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L'ORDINE DISCONTINUO DELLE NARRAZIONI GIURIDICHE

A partire da una rilettura di Milan Kundera e Franz Kafka

La riflessione contenuta all'interno del secondo capitolo esordisce con un brano di Kundera che sostiene che colui che pensa è portato a sistematizzare, cioè prevede tutte le possibili obiezioni e confutarle in anticipo. Questo meccanismo avviene prima che il pensiero sia espresso verso l'uditorio. Così facendo colui che pensa crede che il proprio pensiero sia infutabile.

La sistemazione implica ordine, ma che tipo di ordine? L'ordine che viene in considerazione è chiamato ordine a narrazione continua. Implica un ordine che sia consequenziale e che ha caratterizzato l'età moderna e prevede coerente. Nello specifico, è quel tipo di ordine una concezione di ordine fondato sulla causalità, cioè fondato su un rapporto tra causa ed effetto. L'ordine della causalità è la

sequenza regolare, cioè il fatto che via sia un prima, la causa, e un dopo, l'effetto. Alla sequenza causale soggiace un criterio, quello della gerarchia. Gli elementi della catena, della sequenza, si pongono in un rapporto gerarchico. La gerarchia è il criterio usato dalla modernità per descrivere la natura, ad esempio la tavola periodica degli elementi. Non a caso l'ordine della narrazione continua, basato su un criterio gerarchico e su una relazione causa-effetto, è l'ordine sotteso all'idea di progresso della scienza: ad ogni passo ne consegue uno successivo. Il successivo, proprio perché basato sul precedente, è considerato migliore. Perché questo ha a che fare con il diritto? Perché la narrazione continua dal campo della scienza, in cui questo ordine è nato, si è poi trasferita in ambito giuridico. Il giurista della modernità.ha preteso il proprio ordine continuo e lo ha trovato con la codificazione: a sostegno della codificazione vi era l'idea per cui il codice fosse completo perché contenente tutte le cause e coerente perché ad ogni causa derivava un certo effetto. Per questo troviamo l'art 4 del code Napoleon che punisce la denegata giustizia: il giudice, di fronte ad un sistema coerente e completo, non può esimersi dal giudicare perché ha dinanzi a sé tutto ciò di cui ha bisogno. La codificazione non è l'unico modello reclamato dal giurista moderno. Al modello della codificazione, che inerisce la legge, si affianca il modello del sillogismo giudiziale che riguarda invece la forma del ragionamento giudiziale. Il sillogismo giudiziale ha la forma di premessa maggiore, premessa minore e conclusione. Il rapporto che lega la premessa maggiore a quella minore non è chiamato di causa-effetto ma è chiamato rapporto di sussunzione. Cioè il

fatto deve essere sussunto all'interno dell'ache con l'analisi del sillogismo giudiziale che la logica norma giuridica. È evidente sottesasia quella della logica formale: la logica formale tenta di imporre la validità delle conclusioni. C'è quindi un rapporto consequenziale che riguarda la data la validità delle premesse. Validità: dalla validità delle premesse si passa necessariamente alla validità delle conclusioni. Da un punto di vista metafisico, il pensiero della modernità è esclusivamente identitario espresso dalla formula A=A. Ma la modernità trascura il fatto che A implica anche non A, l'identità è però possibile, cioè trascura il riconoscimento della differenza, in base al quale dire che io sono me stessa equivale anche a dire che io non sono questa penna. Escludendo la differenza, la modernità porge un dualismo tra essere e non essere. Forgia due unici valori di

verità e non permette comunicabilità tra queste due aree metafisiche dell'essere e del non essere. Il problema è che l'ordine a narrazione continua sia nella scienza che nel diritto è un mito. L'ordine sistematico delle descrizioni della realtà non è la realtà. La realtà non può essere incastrata nelle costruzioni teoriche che lo scienziato o il giurista crea. O meglio lo può fare, ma allora non si tratta più di conoscere la realtà ma di manipolarla e agire su di essa e quindi di modificarla. Questo è evidente se consideriamo ad esempio la formazione della premessa maggiore. La norma all'interno della quale sussumere il caso di specie non è autoevidente ma va trovata di volta in volta in un contesto complesso: il contesto odierno è composto non solo da un pluralismo giuridico ma anche assiologico, valoriale. In questo insieme di norme e valori si chiede al giurista.di compiere delle scelte, utilizzando dei criteri di selezione per ritagliare e costruire la norma giuridica ad hoc per quella specifica controversia. Quando si prende consapevolezza del mito della narrazione continua? Nel 900, con quella che Manzin chiama rivoluzione gnoseologica, nata in contesto scientifico ma poi trasposta in ambito giuridico. Le scoperte del 900 hanno rimosso il paraocchi della modernità, ad esempio la teoria quantistica dimostra la non continuità della materia, cioè che vi sono delle zone non conoscibili dall'osservatore ma fanno comunque parte della materia. Tutte queste scoperte si traducono in ambito giuridico in alcuni recenti fenomeni come la costituzionalizzazione dei valori condivisi, che sono necessariamente sottoposti alle dinamiche della società, la scomparsa di ideologie, la globalizzazione. Quindi cade così il mito della narrazione continua sia nella scienza che nel diritto. Pero la conclusione in entrambe le aree di sapere.

è la stessa, cioè la credenza dell’esistenzaè sostituito dalla credenza dell’esistenza di piùdi un ordine ordini, in cui il criterio in gradodi organizzare la molteplicità delle situazioni cambia di volta in volta in base alla situazionestessa.

Per questo non è rinvenibile un criterio transituazionale: cioè un criterio che possa essereadatto per ogni caso.

Dalla continuità della modernità, si passa alla discontinuità della post modernità: la postmodernità viene definita da Manzin come quel momento storico collocabile nella secondadivengono consapevoli dell’impossibilità di costruiremetà del 900 in cui i filosofi dei sistemiatti a fornire descrizioni su certi fenomeni.

Proprio per questa riscoperta della fragilità del pensiero che non è capace di descriveretotalmente la realtà e i fenomeni, la post modernità è chiamata età del

pensiero debole: debole perché il pensiero non è più in grado di afferrare le costruzioni della realtà su cui faceva affidamento. A seguito di questa presa di consapevolezza le reazioni possibili del diritto sono due:

  1. Seguendo Natalino Irti, caduto il mito della narrazione continua, il primo atteggiamento possibile consiste nel fatto che, poiché il giurista si trova di fronte a più ordini, l'unico criterio possibile è quello di un non-criterio. Per questo si parla anche di nichilismo giuridico. Cioè la soluzione proposta è quella di un proceduralismo, tale per cui si intende un modo di guardare al diritto in cui la ragione umana rinuncia, perché ormai disillusa rispetto a quella che sono state le scoperte del '900, a cercare un fondamento che giustifichi le diverse procedure possibili.
Quindi il proceduralista è scettico perché non vede un criterio che debba essere prediletto ad altri ma non è pessimista: perché vede nella procedura la salvezza. Preso atto dell'assenza di un criterio che possa fungere da guida per rinvenire le premesse per la decisione giudiziale, la procedura è in grado di garantire un minimo di ordine nella regolazione dei fenomeni giuridici. Il fatto che le procedure siano infondate non è un problema: la procedura garantisce una certa forma, garantisce che il ragionamento sia condotto in un certo modo e in questo senso il proceduralista non è pessimista perché egli vede nella procedura una possibilità di soluzione del problema del mito della narrazione continua. Per il proceduralista rileva il rispetto della procedura e non rileva il loro fondamento razionale. Per questo al proceduralista non importa che il diritto sia giusto ma importa che il diritto sia conforme a determinate procedure.

Un'altra forma di scetticismo che è Accanto allo scetticismo del proceduralista troviamo lo scetticismo del cinico giudiziario. Manzin descrive il cinismo giudiziario facendo riferimento al giurista che per la prima volta si approccia alla professione, in particolare descrivendo due momenti. Quello in cui il neolaureato inizia la propria attività in studio e si rende conto che tutti i suoi studi si applicano poco o nulla alla prassi. Il secondo momento è quello in cui divenuto avvocato interpreta la professione come un gioco di astuzie: sfornito di un criterio razionale a fondamento dellapropria attività interpreta la professione come una attività in cui vince il più furbo. In entrambi i casi, il rischio cui va incontro il cinico giudiziario è quello di pensare che alla fine il diritto sia una questione di potere e che quindi sia auctoritas non veritas a fare la legge.

2. Il secondo atteggiamento è quello che sostiene Maurizio Manzin

e che consiste nel mantenere l'idea per cui sia veritas e non auctoritas a fare la legge. cioè venuto meno il mito della narrazione continua Manzin sostiene che non per questo bisogna assumere un atteggiamento nichilistico e propone quindi il recupero di una razionalità non sistematizzante o proceduralista, ma pratica. Questa razionalità pratica è identificata nella phronesis propone il recupero di un'idea di ragione che sia in grado di reagire al aristotelica. Manzin pensiero identitario con un pensiero capace di contemplare identità e differenza, cioè di essere e non essere all'interno di un unico monismo metafisico. Rifiutando così il includere dualismo della modernità. Il rapporto di inclusione fra identità e differenza è reso possibile da quello che viene chiamato logos che è un principio fondamentale, cioè che si pone proprio a fondamento, di quello di verità. Cioè è tramite larazionalità pratica che la retorica forense m
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Publisher
A.A. 2021-2022
33 pagine
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SSD Scienze giuridiche IUS/20 Filosofia del diritto

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher prugnafranci di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Filosofia del diritto e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Trento o del prof Manzin Maurizio.