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In questo senso l'auspicata adozione di un sistema di valutazione delle performance organizzative
ispirato a logiche di trasparenza, fondato su criteri comparativi ed indicatori misurabili, gestito da
organismi indipendenti, nonché il consolidamento di sistemi di responsabilizzazione su obiettivi
strategici e risultati oggettivamente riconoscibili consentono di ridare dignità ed autonomia alla
funzione manageriale, limitando le ingerenze del politico nelle scelte di gestione. Con questi
presupposti anche la scelta dei direttori generali parrebbe basata su elementi più oggettivi e
quindi più svincolata da logiche di apparte-nenza, fedeltà e spartizione politica.
È opportuno a questo punto soffermarsi su alcune delle maggiori criticità che caratterizzano il
comportamento dei politici nel sistema pubblico italiano e che rappresentano un fattore di
ostacolo o di freno all'attuazione di un profondo rinnovamento delle amministrazioni.
In primo luogo i politici e gli amministratori, soprattutto a livello locale, non vantano talora
conoscenze specifiche sul funzionamento delle istituzioni pub-bliche, con riferimento ad esempio
al diritto pubblico, all'economia dei sistemi pubblici, alle logiche gestionali, alle risultanze contabili.
Alla scarsa familiarità con la strumentazione di carattere manageriale si affianca spesso la
mancanza di volontà di utilizzarli come strumento di dialogo con la struttura organizzativa; si pensi
ad esempio alla formulazione ed approvazione del PEG o alla declinazione delle metodologie di
valutazione del personale e della dirigenza che traducono operativamente le politiche delle risorse
umane che si intendono attuare all'interno dell'ente. L'impossibilità di utilizzare un «linguaggio»
comune rende più difficoltosa una feconda integrazione fra il momento politico e quello tecnico.
In particolare la resistenza da parte degli amministratori a fissare obiettivi precisi di produttività, di
qualità e quantità dei servizi può essere collegata ai seguenti comportamenti distorti:
- impedire che venga sottratto alla politica un potere di valutazione discrezio-nale, secondo il
quale si tende a premiare o punire in base a criteri fiduciari o di fedeltà politica piuttosto che in
base al merito e alla qualità delle performance;
- evitare di impegnare tempo lavoro per la formulazione di obiettivi sfidanti ma realistici, che
orientino la struttura verso la realizzazione delle finalità specifiche del mandato. Questo
comporterebbe da parte dei politici l'esigenza di addentrarsi nella specifica conoscenza della
macchina amministrativa, cogliendo i punti di debolezza di questa e gli eventuali ostacoli alla
realizzazione dei progetti ed inducendo pertanto ad una rivisitazione più realistica dei programmi
dichiarati.
Un secondo ordine di problemi è collegato all'assenza di una leva economica adeguata,
soprattutto per quanto concerne le figure di assessore e consigliere all'interno degli enti di
dimensioni medie e medio-piccole. I modesti compensi previsti rappresentano spesso un
disincentivo per profili professionali altamente qualificati e tendono invece a favorire l'ingresso di
persone con competenze e conoscenze non adeguate al ruolo da ricoprire.
Un altro aspetto critico è rappresentato dalle non poche situazioni in cui in capo alla medesima
persona vengono a coincidere un ruolo dirigenziale ed un incarico di natura politica, seppure
all'interno di amministrazioni diverse.
Ad oggi è prevista un' incompatibilita fra ruoli dirigenziali e incarichi politici solo nel caso di
posizioni di responsabilita di gestione del personale, non invece per figure manageriali preposte ad
altri settori di attività dell'ente. Un allargamento dei casi di incompatibilità sarebbe tuttavia
opportuno. Numerosi possono essere infatti i casi di conflitto di interesse che si verificano
allorquando la partecipazione della persona ad un processo decisionale in virtù del suo ruolo di
dirigente ed esperto tecnico di un ente consente di entrare in possesso di informazioni che non
dovrebbero essere divulgate ad altre amministrazioni oppure quando il
dirigente assume decisioni tecniche anche e soprattutto in ragione di motivazioni politiche
collegate all'incarico amministrativo che ricopre nell'altro ente. Si pensi ad esempio al caso in cui
un dirigente dell'amministrazione provinciale, preposto alla pianificazione del territorio e
conseguentemente alla redazione del PTCP (Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale), il
principale strumento di programmazione di area vasta previsto dalla vigente legislazione, ricopra
contestualmente il ruolo di Sindaco di uno dei Comuni del territorio provinciale.
Un'ulteriore criticità è rappresentata dalla relativa scarsa capacità di programmare azioni ed
interventi nel medio e lungo periodo, anche a motivo dell'orizzonte temporale del mandato
amministrativo e della crescente pressione dell'opinione pubblica sulla realizzazione di risultati
tangibili sin dai primi giorni del mandato stesso. Focalizzando l'attenzione principalmente
sull'ordinaria amministrazione o su scelte particolari finalizzate alla massimizzazione del consenso,
la classe politica mostra spesso una cronica difficoltà ad assumere decisioni improntate alla reale
creazione di valore pubblico e ad elaborare politiche di sviluppo di ampio respiro. Ciò è in larga
misura correlato al fatto che gli amministratori si trovano spesso a dover approntare risposte quasi
immediate a problemi strutturali, che richiederebbero per loro natura interventi complessi ed
articolati.
Nell'ambito delle amministrazioni pubbliche si palesa negli ultimi anni una crescente esigenza di
pensiero strategico e di adozione da parte degli amministratori di strumenti che favoriscano la
formulazione e l'assunzione di scelte strategiche.
Fra i fattori che sollecitano la formulazione di una visione strategica si possono ricordare:
1. gli stimoli ad abbandonare una logica di autoreferenzialità e a confrontarsi con l'ambiente
non più sulla base del mero esercizio di poteri formali ma operando scelte sottoposte a verifiche di
fattibilità;
2. l'accresciuto livello di competitività, la progressiva apertura a logiche di mercato ed in
generale l'aumentata attenzione del cittadino e degli utenti alla qualità dell'offerta pubblica. Essi
inducono l'ente pubblico a formulare proposte di intervento e di risposta ai bisogni in grado di
generare consenso politico e soddisfazione in ordine ai livelli di servizio e di intervento, ovvero
consenso sulla qualità dell'azione amministrativa. Conseguentemente la pubblica amministrazione
deve sviluppare un' approfondita e continua riflessione strategica che porti all'individuazione di un
nuovo posizionamento all'interno dell'ambiente, selezionando le prioritarie aree di intervento
diretto, le più opportune forme di gestione dei servizi, le modalità più consone per il
perseguimento dell'interesse pubblico in un mutato contesto istituzionale e socio-economico;
3. la rilevanza assunta dalla dimensione territoriale nei processi di globalizzazione in atto;
4. la riforma dell'architettura istituzionale del Paese (federalismo e decentra-mento) che ha
contribuito a determinare un nuovo scenario per gli enti locali, in particolare per quanto riguarda il
loro spazio di decisionalità strategica.
Formulare una riflessione strategica sullo sviluppo dell'ente è condizione per bilanciare l'orizzonte
temporale di breve periodo dei diversi cicli politici, ponendo al centro dell'attenzione il concetto di
bene comune e le modalità del suo perseguimento. Ad evidenza gli strument strategici non sono di
per sé garanzia di comportamenti più virtuosi da parte degli amministratori; l'introduzione di una
visione strategica e dei correlati strumenti per la sua attuazione consentono tuttavia di distinguere
fra amministratori che continuano ad operare secondo logiche di breve periodo ed altri il cui agire
è maggiormente orientato al perseguimento del bene comune24.
La definizione di percorsi di sviluppo strategici, pur caratterizzati dalla necessaria flessibilità, è
condizione rilevante per il raggiungimento dei fini istituzionali in quanto si fonda su una
concezione di bene comune e di interesse pubblico sufficientemente stabile nel tempo, non
soggetta ai repentini cambiamenti di orizzonte che caratterizzano invece in varie situazioni
l'operato degli amministratori e dei politici, i quali sono strutturalmente influenzabili dai
mutamenti di orientamento dell'opinione pubblica e dell'elettorato.
La rilevanza di una riflessione strategica a fondamento dello sviluppo dell'ente evidenzia la
necessità di presidiare uno spazio di decisionalità con competenze .adeguate, con criteri e
strumentazioni appropriate sia per quanto concerne l'analisi dell'ambiente, sia per quanto attiene
alle scelte da assumere nei diversi ambiti.
Attualmente le istituzioni pubbliche mostrano invece su questo fronte una palese debolezza, una
sostanziale immaturità ed arretratezza, una non piena consapevolezza della criticità di sviluppare il
pensiero strategico, che appare in molti casi un terreno di frontiera e di sperimentazione anziché
una naturale area di riflessione e investimento dell'azienda?s
Per favorire l'adozione di una prospettiva strategica con un più ampio orizzonte temporale si è di
recente dibattuto sull'opportunità di consentire un terzo mandato consecutivo per i sindaci e i
presidenti di provincia, rimuovendo il limite
attuale di due.
La ratio della disciplina esistente è solitamente rinvenuta nell'esigenza di bilanciare i nuovi e
maggiori poteri riconosciuti al sindaco e al presidente di provincia dalla legge elettorale del 1993
rispetto a quelli delle giunte e dei consigli, attraverso un limite alla permanenza alla guida
dell'amministrazione. Il limite dei due mandati consecutivi avrebbe pertanto lo scopo di favorire il
ricambio dei vertici e di evitare la soggettivizzazione dell'uso del potere dell'amministrazione
locale, così da spezzare il vincolo personale tra elettore ed eletto per sostituire alla personalità del
comando l'impersonalità di esso ed evitare clientelismo
di contro, l'attuale disciplina limitativa presenta sostanzialmente i seguenti svantaggi:
- individua una disparità di trattamento rispetto alla carica di Presidente di
è prevista);
Regione e alle altre cariche elettive (per le quali la limitazione dei mandati non
- introduce un vincolo al principio democratico, con il rischio di privare i cittadini della possibilità di
continuare ad eleggere soggetti che hanno dato loro risultati;
buona prova delle loro capacit&a