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TESEIDA

È un poema eroico scritto in volgare che segna la transizione tra la fase napoletana e quella fiorentina dell'autore, iniziata a Napoli e

conclusa a Firenze. Il poema, composto in ottave e articolato in 12 libri, racconta le vicende dell'eroe greco Teseo, ma si concentra

soprattutto sull'amore conteso tra due cavalieri tebani, Arcita e Palemone, che vengono fatti prigionieri durante una spedizione di

guerra contro Creonte, il tiranno di Tebe, e si innamorano di Emilia, sorella di Ippolita, regina delle Amazzoni e moglie di Teseo.

Dopo essere riusciti a fuggire dalla prigionia, Arcita e Palemone si sfidano in un duello per conquistare il cuore di Emilia, finché

Teseo non interviene proponendo un torneo ufficiale, il cui vincitore avrà il diritto di sposarla. Arcita vince il torneo ma, ferito

mortalmente durante lo scontro, esprime il desiderio che il suo amico Palemone possa sposare Emilia. Il poema si conclude con le

nozze di Palemone ed Emilia e la celebrazione di Arcita, il cui tempio viene eretto in suo onore.

Con la Teseida, Boccaccio introduce il genere epico in volgare, privilegiando il tema dell'amore rispetto alle imprese eroiche, i

sentimenti e l'interiorità dei personaggi diventano centrali

La lettera "A Fiammetta" serve come proemio, in cui Boccaccio esprime il suo desiderio di raccontare una storia d'amore molto

antica e simile alla sua e di essersi celato dietro uno dei personaggi. Boccaccio si rivolge a a Fiammetta, ricordando il suo amore per

lei e riflettendo sulla sofferenza che sta vivendo dopo essere stato abbandonato. L'autore esprime la sua tristezza nel ricordare i

momenti felici del passato e la bellezza di Fiammetta, che lo ha reso prigioniero d'amore. Nonostante il dolore, il ricordo della sua

immagine quasi divina (“più celestiale che umana”), riesce a consolarlo, facendogli quasi dimenticare per un attimo le sue pene.

Anche se lei lo ha rifiutato e appare distante e indifferente, il suo amore per lei non si è mai spento e continua a vivere con la

speranza di riconquistarla, considerandosi ancora un servo dell'Amore pur riconoscendo che la sua condizione attuale è di estrema

infelicità, in contrasto con la passata felicità.

Boccaccio spiega che l'opera è un tentativo di riconquistare Fiammetta, ricordando che lei amava leggere storie d'amore, per

questo ha composto un racconto in versi volgari basato su una storia d'amore antica e poco conosciuta che narra le vicende dei

nobili giovani tebani Arcita e Palemone, innamorati della bella Emilia. Sottolinea che nel racconto ci sono riferimenti alla loro storia

personale, che Fiammetta potrebbe riconoscere. Infine, l'autore chiede a Fiammetta di accettare almeno il "picciolo libretto" come

dono, sperando che il libro, se non lui, possa giungere tra le sue mani e diventare un simbolo di consolazione per il suo amore non

corrisposto. L'opera si configura quindi come un atto di devozione verso Fiammetta e un'espressione della sofferenza dell'autore.

ELEGIA DI MADONNA FIAMMETTA

È un'opera che si presenta come un lungo monologo, scritto in forma di lettera in prima persona da Fiammetta, una giovane donna

nobile, rivolta alle altre donne che si trovano nella sua stessa condizione di innamorate. Nel prologo, Fiammetta introduce la sua

storia di dolore e sofferenza causata dall'abbandono dell'amato, Panfilo, che si trasferisce a Firenze. All'inizio, Fiammetta è

fiduciosa e non si preoccupa, poiché pensa che Panfilo non si sia innamorato di un'altra. Tuttavia, quando scopre che lui si è

sposato e si è innamorato di un'altra donna, la disperazione la porta a tentare il suicidio. Questa narrazione è indirizzata

esclusivamente alle donne, poiché l'autrice crede che solo loro davvero capire e provare compassione per la sua sofferenza.

Fiammetta esclude gli uomini dal suo pubblico, ritenendo che potrebbero deridere il suo dolore piuttosto che essere mossi a pietà.

Nel prologo, descrive il suo tormento causato dall'amore non corrisposto attraverso immagini di lacrime, sospiri e pensieri

dolorosi, che mostrano la sua disperazione. L'opera segue il modello delle "Heroides" di Ovidio, una raccolta di lettere di donne

mitologiche ai loro amanti lontani. Boccaccio utilizza la figura di Fiammetta per proiettare parte delle sue esperienze personali,

creando un gioco di specchi tra l'autore e il personaggio. La sofferenza di Fiammetta riflette in parte quella di Boccaccio legata

all’amore non corrisposto. Nella conclusione, Fiammetta si rivolge al suo libro come se fosse una parte di sé, quasi fosse morto

con lei a causa della sofferenza. Dice al libro, ormai rovinato dalle lacrime, di andare dalle donne innamorate, il pubblico per cui è

stato scritto (stesso pubblico che Boccaccio aveva in mente per il Decameron), per portare loro un messaggio. Le pagine bagnate

di lacrime rappresentano concretamente il dolore di Fiammetta, che pensa all'infedeltà di Panfilo.

L'obiettivo è far sì che il lettore provi compassione per la sofferenza di Fiammetta.

DECAMERON, PROEMIO

L'opera è composta da una cornice che racchiude 100 novelle raccontate da dieci giovani fiorentini (tre ragazzi e sette ragazze)

che, per sfuggire alla peste, si rifugiano in una villa in campagna. Per trascorrere il tempo e tenere lontani i cattivi pensieri,

decidono di raccontare a turno una novella al giorno, seguendo un tema scelto di volta in volta dal re o dalla regina della giornata.

Nel proemio, Boccaccio spiega che il libro è destinato a coloro che soffrono per amore, in particolare alle donne, che all'epoca

(nel medioevo) non avevano molte possibilità di svago a causa della loro condizione sociale. Le novelle servono quindi a fornire

conforto e distrazione, offrendo anche suggerimenti su come affrontare le difficoltà della vita. L'amore è il tema centrale del

Decameron,

e nel proemio, Boccaccio rivela la sua esperienza personale con l'amore, che lo ha portato a soffrire intensamente. Attraverso i

racconti e il conforto ricevuto, riesce però a guarire, trovando sollievo e maturità

BENVENUTO CELLINI 1500-1571

è una figura di spicco del Rinascimento italiano noto principalmente come orafo e scultore. Cellini lavorò su commissione di

importanti figure del suo tempo, tra cui Papa Clemente VII, il re di Francia Francesco I e Cosimo de’ Medici, il che evidenzia la sua

reputazione e il suo successo come artista. La sua autobiografia Vita di Benvenuto di maestro Giovanni Cellini fiorentino scritta (per

lui medesimo) in Firenze, scritta tra il 1558 e il 1566-67 ma pubblicata solo nel 1728, rappresenta un’importante testimonianza non

solo della sua vita, ma anche della lingua italiana del tempo. Durante il Rinascimento (1500) l'Italia non era unita politicamente e le

varie regioni parlavano dialetti diversi, Cellini scrisse l’autobiografia in un periodo in cui si stava cercando una maggiore uniformità

linguistica in Italia, un processo avviato dall’introduzione della stampa e dal dibattito su quale fosse la lingua italiana "giusta" da

utilizzare. Alcuni sostenevano l'uso di un italiano colloquiale (volgare), più vicino al linguaggio quotidiano che potesse essere

comprensibile e utilizzabile da tutti, mentre altri che fosse necessaria l'adozione di una lingua più colta, come il fiorentino colto

parlato nel periodo contemporaneo. Il dibattito culminò con la proposta di Pietro Bembo, che nel 1525 pubblicò il trattato Le prose

della grand lingua in cui propose di adottare il fiorentino colto (del 300) come modello linguistico rifacendosi a Petrarca per la

poesia e Boccaccio per la prosa. Questo approccio è stato dominante nel definire la lingua letteraria italiana. Sebbene Cellini non

segua esattamente il modello di Bembo la sua opera rappresenta un'importante testimonianza del linguaggio dell'epoca e anticipa

la struttura dell'autobiografia moderna, influenzando altri scrittori dal 1700 in poi.

VITA, I, 1

Le prime righe dell'autobiografia di Benvenuto Cellini contengono concetti fondamentali riguardo alla scrittura autobiografica.

• Cellini afferma che l'autobiografia è giustificata solo per coloro che hanno compiuto azioni virtuose o significative, questo

implica che non tutti possono raccontare la propria vita ma solo coloro che hanno realizzato imprese degne di nota hanno il

diritto di farlo. Questa visione contrasta con altre prospettive, come quella di Giacomo Leopardi, che ha scritto

un'autobiografia in cui sottovaluta ciò che ha fatto. Il suo racconto ha un tono parodico e suggerisce che la sua vita non ha

avuto un grande significato. In questo modo, Leopardi mette in dubbio l'idea che ogni vita, anche quelle senza successi

notevoli, possa avere una storia interessante da raccontare.

• Cellini sostiene che non si dovrebbe scrivere un’autobiografia prima di aver superato i 40 anni (Mutatio Vitae di Petrarca,

collocata attorno ai suoi 40 anni). Questa affermazione suggerisce che l'autore deve raggiungere un certo livello di maturità e

introspezione. Per Cellini, l’età di 40 anni rappresenta un punto di svolta, in cui la personalità è più definita e si ha una migliore

prospettiva sugli eventi passati. Cellini, all'età di 58 anni, riconosce di aver affrontato molte avversità, ma anche di trovarsi in

una fase della vita in cui le difficoltà sono meno presenti e la salute è migliore. Si stupisce di essere arrivato a 58 anni,

considerando le esperienze difficili che ha affrontato, come arresti e fughe. Questa contraddizione tra il passato e il presente

diventa un elemento centrale della sua narrazione, dando una dimensione umana alla sua vita e rendendo il racconto più

autentico.

VITA, I, 2

Cellini riflette sul concetto di successo e sulla necessità di raccontare la propria vita. Se una persona ha raggiunto una certa

notorietà, questo dovrebbe già bastare per essere riconosciuti dalla società ed essere considerati importanti, senza bisogno di

raccontare ulteriormente la propria storia. Tuttavia, gli esseri umani tendono ad essere vanitosi e a desiderare di aggiungere

qualcosa alla loro fama, come se questo fosse necessario per distinguersi ulteriormente.

Uno degli aspetti principali di questa vanità è la tendenza a sottolineare le proprie origini, affermando di provenire da una famiglia

nobile e rispettata. Cellini, per esempio, si presenta come discendente di una stirpe di valore, specificando i nomi e le origini dei

suoi genitori, descrivendoli come cittadini rispettabili di Firenze, il che lo aiuta a giustificare la sua esistenza e il suo successo.

VITA, I, 4

Cellini racconta alcuni episodi della sua infanzia che, secondo lui, rivelano aspetti significativi del suo carattere e sembrano

anticipare il suo destino.

• Il primo aneddoto riguarda un episodio accaduto quando aveva 3 anni: un gio

Dettagli
A.A. 2025-2026
37 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/12 Linguistica italiana

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