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CASO
Ci concentriamo su fattispecie di scambio in cui può esserci
do ut des, o
scambio di prestazione di facere contro cosa,
o facio ut facias.
Do ut des: baratto, modo più elementare per acquistare o scambiare. Pur essendo un
mezzo antichissimo, la permuta, non ha avuto mai la dignità di un contratto tipico – i
giuristi non l’hanno mai considerato come contratto in senso proprio munito di un suo
status e di una sua tutela tipica (ad hoc nell’editto).
La permuta rimane, atipica innominata, rimane un accordo cui non accede un rimedio
apposito.
Cosa succedeva nel caso in cui la permuta avesse trovato esecuzione solo parziale?
Ti ho dato il mio vaso ma tu non mi hai dato lo schiavo; che pretese ho io, primo e
unico adempiente, rispetto all’accordo stipulato? Avrò soltanto, almeno fino al Labeone
(primo secolo a.C.), un’azione per riprendermi il vaso che ho scambiato – un’azione rei
persecutoria che tutela il mio interesse negativo: interesse a non sopportare delle
perdite per effetto della convenzione pattuita.
La mia aspettativa quindi può essere, tuttalpiù, quella di riprendermi ciò che avevo
consegnato inutilmente.
L’interesse principale, chiamato positivo, di pretesa all’adempimento altrui, in questo
negozio (come negli altri negozi innominati), almeno fino al Labeone (primo secolo
a.C.), non era tutelato.
Actio praescriptis verbis
Ci sono anche fattispecie in cui lo scambio avviene con il coinvolgimento di una
prestazione di fare: facio ut des o facio ut facias.
Il primo contraente esegue la sua prestazione di facere: cucinare per un banchetto,
pulire le stalle ecc; quid iuris se l’obbligazione di facere è stata compiuta ma non vi sa
seguito la controprestazione promessa in cambio?
Ferma l’introduzione dell’azione generale di adempimento con Labeone dal primo
secolo in poi. La tutela prima di ciò consisteva solo nel potersi riprendere ciò che
avevo dato, ma in questo caso di facere non ha la conditio – non può riprendersi nulla.
Rimediamo quindi con l’actio de dolo, nel senso di concedere a chi ha eseguito la
prestazione di facere questo rimedio diretto apparentemente ad ottenere una pena
commisurata al valore della prestazione svolta, di fatto questa pena sarà equivalente
a risarcimento + recupero del valore di quanto fatto.
Abbiamo una penalità molto affievolita che fa ottenere lo stesso risultato dell’azione
rei persecutoria, con l’aggiunta della minaccia dell’infamia in capo al convenuto, con la
possibilità di questo di restituire (riparazione, soddisfacimento dell’interesse
dell’attore) e eliminazione dell’ingiustizia.
Molti studiosi ritengono che sarebbe appropriato vedere nell’actio de dolo il calco, il
modello della nostra responsabilità ex 2043: la figura sottesa dall’actio de dolo ha
quella concezione di rimediare ad un danno ingiusto comunque arrecato.
Abbiamo visto come l’art 1337 non offra grandi indizi per qualificare in un senso o in
un altro la responsabilità precontrattuale.
Di fatto gli argomenti sono facilmente immaginabili da parte dei sostenitori di chi
intende la responsabilità precontrattuale come responsabilità contrattuale e di chi la
riconduce, invece, ad una responsabilità extracontrattuale.
Chi ritiene che sia una sottospecie del 2043 e debba quindi seguire quel regime in
tema di prescrizione e di prova, si limita a dire che non c’è un contratto (fino a che non
si arriva ad un accordo, tutto quello che sta dentro le trattative ha valore di mero fatto,
non crea obbligazioni vere e proprie) – a questa impostazione si può obiettare che il
1337 in realtà pone degli obblighi di buona fede tra le parti in fase di trattativa quindi
prima dell’accordo vero e proprio: quindi sarebbe rinvenibile un vincolum iuris che se
violato esporrebbe la parte poco trasparente ad una responsabilità contrattuale.
Per lungo tempo la tesi preferita è stata quella della responsabilità aquiliana:
un’impostazione più sfavorevole per il danneggiato, che riconduceva la
precontrattuale ad una species del 2043 cc.
Questa impostazione molto consolidata è stata un po' scossa con l’affermarsi
dell’obbligazione senza prestazione che viene importata in ambito sanitario, ma poi
applicata ad altre fattispecie. In alcune pronunce dal 2000 in poi da mostra di poter
rimeditare questo solido ancoraggio della precontrattuale al 2043 cc.
Ma poi, con una sentenza del 2016 n 4188, propone una diversa soluzione teorica che
a suo avviso è utile per dirimere la questione e che fa leva su istituti di diritto romano
che costituiscono il fondamento del ragionamento sviluppato.
CASO: contratto di appalto di un’impresa con una PA (in particolare un comando di carabinieri).
Per questo tipo di contratti che coinvolgono un’amministrazione dello stato centrale
(non un comune, una regione ecc. ma un’arma dipendente dal ministero), una vetusta
normativa risalente al 1913 richiede la c.d. superiore approvazione: richiede che (una
volta che la singola articolazione periferica dell’arma abbia concluso l’accordo,
individuato il contraente, capito cosa serve e quant’altro) ci sia anche una sorta di
provvedimento ulteriore da parte dell’amministrazione centrale che approva la stipula
del contratto e ne segna il perfezionamento.
In questo caso l’accordo era stato convenuto tra appaltatrice e l’articolazione periferica dei
carabinieri, ma il ministero (comando centrale) non aveva mai dato questa superiore
approvazione e quindi non aveva mai concluso il “cerchio” degli elementi che servivano per
dichiarare ad ogni effetto perfezionato il contratto stesso; non c’era mai stata, quindi, alcuna
esecuzione. Quid iuris?
L’appaltatrice cita in giudizio le amministrazioni coinvolte, ritenendo che ci fosse già concluso il
contratto ma fosse mancato l’evento dedotto (la superiore approvazione) in una conditio iuris:
riteneva che il contratto si fosse perfezionato ma non fosse mai divenuto efficace per manata
emanazione di questo provvedimento a cui era sospensivamente condizionato l’efficacia del
contratto stesso.
Contratto valido ma sottoposto a condizione sospensiva -> manca l’evento quindi il
contratto non può produrre i suoi effetti.
Ritenuto che il non verificarsi fosse colpa dell’amministrazione rimasta inerte, l’appaltatrice
agisce per avere i danni in via contrattuale che le derivano dal non aver poi potuto eseguire
l’appalto e incassare i compensi.
Diversa ricostruzione invece riteneva che il contratto non si fosse mai concluso perché
questa superiore approvazione non sarebbe stata una condizione successiva (che
condizionava sospensivamente gli effetti), ma un elemento integrativo della
fattispecie; quindi, mancando, non ci sarebbe mai stato alcun valido accordo e il
danno fatto valere dall’appaltatrice, in realtà, sarebbe stato rilevante solo sul piano
precontrattuale con conseguente prescrizione della pretesa (perché erano passati
diversi anni dal momento di attivazione del giudizio e quello di verificazione del fatto
da cui sarebbe derivato il danno).
L’appaltatrice perde sia in primo che in secondo grado e comunque interpone ricorso davanti
alla suprema corte insistendo nella propria pretesa risarcitoria che postula nella fattispecie sul
piano contrattuale.
La corte dà ragione alla ricorrente, cassa la sentenza di merito di appello, ma
propendendo per una ricostruzione tutta diversa da quella del ricorrente: non ritiene
che un contratto vi fosse (pur inefficace), ma ritiene che la fattispecie della
responsabilità precontrattuale effettivamente vada soggetta al regime contrattuale,
quindi a prescrizione decennale – perciò è pienamente ancora attivabile
dall’appaltatrice.
Il ragionamento fa leva non sull’obbligazione senza prestazione tedesca, ma su un
altro percorso logico, giuridico e storico che leggeremo nella sentenza. 29 marzo 2021
Ci eravamo lasciati sulle ultime considerazioni che la corte di cassazione ha elaborato
in materia di precontrattuale: in particolare avevamo accennato ad una fattispecie che
poteva situarsi un po' borderline tra contratto e precontratto – il caso dell’impresa e
del comando dei carabinieri.
Sentenza della Corte di Cassazione favorevole all’impresa, quindi al privato,
respingendo l’eccezione di prescrizione sulla base di un ragionamento peculiare: non
segue la tesi del contratto già perfezionato ma inefficace per mancato verificarsi della
condizione, ma sostiene che (è vero che siamo nell’ambito delle trattative, quindi nella
precontrattuale del 1337 per cui una parte ingiustificatamente si era sottratta alla
stipula) questo momento viene posto - in un momento anteriore all’accordo e al
contratto – nella sfera comunque contrattuale avviandosi in questo modo alla visione
tedesca già affrontata, ancorché sulla base di una motivazione sui generis.
La sentenza prende in considerazione il problema del contatto sociale qualificato (visto
nella dottrina tedesca e poi in Italia, in particolare il professor Castronovo, se n’è fatto
alfiere con un certo successo).
Ambito sanitario
Anche la dottrina nazionale, in area precontrattuale, ha optato recentemente per
questo tipo di contratto sociale qualificato.
Nonostante questa propensione della dottrina per l’area contrattuale, la
giurisprudenza di Cassazione è risultata per lo più ancorata all’estremo opposto
propendendo per l’inquadramento ai sensi del 2043 cc.
La corte dice che con questa dicotomia manichea (o è tutto contratto o è tutto
illecito/delitto; o è tutto 1218 o è tutto 2043), sotto il profilo del regime rimane sul
piano delle fonti un po' trascurata l’ultima parte del 1173 “Fonti delle obbligazioni”,
che parla di contratto, illecito, ma aggiunge poi che produce obbligazione anche ogni
altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità all’ordinamento giuridico.
Quindi, questo art. concede spazio anche ad altre fonti che vengono riconosciute
dall’ordinamento idonee a sortire effetti obbligatori.
Il 1173 nell’indicare l’illecito, il contratto, e poi questo ulteriore contenitore di altri fatti
o atti ritenuti dall’ordinamento produttivi di obbligazione, di fatto rispecchia un antico
passo di Gaio in cui il giurista stava chiedendosi che cosa producesse obbligazione.
Nella prima stesura delle Istituzioni, lui spiegava ai suoi studenti che in effetti
l’obbligazione o veniva da contratto o veniva da fatto illecito, cioè da delitto; ma poi si
rende conto che dividere in modo così in due