Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
ECCLES
«Popper e io siamo per un dualismo interazionista: mente e cervello sono entità irriducibili l'una all'altra, ma interagiscono.
Il problema è che non si sa come lo facciano». Ma non andiamo piuttosto verso una concezione dell'uomo «totale», fisico-
psichico e metafisico? Per Eccles la nostra società è arrivata a un punto di transizione. Dobbiamo avere il coraggio di
aprire nuove porte, di ammettere che anche gli straordinari strumenti scientifici di cui attualmente disponiamo non sono
sempre sufficienti per «capire» Jhon C. Eccles (premio Nobel per la Medicina e la Fisiologia nel 1963) sostiene che le
facoltà superiori dell’uomo, e in particolare l’autocoscienza (vedi coscienza), non possono essere spiegate facendo
riferimento esclusivamente all’attività della corteccia cerebrale. Egli ipotizza l’esistenza di una mente autocosciente, entità
in grado di influire sui diversi blocchi funzionali formati dai neuroni, e nello stesso tempo di subire l’influenza dell’attività
di questi. In particolare, la mente autocosciente sarebbe costantemente impegnata nella lettura selettiva di ciò che avviene
nei diversi centri cerebrali. Essa selezionerebbe questi centri in base alla propria attenzione e ai propri interessi, integrando
tale selezione per realizzare istante per istante l’unità dell’esperienza cosciente (1).
ANNI '80-90
Come possiamo dividere le teorie scientifiche sulla coscienza e sull’io? Teorie psicologiche Teorie neurologiche. Il
punto di partenza delle teorie psicologiche lo ritroviamo nel cognitivismo (o funzionalismo che dir si voglia), ovvero in
quella concezione del mentale secondo la quale la mente è uno stato funzionale del cervello teso ad elaborare
l’informazione contenuta nei dati sensoriali al fine di consentire una interazione dell’organismo con l’ambiente esterno
favorevole al soddisfacimento dei bisogni dell’organismo stesso. Come viene considerata la coscienza in questo contesto?
Come un insieme di tappe intermedie tra: input sensoriale output motorio. Le funzioni riconducibili alla coscienza sono
molteplici, possiamo suddividerle in due gruppi distinti, ma al tempo stesso sovrapponibili. Identificazione di coscienza
con: uno stato di vigilanza percezione endopsichica Per stato di vigilanza (l’essere svegli), intesa come una funzione di
integrazione dei dati sensoriali in arrivo entro una certa finestra temporale capace di ricondurli alla percezione di una
‘scena’ unica sulla cui base è possibile operare un controllo delle risposte motorie in modo da renderle reciprocamente
coerenti ed efficaci nella loro interazione con l’ambiente esterno. Come percezione endopsichica mediante la quale il
cervello può rappresentare a sé stesso la sua stessa attività e, grazie a ciò, sorvegliarla e controllarla. Una percezione
interna di questo genere consente al cervello di selezionare di momento in momento l’informazione contenuta in alcuni dei
suoi processi, focalizzando su di essi per così dire la sua attenzione, e di rendere accessibile tale informazione privilegiata
anche a tutti gli altri processi cerebrali attivi in quel momento stesso.
In una prospettiva di tal genere la coscienza cessa di essere una sostanza (o una proprietà) irriducibile all’attività cerebrale
e diviene semplicemente il ‘formato’ nel quale vengono codificati quei processi cerebrali che, proprio mediante tale
codifica, sono in grado di scambiarsi reciprocamente l’informazione in essi contenuta; la coscienza diviene insomma una
sorta di servomeccanismo che consente al cervello di coordinare la sua stessa attività al fine di una migliore interazione
dell’organismo con l’ambiente esterno.
BAARS
Nella sua opera più nota, A Cognitive Theory of Counsciousness (1988), Baars propone una teoria della coscienza che
chiama teoria dello spazio d'azione. Tale teoria è stata ripresa e sviluppata in un'opera successiva, In the Theater of
Counsciousness: the Workspace of Mind (1977). La tesi centrale del neuroscienziato americano è che il cervello sia
organizzato in maniera funzionale intorno a uno spazio d'azione globale, dove possono essere elaborati solo pochi elementi
alla volta. Si tratta di un'idea che ha molti punti in comune alla concezione del Teatro Cartesiano di Dennett: i pochissimi
elementi presenti a un dato istante nella coscienza corrispondono a quelli posti al centro del palcoscenico.
Baars immagina dunque la coscienza come una scena illuminata da un riflettore il cui fascio di luce permette di vedere
solo parte di ciò che avviene sul palco. Ciò che rende cosciente un evento è dunque la sua elaborazione all'interno dello
spazio d'azione globale e la sua trasmissione val resto del sistema.
Il punto forte di questa teoria è che essa stabilisce con chiarezza quali cose dovrebbero essere coscienti, ossia quali
occupano lo spazio d'azione diventando globalmente disponibili.
Altri esempi di teorie della coscienza da prendere in considerazione più o meno dello stesso periodo, sono quelle degli
psicologi P. Johnson-Laird (1983 e 1988) e K. Oatley (1988), oltre che a quella dello psicolinguista R. Jackendoff (1987).
Per Johnson-Laird e Oatley, quale ruolo esercita la coscienza nel cervello? Più o meno lo stesso ruolo che un sistema
operativo può esercitare in un computer. Dal momento che essa integra e armonizza gli output dei processi cerebrali
mettendoli in relazione con il self, ossia con l’auto-rappresentazione che il cervello costruisce della sua stessa attività.
Che cos’è la coscienza per Jackendoff? Un sistema interno al cervello di auto-monitoraggio. In linea con Baars, Jackendoff
precisa che lungo il processo di elaborazione dell’informazione che va dall’input sensoriale all’output motorio, solo alcune
stazioni intermedie vengono monitorate, questo vuol dire che solo alcuni stati mentali divengono coscienti. Da questo
periodo in poi le teorie psicologiche della coscienza sono state sempre molto vive e discusse e trovano la loro origine nella
concezione del mentale della prima fase della svolta cognitiva.
Quali sono stati i progressi delle neuroscienze che hanno avuto un impatto maggiore sulla filosofia della mente?
Sicuramente nel netto miglioramento delle tecniche d’indagine sulla struttura e il funzionamento del sistema nervoso.
Metodi tradizionali, quali: Osservazione diretta di disturbi del comportamento in presenza di determinate lesioni
cerebrali; Radiografie; Autopsie post mortem; Esperimenti sugli animali.
Nuovi strumenti d’indagine clinica e di laboratorio: EEG (elettroencefalografia); TAC (tomografia computerizzata);
Diagnostica con ultrasuoni; PET (tomografia a emissione di positroni); MEG (encefalografia magnetica); fNMR, Fmrt
e Fmri (varie forme di risonanza magnetica funzionale). Di particolare importanza, per la loro evidenza, sono soprattutto
per il filosofo della mente le ‘neuro-immagini’ (brain images) che si possono ottenere con queste nuove tecniche.
Quali sono gli studi più importanti delle neuroscienze per il filosofo della mente e lo scienziato cognitivo? Gli studi sulla
struttura e la genesi delle ‘reti neuronali’ mediante le quali il cervello può realizzare il coordinamento senso-motorio e,
nell’uomo, svolgere tutte le attività intellettuali superiori. Dobbiamo però riconoscere che tutti questi studi non riescono
comunque a definire a quale livello d’analisi debba essere collocata la comparsa della coscienza. Però gli studi delle
neuroscienze riescono a chiarirci che Il cervello umano non potrebbe assolvere alle proprie funzioni se non fosse un
sistema fisico altamente complesso costituito all’incirca da 100 miliardi di neuroni, ciascuno dei quali può essere collegato
mediante sinapsi, ad almeno altri 1.000 per un numero potenziale massimo di connessioni dell’ordine di 100.000 miliardi.
Quindi è solo la natura dei processi elettrici ed elettrochimici che avvengono nei singoli neuroni o nelle singole sinapsi che
consentono a un animale di sopravvivere e all’uomo, in particolare, di parlare e agire con intelligenza? No, piuttosto è la
forma e la dinamica delle reti neuronali altamente complesse che, ricevuto uno stimolo dagli organi di senso, lo elaborano
e lo trasmettono ai moto-neuroni che comandano i movimenti dei muscoli (e quindi comandano tutto il comportamento
osservabile, compreso il comportamento verbale). In questa prospettiva anche il pensiero viene visto come un’attività di
aree corticali premotorie che preparano e controllano i movimenti dell’apparato fonatorio. Nell’ambito dei nuovi strumenti
d’indagine nella direzione di una concezione naturalistica dell’essere umano e della sua mente ha svolto un ruolo
importante l’ipotesi proposta da F. Crick e C. Koch nel saggio Verso una teoria neurobiologica della coscienza del 1990.
Secondo questa ipotesi la coscienza emergerebbe, almeno nella percezione visiva, da processi di sincronizzazione delle
frequenze di oscillazione dei circuiti neuronali interessati. In base a ciò i neuroscienziati si sono impegnati in questi ultimi
anni per cercare di risolvere il problema del binding.
Che cos’è il ‘binding’? Attraverso il ‘binding’ si cerca di capire come i dati sensoriali relativi rispettivamente alla
percezione dei colori delle forme dei movimenti pur essendo implementati dall’attività neuronale di aree corticali
distinte, possano fondersi nella visione di un unico oggetto che si muove nello spazio mantenendo immutati il suo colore e
la sua forma.
Lo sviluppo di questo ambito d’indagine è servito a far mutare l’atteggiamento verso la coscienza di scienziati e filosofi E
li ha indotti a vedere nell’emergere della coscienza stessa non più un mistero insondabile, ma un normale problema
scientifico. Verso una naturalizzazione della coscienza, negli ultimi decenni si sono mossi numerosi neuroscienziati. A tal
riguardo si collocano ad un alto livello scientifico gli studi del premio Nobel G. Edelman e di R. Porter.
EDELMAN
Qual è per Edelman l’ipotesi sulla naturalizzazione della coscienza? Tutte le funzioni che vengono attribuite alla coscienza
dai filosofi e dagli psicologi (e anche dal senso comune) sono svolte in realtà da processi cerebrali: “il processo della
coscienza è un risultato dinamico delle attività distribuite di popolazioni di neuroni in molte aree diverse dal cervello”.
Per chiarire l’aspetto essenziale della teoria di Edelman, che la dinamica di cui la comparsa della coscienza è il risultato si
configura come una complessa interazione tra tre “organizzazioni topologiche” principali del cervello: il sistema talamo-
corticale; i gangli di base; le pr