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MODELLI INTERPRETATIVI
Servono per analizzare lo sviluppo regionale e territoriale:
1) Neoclassico (dualismo), basato sulla teoria Solow-Swan per cui le regioni meno sviluppate
cresceranno di più grazie all’attrattività; ciò influenzato dal basso costo del lavoro e dai
rendimenti potenzialmente più elevati.
N.B. Non si tiene conto di differenze strutturali e delle disparità di capitale umano
2) Circolare e cumulativo, suggerisce che lo sviluppo non è uniforme ma si concentra in
alcune aree grazie ai vantaggi competitivi localizzati; idea di “cumulative causation” per cui le
aree svantaggiate subiscono una spirale negativa per cui i successi economici attraggono
risorse mentre le difficoltà si aggravano.
3) Modello del Filtro, studia le problematiche legate alla concentrazione eccessiva delle attività
economiche in alcune aree (Es: metropoli). Queste subiscono problemi di congestione ed alti
costi per cui le imprese spostano le attività verso le periferie. Questo processo di
delocalizzazione avviene solo ove le periferie sono in grado di accogliere condizioni di lavoro
adeguate
N.B. Questo non sempre porta un vantaggio alle aree periferiche
4) Modello di valorizzazione periferica, per cui queste crescono non solo grazie ad
investimenti industriali ma anche con la valorizzazione delle risorse locali. Ciò però comporta
grossi investimenti iniziali non sempre disponibili, oltre che le aree periferiche possono essere
lontane dai mercati principali e mancare di economie di scala.
Nel nuovo millennio lo sviluppo locale si basa sulla cooperazione e sul cambiamento guidato dagli
attori locali, con un'enfasi sul territorio.
Tra i fattori chiave ci sono: capitale sociale, adattabilità, beni collettivi, principio di sussidiarietà
(politiche più vicine agli obiettivi) ed il capitale territoriale.
Nel 2005 la Commissione Europea riconosce il capitale territoriale come obiettivo delle politiche
regionali: si sposta l’attenzione verso uno sviluppo specifico e a misura del territorio.
VALUTAZIONE DELLO SVILUPPO LOCALE
Due approcci:
1) Costruttivista, che valuta le interazione tra gli attori
2) Positivista, analizza quantitativamente gli effetti delle politiche attivate. 11
Lo sviluppo locale non si limita alla crescita economica, ma include anche la valorizzazione delle
risorse immateriali, come il capitale sociale.
1. Sviluppo come scatto in avanti: Lo sviluppo locale è visto come un processo di
cambiamento dinamico, non solo una crescita economica, ma anche un ampliamento delle
capacità individuali, come quelle legate alla nutrizione, educazione e salute.
Amartya Sen ha introdotto il concetto di "capacità" per distinguere lo sviluppo dalla mera
crescita economica. È essenziale che il settore pubblico giochi un ruolo cruciale
nell'allocazione delle risorse, anche attraverso la cooperazione tra pubblico e privato.
2. Gli ingredienti dello scatto in avanti: Ci sono vari elementi che caratterizzano lo sviluppo
locale, tra cui le reti di relazione (basate sull'appartenenza o sulla sperimentazione), la
strategia economica per adattarsi alla globalizzazione, e la produzione di beni collettivi locali,
come infrastrutture e servizi erogati a livello locale.
Lo sviluppo locale non è solo legato ai fondi pubblici, ma è anche una cultura di
sperimentazione e innovazione.
3. L'importanza del capitale territoriale: Lo sviluppo locale deve centrarsi sul capitale
territoriale, che include risorse naturali, infrastrutturali e culturali, e si deve basare su una
cooperazione tra attori pubblici e privati.
È fondamentale evitare il localismo, cioè considerare il livello locale come l'unico adeguato
per progettare lo sviluppo. La cooperazione tra i diversi livelli istituzionali e l'innovazione sono
essenziali per un processo di sviluppo locale efficace.
4. Equilibrio tra risorse locali ed esterne: Lo sviluppo locale è un processo che avviene
attraverso l'attivazione di risorse endogene (locali) ed esogene (esterne), con l'obiettivo di
attrarre risorse e competenze dall'esterno.
La partecipazione è un elemento chiave in questo processo, che richiede la cooperazione tra
istituzioni e cittadini per produrre beni collettivi locali.
5. Le dicotomie dello sviluppo: Lo sviluppo locale non deve essere visto come un processo
contraddittorio, ma come un continuum.
Un esempio pratico è il caso delle città italiane contendenti per l'insediamento del Centro
Europeo di studi e ricerca della Motorola, dove si è conciliato il bisogno di ricerca e
innovazione con le necessità economiche locali.
In generale: l’idea di sviluppo locale nasce come risposta critica alla concezione dominante negli
anni ’40-’50, secondo cui l’analisi delle economie arretrate si concentrava sui mutamenti
socio-politico-istituzionali, mentre per le economie avanzate si parlava esclusivamente di crescita
economica.
A partire dagli anni ’70, autori come Amartya Sen propongono visioni alternative, introducendo il
concetto di "capabilities", ovvero la capacità degli individui di esercitare diritti e opportunità per
accedere a un paniere di beni alternativi, in base alle possibilità offerte dalla società in cui vivono. 12
DISTRETTI INDUSTRIALI
Definizione di Alfred Marshall: area geografica caratterizzata da un’alta concentrazione di piccole
imprese con produzione flessibile e specializzata, dove comunità politica e sociale sono strettamente
legati alla produzione industriale.
In Italia sono stati privilegiati i sistemi locali di piccole e medie imprese, appunti i distretti industriali.
Tra i fattori favorevoli all’ascesa ci sono:
- Stabilità occupazionale
- Terziarizzazione economica
- Sviluppo del capitale sociale
I distretti industriali italiani sono un paradosso strutturale: sono riusciti a resistere alle ondate di
globalizzazione e alla forte concorrenza dei paesi con manodopera a basso costo
→ è un modello flessibile che si adatta alle variazioni del mercato.
PMI IN ITALIA: DAGLI ANNI ‘70 AD OGGI
In Italia le PMI impiegano oltre il 56% della forza lavoro (es: in Germania sono il 22%). Questo
squilibrio è una sfida per l’Italia perché le PMI hanno difficoltà ad accedere a finanziamenti per ricerca
e sviluppo: le politiche pubbliche potevano compensare ciò ma gli interventi statali furono parziali e
disomogenei.
N.B. Anche il contesto normativo ha inciso, con molte imprese che preferirono rimanere di piccola
dimensione.
Dagli anni ‘50-‘70 inizia il declino della grande impresa italiana, sostituita da un tessuto di piccole e
medie imprese. Ciò fu la conseguenza della crisi del modello fordista che lasciò spazio ad una
domanda più diversificata e ad una specializzazione flessibile delle PMI
→ ogni regione sviluppò i propri tessuti, favorendo le specificità territoriali (quelle senza
politiche industriali non le hanno sviluppato affatto)
I distretti emergono come risposta alla necessità di industrializzazione diffusa, sfruttando il know-how
artigianale e la specializzazione locale per favorire la crescita economica.
Negli anni ‘80-’90 cresce la consapevolezza dell’importanza dei distretti: questi vengono mappati ed
emerge una maggiore concentrazione nel nord-est. Il modello distrettuale si rafforza grazie
all'internazionalizzazione e all'introduzione di tecnologie avanzate nei processi produttivi,
consentendo una maggiore competitività sui mercati globali.
Dagli anni 2000 l'avvento della globalizzazione e l'ascesa di nuovi competitor internazionali pongono
nuove sfide, inducendo i distretti a ridefinire le proprie strategie attraverso l'innovazione e la
diversificazione dei prodotti.
L'oggi è caratterizzato dall'adozione di strategie orientate alla digitalizzazione, alla sostenibilità
ambientale e all'integrazione delle pratiche di economia circolare, al fine di rispondere alle nuove
esigenze del mercato e alle direttive europee.
Sono realtà non settorialmente omogenee ma con specializzazioni diverse:
● Beni durevoli per le persone
● Beni durevoli per la casa
● Prodotti alimentari e macchinari connessi 13
Nel 2011 l’Istat individua 141 distretti in Italia, ovvero ¼ della forza produttiva nazionale
→ questa “Analisi dei Sistemi Locali di Lavoro” fa emergere la forte interdipendenza tra le
imprese di un distretto industriale ancora oggi.
TEORIA E CARATTERISTICHE: BECATTINI E BAGNASCO
C’è una forte interdipendenza tra comunità e industria. L’industria produce un bene specifico ed è
divisa in unità produttive efficacemente piccole e distribuite che consegnano sul mercato un bene
particolare e unico.
→ comunità locale come elemento chiave, con valori condivisi di etica del lavoro, famiglia e
reciprocità
A proposito del legame con il territorio, i distretti sono radicati nel contesto locale, contribuendo alla
creazione di capitale sociale e alla valorizzazione delle tradizioni produttive, consolidando un'identità
economica territoriale
→ il forte radicamento territoriale e una prossimità spaziale tra le imprese consente scambi
rapidi e riduzione dei costi di transazione.
→ La presenza di banche locali facilita anche l'accesso al credito
La specializzazione settoriale permette a ciascun distretto di focalizzarsi su un settore produttivo
specifico, come la meccanica, il tessile, la ceramica o il calzaturiero, sviluppando competenze
altamente specializzate e sinergie settoriale
La presenza di istituzioni di supporto significa che l'ecosistema distrettuale è supportato da
università, centri di ricerca, istituzioni finanziarie e associazioni di categoria, che agevolano i processi
di trasferimento tecnologico e di innovazione.
Imprenditore puro: studia le dinamiche interne del distretto e le dinamiche esterne del mercato
globale, allocando i beni distrettuali nelle catene globali
Becattini: I distretti industriali non sono solo realtà produttive ma vere e proprie realtà socio-territoriali
→ concetto di “atmosfera distrettuale”, ove competizione e cooperazione coesistono.
Sottolinea l’importanza del ruolo della comunità locale con il suo sistema di valori che nel tempo ha
permeato anche le istituzioni del territorio. La competitività non deriva dalla dimensione delle singole
imprese ma dalla qualità dell’ambiente locale.
Bagnasco: concetto di «Terza Italia» per descrivere questo modello economico
→ modello con una frammentazione della produzione in unità indipendenti ma interconnesse.