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IL COLORE NON È UN CONCETTO UNIVERSALE (CONKLIN)

Conklin fa parte di quel filone dell’antropologia chiamato etnoscienza che si sviluppo negli anni 50 in America.

L’etnoscienza si è dedicata all’individuazione delle categorie linguistiche che rivelano determinate visioni del mondo

e alla ricostruzione del sistema di conoscenze del nativo. Nella metodologia di ricerca etnoscientifica hanno grande

importanza le tecniche di escussione linguistica. L’antropologo tenta di ricostruire il mondo della cultura studiata

attraverso le risposte date a lui dagli informatori. Poi il passo successivo consiste nell’elaborare teorie sulle

modalità di esplicazione dei processi di conoscenza dell’uomo. Da analisi etnoscientifiche derivano le ipotesi di

Berlin e Kay (universalisti) sulla percezione dei colori e sui principi universali alla base dei sistemi di conoscenze. A

ciò si contrappone ad esempio la ricerca di Conklin (culturalista) che evidenzia gli aspetti culturali della percezione.

Vediamo adesso la descrizione di uno specifico modo di fare ricerca degli etnoscienziati basandosi in questo caso

sull’analisi della diversa percezione dei colori che si ha in culture diverse da quella occidentale. L’analisi fu svolta nelle

Filippine analizzando uno specifico sistema di colori all’interno dell’etnobotanica hanunòo.

- Il colore non è un concetto universale e la terminologia cambia di lingua in lingua. Le definizioni dicono che il

colore è la capacità del senso della vista di reagire alla qualità della luce determinata dalla sua composizione

spettrografica.

- Se ci si trova in laboratorio probabilmente le distinzioni del colore sono uguali per tutti gli uomini; cambia

però il modo in cui le differenti lingue classificano i vari colori.

Le distinzioni di colore in Hanunòo vengono effettuate su due livelli contrastivi. Il primo livello consiste in una

classificazione a 4 termini, inclusiva e coordinata; il secondo livello è formato da centinaia di categorie di colore

specifiche. Vediamo che è presente un accordo unanime sulle designazioni delle 4 categorie del livello 1, ma c’è

un’assenza di unanimità nei 3 termini del livello 2. I 4 termini del livello 1 sono:

1. “relativa oscurità, scuro”

2. “relativo chiarore, biancore”

3. “relativa presenza di rosso, rossore”

4. “relativa presenza di verde, freschezza”

Le basi di questo livello 1 di classificazioni hanno dei correlati anche vuole dal campo della differenziazione cromatica,

come ad esempio dell’ambiente esterno. C’è infatti l’opposizione tra luce e buio, tra secchezza e freschezza, tra

sostanze intense, indelebili e materiali pallidi, scoloriti.

Per quanto riguarda i termini descrittivi del livello 2, vediamo che essi vengono fuori solo quando serve una maggiore

specificazione rispetto al livello 1. I termini del livello 2 sono di due tipi:

1. Termini di colore specifici come “grigio”, “viola”, “giallo”.

2. Costruzioni basate su tali termini specifici ma che implicano ulteriori derivazioni.

Per quanto riguarda il livello 2 vediamo che c’è una grande differenza per quanto riguarda il vocabolario di colore

disponibile per gli uomini e quello disponibile per le donne. Gli uomini eccellono degli ambiti dei “rossi” e dei “grigi”; le

donne nell’ambito dei “blu”. Per quanto riguarda i “verdi” e i “bianchi” non esistono differenze di genere.

PARTE SECONDA

MODELLI DI MONOGRAFIA ETNOGRAFICA: DAL QUESTIONARIO AL DIALOGO

L’antropologia si è sempre servita dei risultati della pratica di ricerca etnografica sul campo. L’etnografia è quindi stata

sempre considerata un’attività di osservazione e descrizione. Essa fu sempre considerata come ripudiata

dall’antropologia e oggi si vendica di ciò mettendo in luce la fragilità delle costruzioni teoriche dell’antropologica. La

scrittura etnografica è la parte più complicata di tutta la ricerca in quanto vediamo che da come l’antropologo scrive

dipende l’esito del suo lavoro di ricerca sul campo, la sua possibilità di convincere i lettori e la sua autorità.

Fondamentale è l’utilizzo della forma di scrittura usata.

A partire dalla fine del XIX secolo fino ad oggi c’è stato un grande cambiamento nella scrittura etnografica: dalla forma

di scrittura costituita dai dati ottenuti dai questionari a una forma di scrittura in cui il resoconto etnografico si

trasforma quasi in letteratura.

RADCLIFFE-BROWN

Egli fu uno dei maggiori esponenti dell’antropologia sociale inglese. La sua opera segnò un periodo di passaggio

della ricerca etnografica, ossia il passaggio dall’antropologia ottocentesca all’antropologia moderna.

Egli dichiara nell’opera che le ricostruzioni storiche non possono dare grandi contributi alla comprensione della vita

umana e della cultura. Evidenzierà anche l’importanza del sistema della “comparazione” da usare fra i sistemi

sociali. Radcliffe-Brown evidenzia anche il vantaggio che l’etnologo che va sul campo ha rispetto a colui che ottiene

invece le informazioni solo indirettamente; egli prende quindi le distanze dagli antropologi “da tavolino”.

Lo studio intrapreso da Radcliffe-Brown sugli Andamanesi aveva lo scopo di attuare una ricostruzione ipotetica della

loro civiltà attraverso l’analisi delle loro caratteristiche fisiche, del loro linguaggio e della loro cultura.

C’è quindi il rischio che l’etnologo possa interpretare le credenza dei nativi in riferimento alla sua mente e non a quella

dei nativi. È necessario quindi che l’etnologia si doti di un metodo per scoprire i significati. L’etnologia quindi o deve

abbandonare le speranze di venire a conoscenza dei veri significati, o deve trovare dei metodi per determinare quei

significati.

Vediamo che tra gli Andamanesi c’era una famosa cerimonia di riappacificazione tra gruppi locali ostili. I preparativi di

tale cerimonia vengono svolti dalle donne dei due rispettivi gruppi. All’interno del villaggio del gruppo che ha

attaccato per ultimo l’altro vengono allestiti degli spazi per le danze e viene eretto il cosiddetto koro-cop, ossia una

fila di pali in cima ai quali era fissato un pezzo di canna dalla quale pendono foglie di palma. Le donne del villaggio si

preparano a segnalare l’arrivo degli ospiti. Mentre gli ospiti stanno arrivando ogni uomo sta con la schiena contro il

koro-cop e con le braccia tese lateralmente; nessuno di essi è armato. Gli ospiti avanzano a passo di danza e le donne

del villaggio ospitante accompagnano tale danza battendo le mani sulle cosce. Successivamente il leader dei danzatori

si avvicina all’uomo che sta a capo del koro-cop e lo affronta afferrandolo per le spalle e dandogli una bella scossa. Poi

il leader dei danzatori fa la stessa cosa con un antro uomo al koro-cop e un altro danzatore ripete il gesto con il

primo… e così di va avanti fino a che ogni danzatore non ha scosso ogni uomo al koro-cop. Una volta finita la danza gli

uomini e le donne si siedono e piangono insieme. Poi i due gruppi restano nello stesso campo per qualche giorno

danzando e cacciando, scambiandosi regali e gli archi che assicurerebbe almeno qualche mese di pace in quanto non si

può colpire un uomo con la sua stessa arma. Possiamo quindi concludere che gli atteggiamenti del gruppo ospite

richiamano l’aggressività che tale gruppo aveva nei confronti dell’altro; mentre gli atteggiamenti del secondo

richiamano la paura, il risentimento e la passività di tale gruppo. Scopo della cerimonia è quello di cambiare la

considerazione reciproca tra i due gruppi sostituendo sentimenti di ostilità con sentimenti di solidarietà.

Lo studio del significato dei costumi selvaggi è una sorta di psicologia sociale ed è una cosa diversa rispetto allo studio

delle origini o dei mutamenti di costume. Vediamo che nel caso degli Andamanesi la spiegazione di ciascuna loro

usanza è fornita mostrando la loro relazione con le altre usanze andamanesi e con il loro sistema di idee e sentimenti.

Poi, conoscere il significato ci permette anche di comparare successivamente l’intero sistema di istituzioni, usanze e

credenze di una società con quello di un’altra attraverso il metodo comparativo. Quindi vediamo che ciò che è

necessario comparare non sono le istituzioni ma i sistemi sociali o le tipologie. Inoltre vediamo che l’etnologia

dovrebbe tenere ben separate le descrizioni dalle interpretazioni perché l’opinione dell’etnologo non è necessaria per

la raccolta di informazioni durante una ricerca. Vediamo però che l’etnologo sul campo, stando a contatto con i gruppi

studiati tende a capirli molto meglio di come può fare un antropologo da tavolino. Inoltre sappiamo che migliore è

l’osservatore e più precisa sarà la sua impressione sulla razza studiata.

EVANS-PRITCHARD

Le sue monografie sono caratterizzate da una scrittura assertiva, asettica e rigorosa e la narrazione è impersonale e

oggettiva. Sua monografia importante è “Nuer Religion”; egli spese molto tempo tra i Nuer del Sudan e la messa in

testo della sua ricerca fa vedere l’impersonalità della sua scrittura.

I testi di Pritchard appaiono depurati da ogni tratto di straniamento, in quanto sentimenti e idee che sembrano

bizzarri e irrazionali vengono presentati con lo stesso tono con cui si parla dei propri valori, sentimenti ecc. Egli

quindi tentò di smontare le teorie che ritenevano irrazionali i sistemi di credenze e il modo di pensare degli indigeni

mettendo in luce invece la razionalità di tali sistemi. Un esempio ne è l’affermazione nuer su “gemelli-uccelli”.

I Nuer chiamano “kwoth” lo Spirito, ma tale termine può avere vari significati. Pritchard gli attribuì il significato di

“Dio”, di “Spirito” o di “lo spirito/spiriti” in base al contesto. Vediamo però che noi occidentali molto spesso siamo a

conoscenza di termini come animismo, feticismo, totemismo, mana, tabù, sciamano ecc. ma non ne conosciamo il

significato; quindi se si parla di “spirito”, “anima” o “peccato” in pochi capiranno a cosa ci si sta riferendo. Vediamo

che nel descrivere e interpretare una religione primitiva non fa differenza se l’autore è agnostico, cristiano,

musulmano ecc. ma nella realtà ciò fa una notevole differenza in quanto coloro che condividono le credenza religiose

della propria gente percepiscono le altre credenza in modo diverso da coloro che non le condividono.

Per i Nuer Dio è lo Spirito che, come il vento e l’aria, è invisibile e ubiquo. Dio è i

Dettagli
Publisher
A.A. 2022-2023
21 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-DEA/01 Discipline demoetnoantropologiche

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Benedetta-dea di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Etnografia e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Perugia o del prof Pizza Giovanni.