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LE CROCETTE AUREE:
Queste crocette sono tipiche della cultura longobarda e molto probabilmente venivano cucite sui
vestiti o sul velo posato sul petto dei defunti, tra VI e VII secolo. Si tratta di piccole lamine in oro a
forma di croce, con bracci di uguale lunghezza: a volte sono lisce, a volte con motivi vegetali di
derivazione tardoantica, a volte con grovigli animalistici o nastri, tutte decorazioni ottenute
imprimendo una matrice a stampo sulla lamina metallica. La croce del Museo Archeologico di
Cividale presenta, sui quattro bracci, fitti intrecci bordati da perlinature; all’incrocio, essi si
concludono con un volto umano dai capelli lunghi. Al centro, un tondo con una figura di cervo,
animale già presente nell’iconografia paleocristiana e bizantina.
Crocetta aurea con tecnica a sbalzo (incisione di sottile lamina metallica): le necropoli longobarde
in Italia restituiscono una gran quantità di oggetti come questo. Si tratta di crocette
completamente realizzate in oro, formate da semplici materiali. Si vedono dei fori che indicano
che questi manufatti vengono cuciti nel sudario funebre come simbolo cristiano di salvezza.
Crocetta di Gisulfo 640-660 d.C. (Cividale del Friuli, Friuli-Venezia Giulia)
La decorazione al centro potrebbe essere Cristo, oppure si trattata delle teste che
venivano messe nei pali delle popolazioni sconfitte. Non si hanno delle fonti che
ci diano una certezza su queste interpretazioni. La decorazione che vediamo nella
lamina metallica in oro è una decorazione a sbalzo. Le teste sono intervallate da
pietre dure, incastonate in appositi alveoli geometrici: al centro spicca un granato
rotondo, a metà dei bracci quattro lapislazzuli triangolari e alle estremità
altrettante acquamarina di forma quadrata. L’aspetto da sottolineare è che gli
smalti, quando venivano sistemati all’interno degli alveoli, si aggrappavano meglio alla struttura
metallica rispetto ad una pietra dura.
LE ARMI:
Spada
Mostra segni di usura dati dal tempo. Sulla destra vediamo dei
frammenti dello Scudo di stabio: è uno scudo militare da parata che era
di una figura importante. Presenza delle decorazioni zooantropormorfe:
è presente la figura di un essere umano con una spada che cavalca un
cavallo; abbiamo una forma perimetrale la cui forma della superficie
viene ricreata con l’utilizzo di uno strumento metallico e viene
punzonata con uno strumento metallico creando delle decorazioni. La
stessa tecnica viene utilizzata in questo canide. Questo scudo aveva
delle parti in legno che alleggerivano lo scudo.
Il Frontale dell’elmo di Agilulfo 591-616 d.C. (Firenze, Museo
del Bargello, Toscana)
La lamina in origine è montata sulla parte frontale di un elmo.
Al centro, Agilulfo (re dei Longobardi tra il 591 il 616 d.C.) siede
sul trono a capo scoperto, con lunghi capelli, barba e baffi,
affiancato da due guardie armate di lancia e di scudo. Una
minuscola scritta lo identifica con chiarezza: D(omini) N(nostro) regi Agilu(lfo). Il sovrano tiene una
spada con la destra e porta la sinistra all’altezza del petto, gesto che nel Medioevo indica una
persona nell’atto di parlare. Due figure alate gli si avvicinano con le gambe a compasso, nel
faticoso tentativo di indicare che stanno volando: sono due Vittorie, che reggono una cornucopia
(corno colmo di fiori e frutti, simbolo dell’Abbondanza) e un labaro (insegna usata dall’esercito
romano), su cui è scritto Victuria. A destra e a sinistra, due coppie di offerenti che
portano corone sormontate da croci; chiudono la scena due torri che simboleggiano
il palazzo la città in cui si svolge l’evento. È stato ipotizzato che la lamina sia la
celebrazione della conquista da parte di Agilulfo di alcune città dell’Italia
settentrionale in mano Bizantina. Abbiamo brutale rozzezza, anche se l’orefice
longobardo ha cercato di scalare su più piani la composizione e di esprimere, il volo
delle vittorie. Resta comunque arduo identificare con precisione il soggetto
raffigurato.
Il tesoro di Monza 591-616 d.C. (Museo del Duomo di Monza, Lombardia)
A Monza la coppia regale eresse un palazzo con accanto una basilica dedicata a san
Giovanni Battista. Sono scampati alle successive spoliazioni alcuni preziosi
manufatti di oreficeria, donati da Agilulfo e Teodolinda alla basilica.
4. Croce di Agilulfo: con gemme incastonate e sei pendenti in oro, ha la forma
di croce latina, con i bracci leggermente svasati alle estremità. È
decorata da pietre preziose e raffigurazioni del Cristo, di arcangeli e di
apostoli. I bordi della croce e dei castoni presentano motivi a rilievo
(piccole sfere o altro).
5. Croce pettorale di Teodolinda: in cristallo di rocca appartenuto alla
regina longobarda Teodolinda. Reca incisa a niello una minuscola
Crocefissione di stile bizantino siriaco.
6. Corona di Teodolinda: si tratta di un diadema in oro, gemme e
madreperla, di gusto bizantineggiante. Le gemme che la
rivestono, di forma circolare o quadrata, sono racchiuse da sottili
lamine d’oro e sono disposte in cinque ordini paralleli.
7. Copertina dell’Evangelario di Teodolinda: secondo antiche fonti
fu donato da papa Gregorio Magno a Teodolinda nel 603, per
celebrare il battesimo del figlio Adaloaldo. Questo prezioso
oggetto di oreficeria è la copertina che rivestiva una copia
lussuosa dei Vangeli, uno dei doni preziosi che Teodolinda fece
alla Basilica di Monza. Anche il tipo di oggetto (un libro sacro
ricoperto di oro e gemme) era in uso nel secolo precedente. I
due lati della copertina presentano un’elaborata cornice
costituita da alveoli che contengono granati; la superficie di ciascun piatto è delimitata da
una cornice decorata con un raffinato motivo geometrico di smalti cloisonnés ed è ripartita
in quattro campi da un’ampia croce gemmata con bracci svasati alle estremità. Le pietre
preziose e le perle sono disposte simmetricamente, a gruppi regolari, sui bracci della croce,
all’incrocio di quali spicca una grande gemma tonda, tagliata a cabochon; in parallelo ai
bracci orizzontali sono poi inserite lamelle con un’iscrizione che ricorda la fondazione della
Basilica di san Giovanni Battista. Infine, nei quattro spazi accanto ai bracci della croce sono
incastonati altrettanti cammei, a loro volta bordati da cornicette a squadra. campeggiano
un ornamento a squadra e un cammeo antico con il profilo di un console o di un
imperatore. Solo sei di questi preziosi integri cammei sono davvero antichi e fanno parte
della decorazione originaria, mentre i due realizzati in diaspro verde scuro risalgono a un
restauro del 1773 d.C. L’oro e le gemme esaltano il tema della Croce; la loro preziosità
circonda di luce il segno cristiano per eccellenza. I volti non rappresentano persone precise,
ma servono ad arricchire la lucente bellezza dell’oggetto.
8. La chioccia con 7 pulcini: realizzato in lamina d’argento dorato
applicata su una lamina di legno. Secondo una tradizione
risalente al XIV secolo d.C., il gruppo sarebbe stato rinvenuto
nel sepolcro di Teodolinda nel duomo di Monza. Il soggetto e il
trattamento marcatamente naturalistico del manufatto
sembrano spiegabili solo attribuendone la realizzazione a orefici
ancora legati alla tradizione ellenistica. Per di più la chioccia è
lavorata a sbalzo, mentre i pulcini sono ottenuti per fusione:
una differenza che incoraggia l’ipotesi di chi sostiene che i pulcini siano stati un’aggiunta
posteriore.
Dittico di Stilicone, V secolo d.C. (Museo e tesoro del duomo di Monza,
Monza)
I due personaggi effigiati nel dittico in avorio sono sicuramente Stilicone e
sua moglie Serena. Nel dittico entrambi sono inquadrati da un’edicola.
Stilicone è rappresentato nella valva destra in uniforme da parata, con la
lancia e lo scudo; nella valva sinistra sua moglie Serena, che ostenta
un’elaborata acconciatura e voluminosi gioielli, ha accanto a sé il figlioletto
Eucherio in abito da notaio. Si noterà che il giovinetto regge nella sinistra
quello che sembra essere un dittico in avorio. Poiché questo genere di
oggetti veniva donato in occasione di nomine a cariche importanti, si è
ragionevolmente supposto che il dittico di Stilicone sia stato eseguito
proprio per celebrare la nomina a notaio di Eucherio, avvenuta nel 395 d.C. La posa delle figure è
rigorosamente frontale ed è ingentilita e resa più naturale dalla fluente morbidezza dei panneggi,
e riflette quello stile di corte che fiorì tra la fine del IV e gli inizi del V secolo d.C. ed è denominato
classicismo teodosiano o rinascenza teodosiana, in quanto esprime una volontà di far rivivere il
naturalismo della tradizione più classicheggiante.
A CIVIDALE DEL FRIULI (Udine, Friuli-Venezia Giulia)
Dal 2011, per la sua importanza storica e artistica, Cividale è stata inserita nella lista Unesco dei siti
considerati “Patrimonio dell’Umanità”.
Altare di Ratchis 737-744 d.C. (Cividale del Friuli, Museo Cristiano)
Ratchis, duca del Friuli tra il 737 e il 744 d.C., fece realizzare per la chiesa di san Giovanni Battista
un altare facendo decorare le lastre che ne rivestivano tutti e quattro i lati. È così denominato
perché il duca Ratchis lo dedicò alla memoria del padre, Pennone, come dichiara la lunga iscrizione
in latino lungo il bordo superiore dell’opera. Realizzato in pietra d’Istria, l’altare è un
parallelepipedo rivestito da quattro lastre ornate da una fitta decorazione a bassorilievo.
L’iscrizione che corre in alto lungo i bordi ricorda che il duca aveva adornato l’altare con un bel
tegurio, cioè un coronamento marmoreo che doveva essere simile a quello del fonte battesimale
di Callisto, sempre a Cividale.
LASTRA FRONTALE: è scolpita la scena della Maestà del Signore
(Maiestas Domini): quattro angeli con ali provviste di occhi
sorreggono una mandorla formata da rami di palma, una sorta di
aureola di forma ovale che nell’iconografia cristiana serve a
glorificare il personaggio che ne è circondato. Dentro la mandorla ci
sono altri due cherubini e un Cristo imberbe (privo di barba) in
atteggiamento benedicente; sopra il suo capo si stende la mano
destra di Dio.
LASTRA FIANCHI DESTRO E SINISTRO: sono
raffigurati la Visitazione (a sinistra), cioè
l’incontro e l’abbraccio tra Maria e
Sant’Elisabetta sua cugina, e l’Adorazione dei
Magi (sopra a destra); la Vergine è
contraddistinta in entrambe le scene da un
piccolo segno di croce inciso sulla fronte.
LASTRA POSTERIORE: sono raffigurate due
croci gemmate simmetriche a bracci espansi affianco un’apertura per le reliquie
dei santi. Si ha un’assenza di proporzioni e un’estrema
semplificazione dei volti, gesti scoordinati