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STORIA DELL’ARTE MODERNA
7 NOVEMBRE
Jacopo Carucci detto il Pontormo (1494-1556) Deposizione 1525-1528, tempera su tavola, Firenze,
Chiesa di Santa Felicita
Si trova nella cappella capponi. Diverso rispetto alla deposizione di Luco di Andrea del
Sarto in cui il cristo era deposto sul marmo che lambiva l’altare c’era quella osmosi tra il
dipinto e l’altare vero. Quella composizione sartesca perde riferimento di naturalismo, di
inserimento in un contesto naturale, per dare vita a una rappresentazione che potremmo
definire rappresentazione allucinata, in cui non abbiamo perso solo i riferimenti alla
natura ma anche alla traduzione dei colori reali. E’ un continuo trapasso dei colori
cangianti che si snaturano, che perdono intensità, che si sbiancano, che passano da una
tonalità all’altra. Critica che solleva Vasari, non ci sono le ombre, Vasari trova questo
dipinto strano, non riesce a classificarlo. Da un punto di vista cromatico Pontormo scardina le certezze
fino a quel punto elaborate, partendo dal presupposto del colore michelangiolesco, ma Pontormo tende
la corda fino quasi a spezzarla. Anche dal punto di vista compositivo, quell’euritmia delle figure che
abbiamo visto dosata nella pietà di Luco qui perde qualsiasi punto di riferimento. Non c’è un vero centro
di sviluppo del dipinto, il cristo è la figura protagonista come la vergine, ma ne uno ne l’altra sono al
centro del dipinto. Qui è tutto una perdita di equilibrio, alcuni di questi personaggi sembrano danzare e
stare in equilibri difficili e instabili, alcuni di questi non capiamo dove poggiano i piedi. Questa figura di
pia donna è molto rialzata ma non vediamo dove poggia. La perdita di un centro che se vogliamo
possiamo ritrovare nell’incrocio delle mani, sono loro che diventano il fulcro dell’azione, la mano del
Cristo tenuta da più mani, la mano della Maddalena che ci volge le spalle e ancora più in alto la mano
della Vergine. Questo incrocio di mani deriva dallo studio di Durer che più volte fa singoli studi di mani.
L’ultimo elemento è l’espressività, le figure hanno delle espressioni talvolta assorte talvolta quasi
inconsapevoli di star dentro questo drammatico momento della deposizione, ci guardano interrogative
senza esprime una drammaticità violenta che vuole creare un’empatia e ci chiedono qualcosa ma tutto
rimane a un livello di superficie, di partecipazione.
Viene realizzata per una chiesa cittadina, nel frattempo il collega Rosso Fiorentino approda a Volterra e
realizza la sua deposizione.
Giovan Battista di Jacopo detto Rosso Fiorentino (1494-1540) Deposizione olio su tavola, 1521, Volterra,
Pinacoteca e Museo Civico
Rosso sceglie un'altra soluzione, decide di farci vedere che si tratta di una deposizione,
sceglie di farci vedere la croce, un’ambientazione con la montagna su cui la croce è confitta
in un'atmosfera astratta, cielo di quasi blu oltremarino che non ha alcuna parvenza di
qualche nuvola. E’ uno sfondo compatto, quasi una quinta teatrale, il gruppo di figure sono
degli equilibristi, la figura praticamente poggia un solo piede ma non sappiamo come ce la
faccia a stare in piedi tenendo pure il Cristo. Nessuno di questi esistenti potrebbe stare su
queste scale in queste posizioni.
Altro aspetto è la figura del Cristo con colore verdastro un po’ allucinato, il corpo comincia a cambiare
dopo la morte e cambia il colore della pelle, tende la corda con estreme conseguenze del colore della
pelle. Il volto è sorridente, è morto felicemente sulla croce, anche in questo caso fa un qualcosa di
nuovo. Rosso accentua l’espressività in maniera felina, e lascia invece senza troppa drammaticità nella
parte bassa dove ci sono i dolenti, San Giovanni si porta le mani al volto citando l’Adamo masaccesco.
Maddalena citazione masaccesca del polittico di Pisa, e la vergine sorretta da due pie donne con le testa
reclinata. Rosso traduce il senso fortemente anticlassico e sperimentale la sua deposizione, la porta alle
estreme conseguenze. La lettura è complicata dietro c’è una figura che tiene il cristo sollevato, non
vediamo il volto vediamo un pezzetto sembra che i suoi capelli si uniscano nella capigliatura della figura
che lo sostiene. E’ una struttura complessa, volutamente artificiosa e difficoltosa.
Dopo aver lavorato a Volterra, approda in Roma clementina che è estremamente raffinata dove nasce il
gusto clementino, l'esperienza è breve poiché viene interrotta dal Sacco e dopo nulla sarà uguale, ma
prima è densa di esperienze e presenze, a Roma in questi anni insieme a Rosso c’è Parmigianino.
La produzione è estremamente raffinata verso quello stylish style, quindi si distacca dallo
sperimentalismo fiorentino e va verso un linguaggio raffinato e intellettualistico.
Quando Rosso arriva a Roma si scontra con la pittura di Michelangelo, non che lo conoscesse, lo
conosce e l’aveva visto a Firenze ma non aveva visto la sistina e lo sconvolge. La prima commissione
che riceve è di una cappella in Santa Maria della pace vicino a piazza Navona. Deve dipingere Adamo
ed Eva e la cacciata dei progenitori. Si tratta dell'opera meno riuscita, di fronte alla pittura di
Michelangelo perde i sensi e quella cacciata sono veramente brutte si capisce il suo stupore, la sua
perdita dei sensi. E’ un momento breve, ritorna nei ranghi e realizza un cristo morto.
Rosso Fiorentino (1494-1540) Cristo morto, 1525-1527, tavola, Boston, Museum of fine arts
Si trovava nell’altare della cappella in Santa Maria della pace, questo ci fa capire che Rosso
dopo il periodo dello sperimentalismo che aveva vissuto, nella Roma clementina elabora
uno stile diverso di uno stile raffinato, elegante in cui la monumentalità del Cristo non è
sforzata nel senso di una fisicità michelangiolesca, ma anzi di sensualità, corpo bello che
richiama lo sguardo per aspetto di una eleganza sensuale. Il volto è pacificato come sono
bellissime le teste degli angeli. I torcieri si intrecciano, sono cose rarissime. C’è un chiodo in basso per
riportarci al tema, ma quello che questo dipinto trasmette è la bellezza del corpo del cristo che si fa
vedere perchè è bello totalmente nudo.
Parmigianino, La visione di san Giovanni, 1526-1527
Siamo di nuovo di fronte ad un’opera che di naturale che di classico non ha niente, tutto è
bello, di un’eleganza innaturale, un dito come questo non esiste in natura. Un bambino in
grembo si atteggi come un passo di danza è assai desueto. Questa opera viene descritta da
Vasari, il quale ci dice che non riuscì a portarla a termine a causa del Sacco. San Girolamo
che dorme di scorcio, il san Giovanni battista, si parte da un serpentinato michelangiolesco,
torsioni delle sibille, ma qui vediamo un’eleganza di posizione innaturale con il dito che indica
la vergine in atto di leggere, assorta quasi inconsapevole della scena a cui partecipa. Il naturale si perde
per un’intellettualizzazione.
Parmigianino, Madonna col bambino e angeli, 1534-1540, olio su tela, Firenze, Gallerie degli Uffizi
Qua abbiamo l'apoteosi della sprezzatura. Madonna col collo lungo perché questa vergine
ha un allungamento di tutte le membra del corpo, in questo mutamento delle armonie delle
forme anche il collo si allunga, la vergine si porta la mano al petto. Il bambino è
inquietante, dorme con il braccio già nella posizione della deposizione. Accompagnata da
una serie di angeli che sono un tripudio di bellezza nei volti, ognuno ci guarda, ci
interroga. Una figura tiene un’anfora di argento meravigliosa anche questa in maniera
allungata, questo senso di lieve inquietudine di una bellezza che comunque ci interroga
sulla sua stessa essenza è confermato da questo colonnato, ci sono delle colonne, c’è
una figura di un profeta, si capisce che è una fila di colonne che non reggono niente quindi poco importa
forse sono lì semplicemente per bellezza con questo dipinto è un senso di estrema eleganza.
Parmigianino (1503-1540) Conversione di San Paolo 1527, olio su tela, Vienna Kunsthistorisches
Parmigianino prende come spunto da questa storia, ma a lui interessa rappresentare questo
cavallo che è un apoteosi di bellezza, bello, fiero, elegante che disarciona il suo cavaliere
ma con grazia, anche lui con una posizione innaturale con la sella di ermellino, raffinatezza
impossibile, non esiste. Questo cavallo si staglia in questo cielo, dove Parmigianino
rappresenta il raggio di luce che vuole essere il raggio divino. San Paolo ha perso il lume
degli occhi anche lui cade quasi danzando non si fa del male, è caduta elegantemente, alza
la mano che ha il numero delle falangi raddoppiate.
Parmigianino, Cupido che costruisce il suo arco 1532, olio su tela, Vienna, Kunsthistorisches Museum
Cupido ci dà le terga, ci mostra qualcosa che non è mai bene vedere in un quadro, ma è
talmente bello e elegante con quella sensualità che abbiamo visto essere intrisa nei dipinti
manieristi. Puttini che giocano, c’è tutta una valenza anche sensuale e malizia che emerge dallo
sguardo delicato del cupido che ci guarda e ci interroga sulla raffinatezza estrema raggiunta da
questi artisti.
Lascia Roma dopo il sacco e torna a Parma dove continuerà la sua carriera seppur breve perché morirà
nel 1540.
In Toscana dopo lo sperimentalismo anticlassico continua con Agnolo Bronzino, pittore della maniera
matura, è un pochino più giovane dei suoi colleghi, abbraccia la fase matura della maniera ed è evidente
il suo stylish style.
Agnolo di Cosimo detto il Bronzino (1503-1572) Deposizione olio su tavola, 1545, Besancon,
Museé des Beaux Arts
E’ diversa da quella di Rosso e Pontormo. Qui c’è un’eleganza giocata sui colori, ricerca di
colori laccati, giocata sulla gestualità ma non artificiosa, non trascinante, ma teatrale. Tutto il
dipinto è giocato sui toni del celeste. I gesti sono molto ricercati, espressione del dolore
estremamente filtrata quasi congelata, Bronzino adotta questo criterio di una
rappresentazione dell’espressione estremamente soffusa mai un dramma evidente ma
sempre suggerito e raggelato. Gestualità assai poco drammatica, malinconica, che sono una delle cifre
della maniera matura di bronzino.
C’è una declinazione della maniera anche a Venezia. I protagonisti di questa maniera sono il Tiziano
maturo, e accanto a lui due protagonisti del 500 Veneziano ovvero Veneziano e Tintoretto che declinano
la maniera in modi diversi.
Paolo Caliari detto il Veronese (1528-1588) Trionfo di Venezia, olio su tela, 1578-1582,
Venezia, Palazzo Ducale, Sala del Maggiore Consiglio
Scorcio in cui Veronese inscena il trionfo di Venezia rappresentata in trono in questa coltre di
nuvo