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DE TRANQUILLITATE ANIMO
È nono secondo l’ordine tramandato nel codice ambrosiano ed è dedicato a Neo
Sereno, all’epoca di Nerone era stato prefetto dei vigili. Sereno muore intorno al 62-63.
Tacito e Cassio Dione ci dicono che nei primi anni del principato di Nerone fece da
schermo ad una relazione tra Nerone e una liberta.
A lui è dedicato anche il dialogo De Constatia Sapientia e forse il De Ozio. È incerto
quest’ultimo perché, nell’indice riportato dal codice abrosiano, a proposito del De Ozio,
il dedicatario è cancellato; gli studiosi ipotizzano Sereno e possa trattarsi di una
trilogia dedicatagli.
Nel De Constantia Sapientis Sereno non è stoico ma epicureico, nel De tranquillitate
animi è stoico come Seneca, per questo pensiamo sia precedente il De Constatia
Sapientis.
Il De tranquillitate animi è l’unico dialogo in cui parla in prima persona l’interlocutore,
ossia Sereno. È un uomo sulla via della virtuù, che professa e pratica le virtù (come la
parsimonia), però quando gli capita di trovarsi nel lusso non resta insensibili il suo
animo, è colpito. Non è che lui cambia stile di vita, è convinto della giustezza della vita
virtuosa che conduce, ma non resta insensibile davanti a cose, che dal punto di vista
stoico, sono insensibili. La malattia interiore di cui soffre è l’oscillazione, è guarito dal
male ma non sta ancora veramente bene -> condizione di incertezza, insicurezza. Si
rivolge a Seneca, al medico come il malato. Nel II capitolo Seneca interviene. La
diagnosi che fa Seneca è che soffre di lentas, incostanza, noia, per cui si passa da una
situazione all’altra, si illudono di sconfiggere la noia passando da un luogo all’altro.
L’ideale morale che addita all’interlocutore è quella della tranquillità dell’animo.
All’insoddisfazione di sé, al fatto di non essere contenti di noi stessi oppone la serenità
dell’animo (che consiste nel corso regolare della vita e dell’animo sempre costante,
che non si esalta o deprime per niente. Evita gli eccessi. È soddisfatto di sé sulla base
della virtus).
Latino, 02/05/2022
Al malessere di Sereno (levitas), Seneca indica come soluzione la tranquillità
dell’animo, concetto che risale al filosofo greco Demostene (mare calmo); quindi,
quella è l’origine del concetto di tranquillità riferito all’animo umano.
Vita attiva e ritirata, soluzione che indica Seneca nel dialogo, di alternare la vita attiva
alla ritirata (dedicata all’ozio, agli studi). In questo opuscolo Seneca ancora crede nella
possibilità ad un impegno alla vita politica. Nel De Ozio sosterrà la necessità di
dedicarsi allo studio, si colloca all’altezza del ritiro dalla vita pubblica, ci aiuta a
stabilire una cronologia relativa (si colloca prima del De Ozio, prima crede nel fatto di
potersi dedicare alla vita politica).
Haase ha esplicitato il nome di Serenus
“A me che indagavo in me stesso mi apparivano o Seneca alcuni vizi evidenti tali
1.
che io potessi afferrarli con la mano, altri invece più oscuri e reconditi, alcuni vizi non
continui, ma che si manifestavano a momenti alternati, che io dovrei definire i più
fastidiosi come nemici e errabondi (vaganti) e che assalgono all’occasione a causa dei
quali non è consentita né l’una né l’altra cosa, né pronto come in guerra né sicuro
come in pace”
Poliptoto -> uso stessa parola (pronome, “mihi me”) in casi diversi. Fa la distinzione
tra vizi evidenti e altri più oscuri
Seneca dirà che la felicità consiste nella felicitas e securitas (rispetto all’aggressione
esterna)
“Tuttavia quella condizione io la colgo massimamente in me perché infatti non
2.
dovrei confessarti il vero come ad un medico, né in tutta sincerità liberato di quei vizi
che odiavo né di nuovo soggetto ad essi; infatti, io mi trovo in una condizione non
pessima e però massimamente lamentosa e uggiosa, fastidiosa ”
Sereno si pone come il malato rispetto al medico, che è Seneca. La condizione di
Sereno non è completamente guarita, liberato da quei vizi e mali che odiava né del
tutto soggetti ad essi -> come quando si supera la febbre, ma non si sente
pienamente in salute, teme che la febbre possa ritornare
“nec aegreto nec ualeo” -> “né sto male, neanche in salute”
Seneca ricorre spesso alle metafore per esprimere il suo pensiero filosofico, qui c’è
una metafora medicale
Frasi giustapposte, diversamente da Cicerone
“Non c’è motivo che tu dica che gli inizi di tutte le virtù sono incerti, deboli e che
3.
invece con il tempo ad esse si aggiungono il
(antitesi asindetica) (virtù)
consolidamento e la forza; non ignoro, so (litote nega il contrario di quello che si vuole
dire) anche che quelle attività che si danno da fare per apparire mi riferisco alle
cariche onorifiche (onori pubblici) e alla fama eloquenza e a tutto ciò che punta al
sostegno altrui con il tempo diventano più forti – (inciso che riferimento alle attività
sia quelle cose che offrono vera forza
che puntano all’apparenza e al sostegno altrui)
sia quelle che per piacere si imbellettano aspettano anni finché a poco a poco il lungo
tempo trascorso acquisti colore (hanno bisogno di tempo affinché possano far proprio
– ma io temo
il colore, nel senso che possano affermarsi e diventare salde) (verbi di
he la
timore, ne+congiuntivo -> quando si teme qualcosa che non si desidera) c
consuetudine che conferisce alle cose la costanza conficchi ancora di più in lui (teme
che la convivenza con questo vizio lo radichi ancora di più in lui, ha paura che questa
. Tanto dei mali quanto dei beni la loro lunga
sua consuetudine possa divenire stabile)
frequentazione suscita amore degli uno o degli altri (ha paura di abituarsi alla
situazione di oscillazione, incertezza)”
Non est quod dicas -> “non c’è bisogno tu dica”
La consuetudine ha una valenza etica importante in Seneca – un passo parallelo (De
Providentia, problema dei mali che capitano ai buoni, cerca di giustificare Dio, è un
buon padre che vuole rafforzare i suoi figli, diversamente dalle madri che vogliono
proteggere i figli -> Dio è un buon padre; capitolo 4 paragrafo 15) in cui fa vedere
come sia importante la consuetato. In questo passo dice che la consuetudine ha
trasformato in natura la condizione dura dei germani e dei danubiani -> scrive “non è
per nulla misero ciò che la consuetudine ha trasformato in natura, a poco a poco
risultano piacevoli quelle cose”
Virtutium -> genitivo plurale in -um
Stilema caro a Seneca -> antitesi contrapposizione asindetica perché c’è la virgola e
quindi non c’è una congiunzione. L’antitesi e l’anafora sono care a Seneca tanto che
Grimall ha detto che “Seneca pensa per antitesi -> con asindeto e senza “non questo
ma quello”, “non questo, quello”
Dignitas -> cariche onorifiche
Fucus -> belletto, significa “rosso”, “trucco”
Ueras uires -> allitterazione
Diuturnitas -> lungo tempo trascorso
Ego -> non si esplicita solitamente, lo si fa per enfasi
Conversatio -> stare insieme con qualcuno
“Questa debolezza dell’animo
4. (iperbato – si riferisce ad infirmitas nel rigo seguente)
che è incerto tra l’una e l’altra cosa, che non inclina né decisamente verso il bene né
verso il male, di che natura sia questa debolezza dell’animo io non te lo posso
mostrare nel complesso, quanto in parti esempi): io ti dirò ciò che mi capita, tu
(per
troverai il nome di questa malattia”
Invenies -> “trovare”
Haec infirmitas -> iperbato
Fortiter -> si riferisce (ad recta e ad praua) a due membri diversi ma si trova in uno dei
due -> apo koinu “in comune”
Non tam… quam -> in relazione
“Io sono trattenuto da un grandissimo amore per la parsimonia
5. (in balia di) lo confesso: mi piace un letto non
(frugalità, vita semplice senza sprechi, sperpero)
fatto per apparire, mi piace un vestito cacciato fuori dal forziere, un vestito non stirato
con pesi e con mille strumenti di tortura che costringono il vestito a risplendere, ma
un vestito ordinario e di poco pregio, né conservato né da
(antitesi avversativa)
indossare con preoccupazione (perché pregiato)”
Fateor -> confessare
Cubile (penultima lunga) -> letto
Prolata -> estratto
Ponderibus -> pondus -> “ponderoso, pesante”
Splendere -> risplendere
Expressa -> in questo caso significa stirato
Seruata e sumenda -> stessa estensione sillabica (tre) e allitteranti in “S”
“Mi piace un cibo che né preparino né contemplino per ammirarlo stuoli di servitori
6. servitù), non ordinato molti giorni prima né servito
(le famiglie, insieme di schiavi,
dalle mani di molti ma che
(se richiede molte mani, molti servi è un cibo abbondante)
si può provocare e che è semplice, non avente nulla di ricercato o di pregiato (un cibo
che non mancherà mai), che non risulta pesante né per il patrimonio né per il corpo
facilmente), un cibo non destinato a ritornare da dove è
(non costoso e si digerisce
entrato (non essere vomitato)”
Allitterazione in M -> multorum manibus ministratus
Rediturus -> participio futuro (permettono di abbreviare la frase) redeo -> destinato a
non ritornare
Anche Epicureo insegnava uno stile di vita semplice, infatti diceva “se ho pane e
acqua sono felice come Zeus”
“Mi piace un servo incolto e lo schiavetto rozzo, mi piace l’argenteria pesante del
7.
padre rustico senza alcun nome dell’artigiano che l’ha lavorato,
(di origini contadini)
una mensa non
(tavola con le vivande intorno alla quale erano sdraiati sui divani)
cospicua per la varietà delle venature né nota alla
(che si fa notare) (del legno)
cittadinanza per le molti successioni di padroni eleganti (i molti padroni eleganti nelle
ma posta
cui mani è passata come i mobili pregiati, in questo caso la tavola pregiata)
per l’uso utilizzata), che non trattenga gli occhi di nessun
(non ammirata ma
banchettante per il piacere della vista né li accenda per l’invidia” -> vuole una tavola
anonima
Uernula -> diminutivo di uerna, sch