epatociti e delle vie biliari.
b) Transaminasi: ALT e AST- marcatori sensibili di danno epatico, poiché vengono
rilasciate nel sangue in seguito alla lesione degli epatociti.
c) Fosfatasi alcalina: enzima localizzato sulle membrane dei canalicoli biliari: valori
elevati suggeriscono patologie delle vie biliari, come le ostruzioni extraepatiche.
d) Gamma-glutammil transpeptidasi: cui concentrazione aumenta nei casi di ostruzione
biliare.
e) Bilirubina: può essere misurata nella sua forma coniugata/diretta e non
coniugata/indiretta. Questo confronto consente di distinguere i diversi tipi di ittero,
differenziando le forme preepatiche da quelle post-epatiche.
f) Test di coagulazione: molte malattie epatiche compromettono la sintesi delle proteine
plasmatiche, inclusi i fattori della coagulazione.
• Le patologie epatiche possono avere origine diversa: infezioni, tossicità da farmaci o
sostanze chimiche, abuso di alcol, disordini metabolici, ischemia, alterazioni
colestatiche o processi neoplastici. Qualunque sia l’agente eziologico, il fegato reagisce
al danno attraverso meccanismi specifici che includono infiammazione, necrosi, fibrosi e
rigenerazione.
• La risposta infiammatoria a livello epatico prende il nome di epatite- che può
manifestarsi in forma acuta o cronica.
Epatite acuta: l’infiammazione coinvolge i lobuli epatici ed è spesso legata a infezioni
o virali o a danni tossici. Non è il virus a determinare la maggior parte del danno, ma la
risposta immunitaria e infiammatoria che ne consegue. Ciò porta alla formazione di aree
di necrosi, talvolta estese, mentre negli spazi portali questo fenomeno è generalmente
più limitato. Nonostante il danno, il fegato ha una notevole capacità di rigenerazione e,
nelle epatiti acute, può ripristinare la propria funzionalità.
Epatite cornica: l’infiammazione persiste nel tempo e si localizza soprattutto negli spazi
o portali e nelle zone di interfaccia tra portali e lobuli. Questo stimola la formazione
progressiva di fibrosi, con la comparsa di setti fibrosi che collegano diverse aree del
fegato. In parallelo si attivano processi rigenerativi, come la proliferazione degli epatociti
e delle cellule staminali epatiche: reazione duttulare. La concomitanza di necrosi, fibrosi
e rigenerazione porta, nei casi più gravi, alla formazione di noduli circondati da tessuto
fibroso, caratteristici della cirrosi epatica.
Steatosi epatica: accumulo eccessivo di lipidi all’interno degli epatociti. Questo avviene
o a causa di una disfunzione del metabolismo lipidico, che porta alla formazione di gocce di
grasso citoplasmatiche sempre più voluminose. La steatosi, pur rappresentando una
condizione patologica, è potenzialmente reversibile, soprattutto se si rimuove la causa
che l’ha determinata, come l’abuso di alcol o l’eccesso calorico.
Necrosi epatica: Il danno epatico può manifestarsi anche con fenomeni di necrosi, che
o può essere localizzata “a macchie” o assumere forme più diffuse, soprattutto nella zona
centrolobulare, particolarmente vulnerabile all’ipossia e agli agenti tossici. Un esempio
tipico è la tossicità da paracetamolo, che rappresenta una delle principali cause
di epatite fulminante da farmaci.
Fibrosi epatica: Un passaggio cruciale nella progressione delle malattie epatiche è lo
o sviluppo della fibrosi. Questo processo coinvolge diverse popolazioni cellulari, come
le cellule di Kupffer e i linfociti, che rilasciano citochine e chemochine. Tali mediatori
attivano le cellule stellate di Ito, normalmente quiescenti nello spazio di Disse. Una volta
stimolate, esse acquisiscono caratteristiche contrattili e si trasformano in miofibroblasti,
capaci di produrre abbondanti fibre di collagene. Il principale mediatore pro-fibrotico è
il TGF-β, che gu
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