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ESERCIZIO
Abbiamo un’azienda che sta cercando di simulare i risultati che otterrebbe adottando tre strutture
finanziarie diverse: la struttura alfa, la struttura beta, e la struttura gamma.
Struttura Alfa Struttura Beta Struttura
Gamma
Capitale di terzi 0 4.000 1.000
Capitale proprio 5.000 1.000 4.000
Capitale 5.000 5.000 5.000
investito
Reddito 1.000 1.000 1.000
operativo
Reddito lordo 1.000 600 900
Reddito netto 600 360 540
Con i = 10% e t = 40% 48
1. Nel primo caso, l’azienda decide di finanziare completamente con capitale di rischio,
ottenendo un quoziente di indebitamento pari a zero;
2. Nel caso della struttura Beta, l’azienda decide di finanziare la maggior parte del valore
dell’investimento con capitale di terzi, ottenendo un quoziente di indebitamento pari
all’80%;
3. La configurazione gamma, invece, prevede dei debiti limitati poiché su 5.000 solo il 20%
è capitale di terzi, mentre il restante 80% è sostenuto mediante capitale proprio; e dunque
il quoziente di indebitamento è pari a 20%.
Il quoziente di indebitamento esprime la capacità del debito di essere un moltiplicatore.
Il reddito operativo è pari a 1.000 in ogni caso e questo perché, se ho gli stessi investimenti, il
reddito operativo (differenza tra ricavi operativi e costi operativi) che si produce è lo stesso (dal
punto di vista operativo non muta nulla). Il reddito lordo nel primo caso coincide con il reddito
operativo poiché non ci sta alcun debito; nella configurazione beta, il reddito lordo è minore poiché
400 è formato da oneri finanziari (il 10% del debito); nel caso della struttura gamma abbiamo un
reddito lordo pari a 900 poiché 100 sono gli oneri finanziari. Per passare dal reddito lordo al
reddito netto bisogna verificare l’aliquota fiscale, in questo esempio pari al 40%.
= /
= /
Struttura Alfa Struttura Beta Struttura Gamma
ROI 20% 20% 20%
ROE 12% (600:5.000) 36% (360:5.000) 13,50% (540:5.000)
Tuttavia, il costo del debito è fortemente minore rispetto al ROI: quando la leva è favorevole, un
maggior indebitamente influenza molto la redditività anche del capitale proprio. Il ROI, tuttavia,
non è stabile poiché ci possono essere momenti in cui la marginalità operativa fluttua.
= + ( − ) ∙ ∙ (1 − )
Il differenziale tra ROI ed i (costo del debito) agisce positivamente sul ROE al crescere del rapporto
D/CN, e dunque conviene indebitarsi, perlomeno in una prospettiva statica. Nonostante la leva
finanziaria possa essere considerata come uno strumento che si deve tenere in considerazione
nella valutazione del livello di indebitamento, la scelta della composizione tra mezzi propri e mezzi
di terzi deve tener conto anche di altri fattori, quali il rischio finanziario, il vantaggio fiscale che
si annulla se l’impresa chiude l’esercizio in perdita, ecc.
ROI = i nessun effetto leva
ROI > i effetto leva positivo
ROI < i effetto leva negativo 49
Riclassificazione dello Stato Patrimoniale (appendice 20)
Dobbiamo analizzare lo stato patrimoniale in relazione agli impieghi e alle fonti: andiamo a
riclassificare lo stato patrimoniale secondo una prospettiva finanziaria, partendo da attività
più liquide per arrivare ad attività meno liquide (liquidità decrescente inseriamo nella colonna
sinistra le attività che si trasformano in forma liquidita più velocemente fino a registrare quelle
che si trasformano più lentamente); allo stesso modo, partiamo dalle fonti immediatamente
esigibili fino ad arrivare alle fonti che detengono un livello di esigibilità molto basso (esigibilità
decrescente). Già qui emergono dei margini, quali:
Il capitale circolante netto, dato dalla differenza tra:
o l’attivo corrente e cioè attività a breve (cioè, liquidità immediate, cassa in banca,
liquidità differite, e cioè i crediti commerciali che si trasformeranno in liquidità in un
momento successivo) e rimanenze di magazzino che hanno un grado di liquidità più
basso (LI, LD e RIM costituiscono l’attivo corrente si trasformano in forma liquida
entro 12 mesi);
o ed il passivo corrente, e cioè passività a breve, ovverosia debiti che devono essere
pagati entro i 12 mesi (per esempio, debiti IVA, debiti commerciali, debiti bancari a
breve termine, ecc.).
Il delta tra l’attivo corrente ed il passivo corrente deve essere un differenziale positivo
perché le risorse finanziarie che diventano liquidità in 12 mesi devono essere superiori
rispetto agli impieghi dei prossimi 12 mesi (l’impresa deve essere in grado di coprire con
le fonti che ha a disposizione i debiti che possiede);
Il margine di tesoreria, interno al capitale circolante netto, è dato da LI + LD – Passivo
Corrente. Di fatto il margine di tesoreria è il confronto tra l’attivo un po’ più liquido, che
esclude le rimanenze di magazzino, e le passività correnti. Se è positivo costituisce un
elemento di forza nella gestione finanziaria a breve termine dell’impresa (se margine di
tesoreria + capitale circolante netto +; impresa non necessita neanche del magazzino
per pagare i suoi debiti a breve termine);
Il margine di struttura non è altro che il differenziale tra il capitale netto e le attività fisse
(differenza tra mezzi propri e investimenti a medio lungo termine). Quando il capitale netto
è superiore alle attività fisse (attivo corrente è maggiore di tutte le passività,
50
indipendentemente dalla loro natura, e dunque il capitale circolante netto è positivo), il
margine di struttura è positivo l’impresa finanzia le immobilizzazioni, le attività fisse,
gli investimenti a medio lungo termine solo con capitale di rischio; quando il capitale netto
è inferiore alle attività fisse, il margine di struttura è negativo impresa non è squilibrata,
ma non finanzia tutte le attività fisse con mezzi propri. Bisogna vedere, in questo caso, il
delta com’è finanziato: bisogna accertarsi che il delta sia coperto da debiti a medio – lungo
termine poiché gli investimenti devono essere coperti da investimenti durevoli (principio
di omogeneità tra fonti e impieghi). Questo differenziale tra mezzi propri + finanziamenti
a medio – lungo termine – immobilizzazioni è il capitale circolante netto visto in un’altra
prospettiva.
Se tutti e tre i margini sono positivi significa che l’impresa è particolarmente prudente; qualora
uno di essi dovesse essere negativo, non significa che l’impresa si trovi in una situazione di
squilibrio, ma che è meno prudente nelle scelte che prende: in ogni caso, l’importante è che il
capitale circolante netto sia positivo.
Riclassificazione del Conto Economico (appendice 20)
Le riclassificazioni del conto economico sono diverse e distinte; l’elemento comune è rinvenibile
nel fatto che tutte vanno ad identificare il risultato della gestione caratteristica dell’impresa
rispetto alla gestione non caratteristica (mettono in evidenza il reddito). Ci possono essere
modalità di riclassificazione differenti che riflettono anche le necessità del soggetto che effettua la
classificazione. Quelle che interessano a noi sono il costo del venduto, il valore aggiunto ed il
margine di contribuzione.
Nel caso di riclassificazione al costo del venduto, andiamo a suddividere i costi non per natura
(nella quale distinguiamo i costi in relazione ai fattori produttivi, ed è la natura afferente al conto
economico civilistico), ma per destinazione, e cioè in funzione dell’area alla quale fanno
riferimento.
Il riferimento nello studio del management è l’impresa manifatturiera, industriale, che produce
beni caratterizzati da tangibilità; anche le imprese manifatturiere arricchiscono la propria offerta
di servizi (esempio: assistenza post – vendita che hanno rilievo nel gradimento espresso dalla
domanda). Nella riclassificazione al costo del venduto si ha una distinzione tra:
51
Costi industriali, e cioè i costi di produzione in senso stretto perché. Costi di produzione
in senso stretto perché, andando a leggere un bilancio civilistico, si trova una differenza
tra valore e costi di produzione nella quale afferiscono altri costi di natura commerciale e
amministrativa. I costi industriali sono i costi di fabbricazione veri e propri: il risultato è
la differenza tra i ricavi di vendita ed i costi sostenuti per la produzione. Il conto economico
si costruisce in termini di produzione e consumo: la riduzione di magazzino ha segno
negativo, poiché anche il magazzino ha un costo che l’impresa sostiene anche in assenza di
costi di produzione. Quando la produzione supera le vendite, si ha un accumulo di
magazzino. Abbiamo poi i costi di produzione, i costi del lavoro di produzione, che
afferiscono al lavoro industriale (operai), gli ammortamenti industriali (riferiti ai temi
impiegati nello svolgimento dell’attività produttiva; l’ammortamento industriale fa
riferimento anche all’utilizzo dei macchinari o dei capannoni nei quali si realizza la
produzione), le costruzioni interne, e cioè i costi che sostiene un’impresa per costruire un
macchinario o un capannone, per esempio, e che vengono capitalizzati (si sostengono i
costi ma non si ottengono ricavi ad essi correlati per via del fatto che vengono rinviati ad
un momento successivo rettifiche di costo: costi sostenuti nell’anno ma che non sono
di competenza di questo esercizio ma di un esercizio futuro).
costo del venduto = consumi + costi di produzione + costi del lavoro di produzione +
ammortamenti industriali + costruzioni interne
risultato lordo industriale = ricavi netti di vendita – costo del venduto
Spesso le imprese che sono inefficienti mostrano delle inefficienze proprio a livello
industriale, e dunque risulterà un risultato lordo industriale, rapportato ai ricavi di
vendita, minore rispetto a quello dei concorrenti (bisogna fare un confronto in termini
percentuali, o tra imprese di stesse dimensioni, oppure rispetto alla stessa impresa
nell’esercizio precedente): ciò significa che hanno un livello di costi industriali troppo alti
rispetto ai ricavi;<