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STORIA DELL’ARTE MODERNA
27 OTTOBRE
Sebastiano del Piombo (1485-1547) Il giudizio di Salomone, 1507-1510, olio su
tela, Kingston Lacy (UK), Collezione Bankes
Sebastiano forse la lascia incompiuta per recarsi a Roma al seguito di Agostino
Chigi. Forse si tratta di un dipinto commissionato da un membro dal consiglio dei
dieci, Andrea Loredan, che Sebastiano non porta a termine a causa del suo
trasferimento. Si tratta di una scena biblica, ovvero il giudizio di Salomone, che si trova assiso al centro
della composizione, la scena si svolge all’interno di una basilica paleocristiana, caratterizzata dai
colonnati ai lati scanditi in maniera euritmica, che creano lo spazio architettonico sotto cui si imposta,
non centrale, c’è uno spostamento dell’asse, il trono non è perfettamente al centro della composizione, e
questa non centralità consente a Sebastiano di inserire la figura cruciale, cioè l’aiutante di Salomone che
deve tagliare il bambino in due, occupa uno spazio da protagonista e induce Sebastiano a mutare la
forma della composizione provocando un disassamento. La non centralità del trono per dare spazio al
soldato che deve tagliare. Accanto a Salomone assiso sul trono, dove sul primo gradino ci sono teste di
ariete, ci sono le due madri che discutono in maniera speculare, una di spalle l’altra che guarda il
riguardante, in una posa chiasmica.
Il soldato tiene il bambino, che non è rappresentato, essendo incompiuto.
Ci sono altri personaggi che assistono variamente alla scena della decisione di Salomone. Sebastiano
parte dalla conoscenza forte della pittura del suo tempo, è allievo di Giorgione ma riprende anche alcuni
stilemi di Giovanni Bellini. Ci sono alcune figure soprattutto quella del vecchio accanto al trono di
Salomone che passando da Giorgione affonda le sue radici nella pittura di Bellini.
Il volto di Salomone è completamente in ombra, si evince lo sguardo che è serio mentre una luce forte
che viene crea dei bagliori fortissimi sul mantello serico di Salomone. Il colorismo veneziano che da qui a
poco incontrerà Michelangelo.
Lorenzo Lotto nasce a Venezia nel 1480 da suo padre che si chiamava Tommaso e di cui non
conosciamo la professione, trascorre a Venezia tutto il periodo della formazione e qui riceve la sua
formazione artistica, quindi a pieno titolo è un pittore veneziano che però poi trova fortuna altrove in aree
periferiche, l’entroterra veneziano, ma soprattutto nelle Marche dove troverà il suo più fertile terreno. A
Venezia studia tutti i grandi pittori, Vasari lo ricorda come allievo di Giovanni Bellini. Altri autori ritengono
che sia allievo di Alvise Vivarini per la grande monumentalità delle sue opere. Tutte queste suggestioni,
rientrano nella sua conoscenza. in pochi anni notevole fama da venezia,
Lorenzo Lotto (1480-1556) Polittico di Recanati 1506-1508, olio su tavola, Recanati, Museo Civico di
Villa Colloredo Mels
Si tratta di una commissione dei domenicani di Recanati, con i quali continuerà ad avere
un rapporto professionale per tutta la vita. Questo vuol dire che se gli commissionano
un’opera, Lotto era già un’artista con una galleria di opere. Nel 1506 Lotto riceve la
commissione, nel 1508 lo termina. Parte da una solida impostazione veneziana, tutta la
scena, che è una sacra conversazione, si svolge all’interno di un’architettura, dove
inserisce figure monumentali sempre inquiete, non sono mai sorridenti o ammiccanti.
Molte ci guardano ma con sguardi interrogativi, vogliono suscitare un pensiero mai sereno
ma sempre lievemente inquieto, si tratta di una delle cifre stilistiche di Lotto. Figure monumentali
immerse in una penombra percorsa da bagliori di luce e quindi con una creazione di forti contrasti.
Roberto Longhi incasella Lotto non nel grande casellario degli artisti rinascimentali, ma lo mette a parte.
Longhi ci dà dei dettagli importanti, l'irrequietezza interna della forma che troviamo nelle figure, parla
addirittura di animismo che cavilla continuamente la forma e poi parla della luce, ma per lui non è chiara
regola solare ma soffio discontinuo vagante. L’impostazione è la classica veneziana, come il trittico dei
frari di Bellini, quindi un quadriportico con al centro una volta cassettonata dove si impostano le figure
centrali, la vergine col bambino, San Domenico, gli angeli musicanti, sostanzialmente una
rappresentazione caratteristica. Gli altri santi nelle due pale laterali sono inseriti nel quadriportico aperto,
quindi la luce entra dall'esterno e invade le due pale laterali. Nei due riquadri sopra partecipano alla
conversazione guardando di sotto per essere coinvolti, lo sfondo si fa scuro, si stagliano solo per il
bagliore che li colpisce. Così avviene nella cimasa dove c’è cristo deposto, lo taglia alle gambe,
dobbiamo immaginare che le gambe penzolino sopra la nostra testa.
Lotto non si accontenta di guardare Bellini o Giorgione o i colleghi contemporanei, guarda Durer. La
fascinazione della pittura nordica è per Lotto fonte inesauribile di ispirazione.
Termina nel 1508 e nel 1513 partecipa a una sorta di concorso con altri pittori per i domenicani di
Bergamo, per eseguire una pala d’altare per la loro chiesa e lo vince. Inizia un percorso a Bergamo per
13 anni.
Lorenzo Lotto (1480-1556), Pala Martinengo 1513-1516, olio su tavola, 520x250, Bergamo, Chiesa dei
Santi Bartolomeo e Stefano
Detiene il record di pala più grande dipinta da Lotto. E’ un’altra sacra conversazione,
impostazione monumentale. Il trono non è impostato sul catino absidale ma è quasi a
metà di un transetto, perché dietro di lei si apre una fila di colonne, dietro c’è ancora uno
spazio architettonico ampio. Dietro il trono luminoso c’è un recesso oscuro, la luce non è
un bagliore luminoso diffuso, è una luce che crea continui passaggi di chiaro e di scuro.
Le figure sono disposte non proprio ordinatamente in semicerchio che va anche dietro il
trono della vergine, una parte è occlusa alla vista. Questa struttura architettonica si
termina con un oculo aperto con una balaustra camminabile dove si affacciano degli angeli che portano
le corone e che ci fa venire in mente un’altra soluzione, ovvero quella di Mantegna.
Le figure dei santi sono bellissime, la madonna è anche un po’ sfastidiata con il bambino che sfugge, la
stessa vivacità dei puttini che stendono il drappo sul pavimento prospettico su questo trono, il
basamento con zampe leonine sembra quasi una invenzione carnavalesca. Il trono scolpito nel legno,
c’è il leone di san Marco che si affaccia anche lui interrogativo ci guarda dalla penombra, un po’
umanizzato. La vergine alza la mano in segno di richiesta di aiuto.
Dopo questi anni bergamaschi le sorti di Lotto si intrecciano nuovamente con le Marche dove nel 1532
esegue per la confraternita di Santa Lucia (Agliesi?) la pala di Santa Lucia.
Lorenzo Lotto (1480-1556) Pala di Santa Lucia, 1532, tecnica mista su tavola, Jesi, Pinacoteca civica
Qui esplode in un colorismo straordinario, qui siamo negli anni 30 la sua pittura è cambiata ormai si è
allontanato da Venezia, qui gioca su un effetto coloristico che diventa eclatante, tutti colori accesi, puri in
questa composizione concitata con la luce che colpisce direttamente santa Lucia trapassa mutevole sui
personaggi, indugia su alcuni dettagli, come ad esempio la bellissima manica, ridipinge quasi ad avere di
fronte un vestimento reale del soldato che trattiene la santa Lucia, davanti al giudice che le chiede di
onorare l’idolo ma santa Lucia non ci pensa e spiega che l’unica fede è nel Dio che sta in
cielo. Il giovane cerca di trattenerla sapendo che questa risposta le procurerà sicura morte.
Questo dipinto costruito in maniera teatrale con il trono del giudice che noi vediamo tagliato
dalla linea di demarcazione del dipinto stesso, messo di traverso, inquadrato tutto dagli archi
bellissimi dell'architettura che tengono insieme queste forze centrifughe perchè alcuni
guardano verso santa lucia altri si spingono verso l’esterno. Questa luce varia crea passaggi
anche violenti in questa atmosfera dove il colore domina l’intera composizione.
Lotto guarda a Durer che negli anni 30 è opera diffusa anche attraverso le incisioni. Questo incrocio di
volti è dureriano, anche Durer farà dei dipinti in cui ci sono volti in cui si vedono solo i volti.
In primo piano la fantesca che cerca di tenere il bambino con questo contrasto di colori sia della pelle
che dei vestiti che attira l’occhio.
Lorenzo Lotto, Annunciazione, 1534
Per la nuova sede dei mercanti di Recanati dipinge questo dipinto. Ci racconta quella
umanizzazione delle figure nel senso della quotidianità che Lotto dà a certi suoi personaggi
nella Vergine dell’annunciazione dove raggiunge il suo massimo grado. Siamo in una
stanza, in cui si svolge quest’annunciazione, c’è un’ampia apertura da cui fa ingresso
l’angelo con il giglio bianco, si è inginocchiato, è entrato da questo grande arco aperto sul
giardino, alza il braccio destro a indicare Dio. La sua posizione non è naturalissima è in contrapposto, il
ginocchio è scoperto mentra il braccio opposto è alzato, crea anche lui un chiasmo è ancora nell’atto di
farlo, come se il vento gli sollevi i capelli e alza la mano indicando Dio padre che arriva da una nuvola
con un gesto di benedizione che segna la perentorietà. C’è talmente tanto turbamento che la Vergine
con l’inginocchiatoio verso la luce, l’esterno cerca di scappare e si rivolge con un incipiente salto. Questa
repentinità del movimento è enfatizzata dall’espressione in cui c’è dentro tutto il turbamento, la sorpresa
e anche l’umiltà. Anche con le mani enfatizza la paura e al contempo apre all’accettazione. E’ una
gradualità che Lotto descrive benissimo
Lorenzo Lotto (1480-1556) Ritratto di Andrea Odoni 1527, olio su tela, Windosor Castel Royal Collection
Lorenzo Lotto fu anche un grande ritrattista. Andrea Odoni è un mercante lombardo che risiede a
Venezia, ne parla Marcantonio Michiel. Nel 1660 quest’opera viene venduta ed entra nelle collezioni reali
inglesi. Moltissime opere veneziane si trovano in Inghilterra.
E’ rappresentato all’interno di una stanza che potremmo definire come suo studiolo. I pezzi che vediamo
di scultura non sembrano trovare dei veri riferimenti di scultura, si tratta di uno studiolo ideale, l’unica
scultura che possiamo individuare come reale è la testa di Adriano. Odoni è seduto
presso un tavolo indossa una veste molto grande che in gergo si chiama robone che è
rivestito internamente di pelliccia e tiene in mano una statuetta, la protende verso di noi,
forse una Diana efesina. Sul tavolo ci s