COSA STUDIO?
Lo scopo del farmaco, inteso come medicinale con effetto
terapeutico, è agire su uno stato patologico. Della malattia a volte
conosco le cause, altre volte no, ma nella maggior parte dei casi
riconosco bene i sintomi. Il farmaco vorrebbe contrastare la malattia
e agire sulle cause e/o sui sintomi. Sarebbe ideale agisse su
entrambi. 82
Il farmacologo conosce le alterazioni molecolari. In quella malattia, caratterizzata da certi sintomi e con cause ipotizzate
o non definite, so che ho certe alterazioni molecolari, ad esempio la riduzione della proteina X. Il farmaco cerca di
contrastare l’alterazione molecolare cercando di agire sia su sintomi che sulle cause.
Devo avere un modello perché devo individuare le alterazioni molecolari.
Nell’uomo posso individuare i sintomi e con studi epidemiologici o di
altro tipo posso individuare anche le cause. Soprattutto per certe
patologie che coinvolgono il SNC, è difficile osservare cosa accade in un
punto preciso. Mentre in altri distretti è possibile fare una biopsia (per
cui vedo cosa succede in quel compartimento), nel SNC è quasi
impossibile intervenire con tecniche invasive, a meno che, se il soggetto
ha un tumore cerebrale o un trauma cranico e si sta già intervenendo, si
può prelevare un pezzo. Ma se un soggetto ha una patologia psichiatrica
o una malattia neurologica non si può fare.
Le tecniche di imaging hanno fatto un salto di qualità importante per cui posso capire cosa succede nel SNC in tanti
contesti ma non posso effettivamente vedere un aumento/riduzione di proteine o cose simili posso vedere un
aumento/riduzione di attività cerebrale; posso vedere in che aree succede ma non è semplice capire cosa succede a
livello molecolare.
Un importante filone di ricerca è quello dei biomarcatori, cioè sostanze che sono indicatori già presenti nel nostro
organismo. Nell’ambito tumorale abbiamo a disposizione tanti biomarcatori di trattamento, importanti per decidere il
tipo di terapia che il soggetto può affrontare. In ambito oncologico, ci sono tante cure che derivano dallo studio del
sistema immunitario (immunoterapia) ma non per tutti i pazienti queste cure possono essere adatte, dipende da una
loro situazione intrinseca che viene valutata con il biomarcatore. Biomarcatori di malattia sarebbero ideali. Il
biomarcatore è qualcosa che si misura facilmente nelle urine, nel sangue, nella saliva e che mi dà indicazione di ciò che
succede anche a livello cerebrale. La ricerca sta cercando di capire come l’alterazione di alcune molecole a livello
plasmatico corrisponda all’alterazione di queste stesse molecole a livello cerebrale.
Il modello è una versione semplificata. Purtroppo, non sono in grado di fare un modello perfetto al 100% perché la
situazione reale è complessa e devo creare una versione semplificata per capire come insorge la malattia, cosa succede
quando insorge, come progredisce (il suo decorso) e per sviluppare degli interventi terapeutici più mirati ed efficaci.
Devo individuare le alterazioni molecolari, che sono il punto di partenza per sviluppare un farmaco.
A seconda che questi sistemi molecolari alterati che vedo siano la causa o l’effetto della malattia, avrò dei potenziali
bersagli per il trattamento farmacologico.
Devo creare dei modelli predittivi di una patologia, che la
riproducono, ma non nella sua completezza. Devo individuare i
sistemi alterati che possono essere la causa della patologia. La
riduzione della proteina X potrebbe essere la causa primaria della
patologia, quindi se riesco a correggerla, riesco ad arrivare alla
guarigione. Oppure la riduzione di proteina X potrebbe essere un
effetto, ci potrebbe essere un’altra proteina che mi provoca la
riduzione, quindi dovrei agire, prima della riduzione, su
qualcos’altro, ma non so cosa sia il qualcos’altro. In questo
secondo caso avrò un farmaco che non guarisce ma che migliora
la sintomatologia. Per questo i sistemi molecolari devono essere studiati molto a fondo in tutte le loro sfaccettature,
isoforme, espressione, etc. 83
QUALI MODELLI?
Questa slide è molto riduttiva, perché fa vedere una
situazione estrema: impone che si usino solo modelli in vivo e
in vitro. Ma accanto a questi ci sono modelli in silico, quindi al
computer, con cui possiamo capire se il farmaco si adatta
bene al bersaglio.
In realtà non c’è un modello migliore di un altro, tutti questi
approcci sono utili per avere quante più informazioni
possibili. Molto spesso si sente parlare di metodi alternativi
all’uso degli animali: sono alternativi sì, ma non sono la stessa
cosa. Ogni modello infatti risponde ad una domanda, ma le
domande sono molte. L’ideale è avere più modelli per
raccogliere più informazioni.
Abbiamo quindi:
- modelli in vitro: colture cellulari → stabili o primarie (tessuti freschi)
- modelli in vivo: animale
- modelli ex vivo: sono una via di mezzo. Ad esempio, ci sono studi che vengono fatti non su animali né su cellula, ma
sulle fettine: ad esempio abbiamo le fettine cerebrali che, se prelevate dall’animale in tempi consoni e usate
rapidamente, consentono un mantenimento dell’attività dei circuiti cerebrali.
I modelli in vitro corrispondono all’uso di colture cellulari, sempre più raffinate e vicine ai pazienti. Questo per le
patologie psichiatriche è molto importante perché, se potessi ricreare una condizione molto simile a quella del paziente
in vitro, sarebbe l’ideale. Il problema è che mi dà solo alcune risposte, perciò allo stato attuale l’utilizzo di modelli in vivo
è necessario. Si spera di trovare delle modalità che permettano di limitare l’utilizzo di modelli in vivo.
Le colture cellulari danno dei vantaggi importanti:
- Economiche
- Si impara più facilmente (rispetto a lavorare con gli animali),
- Non sono richieste le stesse competenze per lavorare con animali
- Il numero di campioni è alto
- Il sistema è molto pulito: se ho colture di neuroni di ippocampo, nella piastra avrò solo neuroni e solo di ippocampo.
In questo caso non vedo interferenze con astrociti, glia o altri neuroni.
Il vantaggio principale, quindi, è che sono economiche perché fare un esperimento su colture cellulari è molto più
economico che su un animale da esperimento. L’animale di laboratorio per eccellenza è il topo (sono animali di
allevamento, che hanno caratteristiche di omogeneità, purezza, patogen free) e mediamente un topo costa 25-30 euro.
Immaginiamo di voler saggiare un farmaco sui topi e vedere cosa succede. Avremo il gruppo di controllo e quello
trattato. Il controllo è un gruppo particolare, non è completamente non trattato. Per ragioni statistiche, a seconda di
cosa si vuole ottenere dall’esperimento (se si vuole un dato comportamentale è più difficile da ottenere), bisogna avere
almeno 20 campioni. I costi degli esperimenti aumentano velocemente perché difficilmente si ha un esperimento con
meno di 80 animali, perché magari di un farmaco bisogna provare due dosi, bisogna vedere cosa succede a tempi diversi,
etc. Il costo non è solo della materia prima ma anche dello sperimentatore.
Quello delle colture cellulari è un sistema molto semplificato e pulito che mi permette di ottenere una risposta
abbastanza univoca. Ma nella realtà sappiamo che non è così, perché abbiamo tanti sistemi che comunicano tra loro.
Se voglio caratterizzare bene un meccanismo, la coltura cellulare è il sistema migliore perché non crea confusioni perché
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non ci sono grosse variabili. Ma quello che più si avvicina all’uomo è un organismo intero, quindi un animale → studi in
vivo. Anche se non è uguale all’uomo, è l’organismo più vicino. Alcune patologie si possono studiare nell’uomo, ma non
sempre è possibile: se voglio studiare qualcosa di cerebrale non sempre è possibile, quindi mi serve un modello che, in
maniera semplificata, abbia qualche analogia. Nonostante la grande ricerca di biomarcatori (qualcosa che a livello
periferico mi dà informazioni di ciò che succede, per esempio, a livello cerebrale ), non siamo ancora così avanti in
questo, quindi si usano ancora i modelli animali.
I modelli animali non sono la perfezione, sono comunque diversi dall’uomo. Alcune patologie possono essere studiare
direttamente nell’uomo (con l’imaging), ma spesso serve un modello animale che qualche analogia ce l’abbia. Non
riusciamo già a predire un cambiamento cerebrale a partire da qualcosa che succede a livello periferico.
Le funzioni del nostro organismo sono il risultato di una complessa integrazione e interazione tra diversi sistemi a
diversi livelli (cellule, tessuti, organi) che si riesce a mimare -pur in maniera semplicistica- solo con un modello in vivo.
La ricerca che prevede l’utilizzo di modelli animali è
altamente regolata e restrittiva. Vi sono una serie di
decreti, tra cui il decreto legislativo 26/2014, che
recepisce una normativa europea (simile a ciò che
succede nel resto del mondo). Se un ricercatore che
lavora su animali non rispetta certi iter, ci sono risvolti
civili e penali. Tutto quello che si può fare su un
modello animale deve rispettare il decreto legislativo
italiano. L’Italia ha recepito la normativa europea in
una forma ancora più ristretta rispetto a quella degli
altri paesi.
Ci sono delle discussioni all’interno del governo
(Parlamento) perché c’è una linea che vorrebbe che
pian piano la sperimentazione sugli animali venisse interrotta. Soprattutto nell’ambito delle sostanze d’abuso, ci sono
tante interrogazioni parlamentari perché a detta di molti non fornisce dati utili.
L’uso di modelli animali, quindi, è normato: ci sono delle leggi molto stringenti che dicono allo sperimentatore quello
che può e non può fare. Tutte queste leggi vengono aggiornate man mano. Si fa riferimento al decreto legislativo del
2014, che si rifà ad una regolamentazione europea, che diversi stati dell’Europa recepiscono. L’Italia l’ha recepita in
modo molto più stringente, quindi lavorando in Italia possiamo stare tranquilli di fare tutto secondo le leggi. Questa
normativa disciplina tutto quello che riguarda gli animali: allocamento, mantenimento, chi si deve occupare di loro, la
dimensione delle gabbietta di stabulazione (in base a che tipo di animali sono, età, sesso), cosa devono mangiare, quanta
luce devono avere ecc.
LA LEGGE INTRODUCE IL PRINCIPIO DELLE 3 R:
1. Reduction: riduzione → ridurre il più possibile l’uso dell’animale da
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