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LA TEORIA DELL’ATTRIBUZIONE
La teoria dell’attribuzione (Fiske e Taylor – Hogg e Abrams) si basa sul presupposto che ogni individuo
cerca di comprendere le possibili cause (esterne o interne) dei propri comportamenti e di quelli che
osserva, stabilendo costantemente relazioni causa-effetto per dar loro un significato. Il processo non
sempre è consapevole, ma si attiva quando:
Al soggetto che percepisce è posta una domanda diretta sul comportamento di un altro;
Accade un evento inaspettato;
Il soggetto che percepisce prova sensazioni di fallimento/perdita di controllo.
L’errore fondamentale di attribuzione sta nella tendenza ad attribuire le cause del comportamento
sovrastimando il ruolo delle persone rispetto all’ambiente.
Una volta attivato il processo, i comportamenti vengono attribuiti a cause interne o esterne in funzione del
livello di:
1. Consistenza: se una persona si comporta nello stesso modo in simili situazioni, siamo più propensi
a vedere il comportamento internamente motivato (ad es. un amico sempre in ritardo);
2. Distintività: se un comportamento è distintivo (unico per una situazione) siamo meno propensi ad
attribuire spiegazioni interne (ad es. se l’amico è sempre puntuale, attribuiamo il ritardo a qualche
difficoltà imprevedibile);
Appunti secondo sub-ciclo ORGANIZZAZIONE AZIENDALE Dario Cannata
3. Consenso: quando la persona che giudichiamo si comporta in modo differente dagli altri, siamo
indotti a pensare che quel comportamento sia internamente motivato;
4. Privacy del fatto: azioni compiute in assenza di altri sono più probabilmente giudicate come
motivate internamente. Quando altri sono presenti, attribuiamo l’azione alla pressione sociale;
5. Status: in generale, persone high-status sono considerate responsabili delle loro azioni. Si pensa
che abbiano più controllo e compiono le azioni perché hanno scelto di farlo e non perché devono.
In generale, quando tutte le dimensioni sono alte, il soggetto che percepisce tende ad attribuire il
comportamento della persona a fattori interni; quando il consenso e la distintività sono bassi, ma la
coerenza è alta, si tenderà ad attribuire il comportamento dell’altro a fattori interni.
Nell’identificare le cause del comportamento individuale, spesso si commettono errori sistematici (o bias)
dovuti ad automatic-information processing:
nel giudizio del comportamento altrui, si commette il bias attributivo di base: vi è la tendenza a
sottovalutare l’influenza dei fattori situazionali e a sopravvalutare l’influenza dei fattori personali
(ad es. arriva in ritardo perché è una persona superficiale);
nel giudizio del comportamento proprio, si commette il bias auto-funzionale: gli individui si
attribuiscono il merito del successo, attribuendo il proprio successo a fattori interni.
Per evitare di incappare in questi errori è necessario usare il controlled-information processing: fermarsi,
riflettere sulla situazione e sulla persona e cercare di identificare sia le forze situazionali sia le cause
personali del comportamento.
TOPIC 5. L’IDENTITÀ
Le società e le organizzazioni non sono dei luoghi neutri: chi siamo e da dove veniamo giocano un ruolo di
primo piano che deve essere analizzato, capito e gestito.
La teoria economica tende a concepire l’individuo come un attore economico, universale, razionale e
votato alla massimizzazione della propria utilità attesa, tendenzialmente analizzato in funzione del suo
“merito”. Questo è ciò che accade? Non nella realtà dei fatti. Le competenze ed il merito sono filtrati
dall’identità dell’individuo e a parità di competenze il trattamento può essere differenziato. L’identità conta
quindi tanto per l’individuo quanto per le organizzazioni.
In tanti si sono dedicati al tema dell’identità: la sociologia e la psicologia, grazie ai contributi della teoria
dell’identità e della teoria dell’identità sociale, hanno partorito l’idea di un’identità dell’individuo non
associabile ad un’entità psicologicamente autonoma, avente natura sociale (quindi influenzata dalla società
e dalla sua struttura). Gli individui quindi sono caratterizzati da un comportamento sociale che si colloca
all’interno di un contesto definito dallo spazio e dal tempo.
Nelle organizzazioni e nei luoghi di lavoro, l’identità dell’individuo deve essere considerata lungo due
direttrici:
come l’individuo “vede” se stesso (l’individuo si auto-percepisce, si definisce e si identifica con
determinati gruppi sociali): si parla di identificazione;
Appunti secondo sub-ciclo ORGANIZZAZIONE AZIENDALE Dario Cannata
come gli altri “vedono” l’individuo (gli altri percepiscono l’individuo, lo definiscono e lo
categorizzano in determinati gruppi sociali): si parla di categorizzazione.
L’IDENTIFICAZIONE E LA CATEGORIZZAZIONE
Identificarsi è una condizione individuale. Ma i manager e i leader possono creare le condizioni per favorire
l’identificazione.
Quando le persone sono chiamate a definire se stesse, utilizzano un duplice sistema di caratteristiche:
Identità individuale: attributi che sono propri dell’individuo, riferiti alla sua unicità e specificità
(attributi corporei, gusti personali, ...);
Identità sociale: caratteristiche che le persone possiedono in virtù dell’appartenenza a gruppi o a
categorie sociali (professionali, religiose, etniche, etc.).
Emerton, politologo di Harvard, affermava, nel 1960, che “la sola affermazione possibile a proposito di una
nazione è che ci sono persone che si sentono una nazione”.
Herbert Simon, vincitore del premio Nobel dell’economia (senza essere economista, l’unico oltre a
Kahneman), in “Administrative Behavior” scrisse “le decisioni non sono prese da organizzazioni, ma da
individui che agiscono come membri dell’organizzazione”. Cosa significa? La relazione individuo-
organizzazione va al di la di una relazione economica e assume significati che arrivano ad influenzare il
concetto che l’individuo ha di sé.
Il comportamento umano si sviluppa lungo un continuum che vede sui poli il comportamento:
interpersonale: azioni compiute da un individuo in quanto “tale”;
intergruppo: azioni compiute da un individuo in quanto “membro di un gruppo”.
Quanto più ci si sposta sul polo interpersonale tanto più si vede variabilità nelle azioni; quanto più ci si
sposta sul polo intergruppo tanto più si vede uniformità di comportamento.
Pertanto, come scrive Bergami, “Le nostre teorie e il nostro modo di pensare e ragionare devono spiegare
le relazioni sociali delle persone in qualità di membri di un gruppo e non come persone singole”.
Cosa spinge un individuo ad aderire cognitivamente ad un gruppo assumendo comportamenti intergruppo?
Per rispondere, chiediamoci: quanti colori ci sono in un arcobaleno? Di norma, in un arcobaleno siamo
portati a individuare 7 bande di colori relativamente discrete, mentre in realtà il fenomeno è una
distribuzione continua di luce di diverse lunghezze d’onda. L’apparato cognitivo ha automaticamente diviso
il continuum di luce in 7 categorie di colori, ognuna delle quali comprende differenti lunghezze d’onda.
Questo accade perché il mondo è troppo complicato da comprendere senza riuscire in qualche modo a
semplificarlo e a ordinarlo in categorie. Non disponendo della capacità cognitiva necessaria per rispondere
a ogni singola situazione o evento, sviluppiamo modelli semplificati della realtà. Poiché le categorie
fungono da strumenti di semplificazione e ordinamento, discriminano con chiarezza chi vi appartiene da chi
non vi appartiene. Riusciamo così a mettere a fuoco un mondo altrimenti poco decifrabile, ma
raggruppando elementi in categorie simili accentuiamo le differenze fra diverse categorie e attenuiamo le
differenze all’interno della stessa categoria. Questo effetto è quello della categorizzazione sociale.
Quali sono i vantaggi della categorizzazione?
Appunti secondo sub-ciclo ORGANIZZAZIONE AZIENDALE Dario Cannata
dividere il mondo in categorie ci aiuta a semplificarlo e ad ordinarlo, ma ci aiuta anche a definire noi
stessi, a collocarci rispetto agli altri e a comparare i gruppi di appartenenza. Il nostro senso di
identità è strettamente legato alle appartenenze ai gruppi e si basa sulla comparazione rispetto ad
altri gruppi;
l’individuo, differenziando i gruppi, rinforza l’autostima. Poiché le persone preferiscono avere un
concetto di sé positivo e poiché parte del concetto di sé di una persona è definito tramite
affiliazioni, saremo più propensi a vedere quei gruppi sotto una luce favorevole. Un individuo tende
a rimanere in un gruppo se questo contribuisce positivamente all’autostima.
Mediante classificazione/categorizzazione, l’individuo utilizza uno schema mentale per dare senso a ciò che
ha percepito. In caso di percezione sociale, lo stimolo è confrontato con le informazioni a esso connesse
con un prototipo, ovvero con una rappresentazione di un membro idealtipico di un gruppo. Tale prototipo
è, a sua volta, condizionato da una dialettica interno-esterno, da una dialettica tra caratteristiche
dell’individuo che percepisce e caratteristiche del contesto socio culturale in cui l’individuo è immerso.
L’esito del processo di confronto dà luogo all’inclusione della persona oggetto dello stimolo all’interno di
una o più categorie.
Il processo di categorizzazione si può sviluppare verso se stessi o verso gli altri. Se categorizzazione ed
identificazione sono allineate significa che io mi definisco come gli altri mi definiscono; se sono disallineate
il modo in cui io mi definisco diverge da come gli altri mi definiscono.
Categorizzare qualcuno modifica il modo in cui lo vediamo. Misurandolo attraverso le lenti del prototipo, gli
assegniamo attributi prototipici, mettendo in atto una de-personalizzazione, ovvero un’attribuzione di
caratteristiche del gruppo/categoria di cui fa parte. La de-personalizzazione è l’anticamera degli stereotipi,
definiti come sistemi di credenze/convinzioni relative a caratteristiche di un gruppo/categoria sociale. E lo
stereotipo, a sua volta, contribuisce al pregiudizio, che agisce a livello emotivo.
La percezione, quindi, influisce sul giudizio dell’altro: farsi un’impressione di una persona basandosi sul viso
ha a che fare molto con la percezione e poco con l’analisi, e numerosi studi sul management hanno messo
in evidenza che gli amministr