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I BENI PUBBLICI
I beni pubblici si dividono in 2 categorie: beni demaniali e beni patrimoniali
I beni demaniali, detti anche beni del demanio pubblico, sono beni destinati all'uso diretto da parte dei
cittadini oppure alla difesa della nazione. Per questo, tali beni sono: inalienabili, cioè non possono essere
venduti dall'ente pubblico; sono non usucapibili, cioè non possono essere acquisiti per usucapione
(l'usucapione è un modo di acquisto della proprietà in caso di possesso continuato e protratto per un certo
lasso di tempo stabilito dalla legge).
I beni patrimoniali sono tutti i beni appartenenti ad un ente pubblico (Stato, Regioni, Province, Comuni, enti
pubblici non territoriali) che non sono beni demaniali (art. 826 Codice civile). Quindi questi beni sono definiti
per esclusione. I beni patrimoniali si dividono in beni del patrimonio indisponibile e del patrimonio
disponibile.
Il patrimonio indisponibile è costituito dai beni che mirano a raggiungere dei fini pubblici o sono destinati a
pubblici servizi. Il patrimonio indisponibile (art.826 Codice civile) dello Stato è formato da: foreste che
costituiscono il demanio forestale; miniere, cave e torbiere; cose di interesse storico, archeologico,
paletnologico, paleontologico e artistico da chiunque e in qualunque modo ritrovati nel sottosuolo; beni
costituenti la dotazione della presidenza della Repubblica; caserme, armamenti, aeromobili militari e navi da
guerra. Fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato o, rispettivamente, delle Province e dei Comuni,
secondo la loro appartenenza: gli edifici destinati a sede di uffici pubblici, con i loro arredi; gli altri beni
destinati a un pubblico servizio. I beni del patrimonio indisponibile non possono essere sottratti alla loro
destinazione finché questa dura. Sono alienabili solamente nei modi stabiliti dalla legge: per questa ragione
si dice che essi sono colpiti da inalienabilità relativa.
Il patrimonio disponibile è costituito dai beni che permettono all'ente a cui appartengono di conseguire un
reddito.
I beni del patrimonio disponibile servono a dare agli enti pubblici territoriali (Stato, Regioni, Province,
Comuni) un reddito. Tale patrimonio comprende: case date in locazione; boschi e terreni dati in affitto;
capitali fruttiferi; valori, titoli e denaro. Fanno parte del patrimonio disponibile anche i beni immobili vacanti.
Per i beni del patrimonio disponibile valgono le stesse regole previste per i beni privati: essi possono essere
alienati e sono usucapibili.
Individuazione in concreto nel T.U. e seguenti
Nel T.U. le procedure per l’individuazione si modulavano a seconda della loro appartenenza.
Per i beni culturali in appartenenza pubblica, era sufficiente la sussistenza di interesse culturale semplice. I
beni venivano inseriti negli elenchi descrittivi che gli enti proprietari erano obbligati a presentare al
Ministero. Per i beni culturali in appartenenza di persone giuridiche senza scopo di lucro, bastava la
dichiarazione dell’interesse culturale, emanata dai competenti organi ministeriali locali. Non vi era alcun
procedimento formale di acclaramento dell’interesse da parte dell’autorità di tutela come invece richiesto
per le cose in appartenenza privata.
I beni culturali erano beni demaniali dunque inalienabili e incommerciabili.
Dopo un anno dall’emanazione del T.U., il D.P.R. 7 settembre 2000, n. 283, dando attuazione all’art. 32 della
Legge finanziaria per il 1999, rimetteva a un regolamento autorizzato la definizione di possibili ipotesi di
alienabilità di beni immobili facenti parte del demanio culturale. Questo Regolamento fa parte di una serie
di normative emesse a partire dagli anni ’90 che dismettevano gran parte del patrimonio immobiliare in
mano pubblica per ragioni economico-finanziarie, per sanare il deficit di bilancio dello Stato. Il metodo degli
“elenchi descrittivi” viene abbandonato. La verifica della sussistenza di interesse culturale non è più affidata
ai soli enti proprietari, ma si stabiliva che essa fosse sottoposta alla valutazione dei competenti organi
ministeriali, chiamati a vagliare l’attendibilità del giudizio tecnico-discrezionale espresso dalle autonomie
territoriali proprietarie dei beni. Le autonomie territoriali erano dunque tenute, con cadenza triennale, a
sottoporre al Soprintendente regionale due elenchi degli immobili in loro appartenenza: uno che conteneva
tutti gli immobili ritenuti aventi interesse culturale semplice; l’altro che conteneva tutti quegli immobili,
risalenti a prima del 1955, considerati privi di interesse culturale, a cui si doveva indicare anche una proposta
di destinazione d’uso. Il Soprintendente regionale, ricevuti gli elenchi, aveva un anno per verificare la
congruità della valutazione delle autonomie, trasmettendo a queste ultime l’elenco di quegli immobili da lui
ritenuti privi di interesse culturale. All’esito della verifica, gli immobili di interesse culturale, compresi
nell’elenco trasmesso dal Sovrintendente, venivano sdemanializzati, quelli che invece non erano compresi
nell’elenco rimanevano inalienabili.
Con la Legge 15 giugno 2002, n.112, vengono istituite due società, la Patrimonio S.p.a. e la Infrastrutture
S.p.a. (entrambe oggi estinte), per la valorizzazione, gestione ed alienazione del patrimonio dello Stato.
Queste società operavano proprio come vere società finanziarie, emettendo titoli e obbligazioni, garantiti,
attraverso l’intermediazione di istituti bancari, proprio dai beni immobili culturali pubblici dello Stato. Ciò
scatenò una forte reazione nell’ambito accademico e politico-istituzionale, tanto che il Presidente della
Repubblica richiamò l’attenzione del Presidente del Consiglio al rispetto dei principi costituzionali di Tutela.
Con la Legge 24 novembre 2003, n. 326, il maxi-decreto finanziario, all’art. 27 si introducono particolari
novità sui soggetti legittimati a richiedere la verifica di interesse, la tempistica del procedimento e gli effetti
giuridici derivanti dalla sua mancata conclusione nei termini prescritti. Questa legge è poi assunta dall’art.
12 del Codice Urbani. Una sostanziale novità è legata al meccanismo del silenzio-assenso: se il
Soprintendente regionale non rispondeva entro 120 giorni dalla ricezione della scheda descrittiva di verifica
del soggetto richiedente, il suo silenzio, prima concepito come silenzio-inadempimento, veniva ora
interpretato come silenzio-assenso, ovvero che l’esito della verifica era negativo, dunque il bene non
possedeva interesse culturale.
La normativa del 2003 viene assorbita nel Codice. Solo nel 2005 si modifica il meccanismo di silenzio-assenso,
ripristinandolo come silenzi-inadempimento. Fintanto il procedimento non si sia concluso, le cose restano
sottoposte al regime di tutela di cui alla Parte Seconda del Codice.
Il procedimento di individuazione dei beni culturali in appartenenza privata, contrariamente a quello appena
visto, rimane pressoché inalterato. La procedura è regolata agli artt. 14-16 del Codice. Il Legislatore
codicistico riproduce quanto stabilito dal T.U., che già aveva apportato notevoli modifiche alla disciplina
come disposta dalla legge Bottai. Il T.U. divide il riconoscimento dell’interesse dalla comunicazione dello
stesso al proprietario del bene, qualificando la notifica come l’atto conclusivo del percorso amministrativo e
non del procedimento di riconoscimento dell’interesse culturale. Il procedimento per la dichiarazione
dell’interesse culturale delle cose in appartenenza privata è avviato d’ufficio dal Soprintendente, su richiesta
dell’ente territoriale interessato. Il Soprintendente deve dare comunicazione al proprietario, possessore o
detentore a qualsiasi titolo della cosa oggetto dell’atto di dichiarazione. La comunicazione deve contenere:
gli elementi di identificazione e valutazione della cosa risultati dalle prime indagini della P.A.; i termini per la
presentazione di eventuali osservazioni da parte del destinatario del provvedimento; le misure cautelari di
salvaguardia che derivano ex lege dall’apertura del procedimento. Tali misure cautelari sono una serie di
divieti ed obblighi simili a quelli derivati dalla dichiarazione d’interesse culturale dell’oggetto. Se
naturalmente l’interesse non sussiste il bene è svincolato. La comunicazione va obbligatoriamente indirizzata
al destinatario necessario della comunicazione, che va individuato dalla PA. La dichiarazione, ove ci sia esito
positivo del Soprintendente, assoggetta l’oggetto della dichiarazione alla disciplina dettata da legge e ne
fornisce notifica al destinatario (proprietario, possessore o detentore della cosa in oggetto).
IL SISTEMA DI CONSERVAZIONE O TUTELA
Il secondo sistema è dedicato alla prima coordinata cui è finalizzata l’azione amministrativa in materia di
beni culturali ovvero la conservazione.
La conservazione costituisce la parte della normativa più corposa e più antica codificazione, poiché ha
sempre rappresentato l’interesse principale ed indefettibile che la legge assegna all’azione amministrativa.
Per questo sono previsti molteplici e diversi interventi e poteri amministrativi, tutti finalizzati alla
salvaguardia della integrità del patrimonio culturale, «nella pienezza dei suoi valori materiali, formali e
simbolici».
La conservazione è un’attività volta a salvaguardare i singoli beni nei loro valori materiali ed immateriali e la
consistenza (l’integrità) del patrimonio culturale.
Nel linguaggio tecnico e comune, i termini ‘conservazione’ e ‘tutela’ spesso sono usati come sinonimi. Il
termine “tutela”, però, indica propriamente l’azione amministrativa tout court nel settore e, quindi l’insieme
delle attività concernenti l’identificazione, la conservazione ed il godimento dei beni culturali. Questa
definizione di tutela è stata raccolta all’ art. 3 co. 1 del Codice che stabilisce la tutela «consiste nell’esercizio
delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette, sulla base di un’adeguata attività conoscitiva, ad
individuare i beni costituenti il patrimonio culturale ed a garantirne la protezione e la conservazione per fini
di pubblica fruizione». La conservazione è uno dei compiti della Tutela di cui la pubblica fruizione costituisce
la ragione giuridica giustificatrice.
Il sistema della Conservazione o Tutela si articola in due subsistemi: conservazione in senso stretto e
conservazione in senso lato.
La conservazione in senso stretto sono le norme che disciplinano i poteri amministrativi e gli strumenti
giuridici destinati ad assicurare l’integrità fisica dei singoli beni costituenti il patrimonio culturale nazionale
ed il loro valore immateriale. La conservazione in senso stret